Giornale di Brescia 18/08/2005, pag.9, 18 agosto 2005
Delitto di Brescia 18/08/2005 - 14
La memoria dell’orrore torna a Marzia Savio. Giornale di Brescia 18/08/2005. Rapita, uccisa, il cadavere fatto a pezzi, rinchiuso in sacchetti di plastica e gettato in una scarpata del cavalcavia della Serenissima. Accadeva 23 anni fa, a Rivoltella. Ieri la tragica fine dei coniugi Aldo e Luisa Donegani, l’epilogo orribile di una vicenda protrattasi per ben 19 giorni, le modalità dell’omicidio con la scoperta dei loro corpi martoriati in una zona impervia della Valcamonica, rinchiusi in sacchetti dell’immondizia e gettati in un dirupo, riportano alla memoria il caso di Marzia Savio. Riapre una ferita mai del tutto rimarginata per quello che fu definito, all’epoca, il più mostruoso dei delitti mai registrati nel Bresciano. Colpiscono in particolare le modalità seguite dall’assassino per disfarsi dei corpi, violandoli una seconda volta dopo l’uccisione con la decisione di ridurli a pezzi, di sezionarli per occultarli dentro sacchetti di plastica. Nel caso di Rivoltella aggiunse orrore ad orrore la circostanza che a compiere tutto ciò fosse stato l’insospettabile vicino di casa, l’amico del nonno al quale voleva carpire il ricavato della cessione della quota di una piccola impresa. Denaro che doveva servire a far fronte ai debiti. Così maturò nella mente dell’assassino, un salumiere di Rivoltella, quel piano diabolico e strampalato, di rapirne la nipote Marzia di 12 anni. L’agguato scattò la mattina del 7 gennaio mentre la bimba andava a scuola in bicicletta. Ma il tentativo di sequestro, il volto coperto dal passamontagna per non farsi riconoscere, andò storto e la bimba morì mentre il suo rapitore-carnefice tentava di ridurla all’impotenza, di zittirla. Quando l’uomo tornò a casa con la sua R5 blu e aprì in cantina lo scatolone dove l’aveva adagiata, la trovò ormai priva di vita. Fu quello che accadde nelle ore e nei mesi successivi, una volta individuato e arrestato il colpevole, a suscitare sedegno, rabbia, orrore. Perché l’uomo corse ad aprire normalmente la bottega, si comportò come niente fosse accaduto, pensando intanto al modo per disfarsi del cadavere. E la sera - con una decisione aberrante - lo squartò a colpi d’accetta nello spiazzo erboso fra la casa ed un vicino capannone, riponendo i poveri resti in 5 sacchetti di plastica. Li scaricò il mattino successivo sotto il cavalcavia dell’autostrada Serenissima. Poi recitò la parte dell’amico. Fino a quando i carabinieri lo smascherarono e lo arrestarono all’ultima telefonata con la quale concordava la consegna del riscatto. Le analogie con il caso dei coniugi Donegani sono davvero numerose. Lo sono per ora, sicuramente, le modalità del dopo delitto, della scelta cioè dell’assassino di smembrare i corpi di due persone per riuscire ad inserirli in sacchetti di plastica e scaricarli in un pendio scosceso a lato della strada provinciale della Valcamonica. Una procedura di occultamento complessa che richiede sangue freddo, determinazione, anche una non comune dose di perverso coraggio. Un’azione violenta e truculenta da eseguirsi evidentemente con un’attrezzo adatto in zona isolata o riparata anche per nasconderne le tracce. Fin qui le sorprendenti analogie fra i due casi «bresciani». Almeno fino a quando non si individuerà l’assassino o gli assassini svelando anche i motivi di questo nuovo duplice efferato delitto, che tanto ha scosso l’intera comunità bresciana.