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 2005  agosto 24 Mercoledì calendario

Ortega Luis

• Buenos Aires (Argentina) 12 luglio 1980. Regista • «[...] una delle grandi rivelazioni del 58° festival di Locarno. Dopo l’esordio minimalista e iperrealista di Caja negra, il giovane regista nato in una famiglia di artisti (il padre Palito Ortega è un celebre attore e cantante [...]) ha presentato nella sezione ”Cineasti del presente”, Monobloc, un film di atmosfere rarefatte quasi alla fine del tempo e del mondo. Una lunga attesa della morte come se la morte fosse già arrivata, ambientata tra un Luna Park deserto e due appartamenti simmetrici in un condominio anonimo. Protagoniste tre donne in un mondo di colori estremi tra il rosso e il giallo e il bianco allucinato delle sale dell’ospedale. Un film che avrebbe meritato il concorso. [...] ”Quando scrissi Caja negra [...] non sapevo nulla di cinema [...] Quell’innocenza mi diede libertà, più vitalità. Mi permise di fare un film quasi di tenerezza verso la vita. Ero anche molto adolescente, avevo speranze che in questo momento ho perso, almeno per ora. A girare eravamo in tre, io e due amici che non sapevano nulla di cinema e mi aiutavano. [...] Io non mi pongo il problema del pubblico, che ha già la televisione e le riviste, abbastanza per fuggire dalla vita vera. Trovano là intrattenimento e distrazione. Io so di fare qualcosa che non piace a tutti ma è l’unica forma che mi fa sentire vitale e utile e giustifica la mia vita. L’’intrattenimento fa solo passare in fretta il tempo, io non saprei neanche come farlo, sono del tutto contro le distrazioni. Se non ci fosse l’intrattenimento credo che sarebbe possibile una rivoluzione vera. Invece non è possibile perché non vogliono lasciare le persone in pace a pensare alle loro cose. Così nessuno può finire le proprie cose. [...] Per la scelta delle immagini non ho ispirazioni particolari. Cerco di mettere la macchina da presa in modo spontaneo, senza pensarci troppo, nello stesso modo in cui cammino. Non ci sono spiegazioni particolari, a volte faccio degli errori. Come quando cammino, se sto a pensare al mio respiro comincio ad avere problemi a respirare e così con la macchina da presa. La metto nel posto dove mi sento. A volte il direttore della fotografia mi consiglia, il suo lavoro è più di mente, ragiona di più, a volte è un bene, a volte no. Quando hai un buon team chi ha l’idea migliore vince. Io ascolto i consigli degli altri, degli attori, della troupe, che di solito non vince premi, non diventa famosa ma è importante. Queste persone che lavorano impongono di finire alle 7 di sera, di rispettare gli orari. Fare cinema diventa così come lavorare in ufficio, è veramente un processo non poetico. Per non perdere la poesia devi riuscire a stare su entrambi i lati. Devi anche riuscire a scomparire, a dimenticare tutto e pensare all’universo. Devi allo stesso tempo stare nel mondo reale e in quello dell’immaginazione, sempre dentro e fuori. sfiancante. E a volte il mondo degli altri, quello reale, batte il tuo e vince la battaglia. Fare cinema non è come suonare il pianoforte che si fa da soli perché sarebbe impossibile con 40 persone che schiacciano lo stesso tasto. Caja negra l’ho fatto in modo semplice, filmando secondo i sentimenti del momento, Monobloc non potevo farlo così, c’è più un progetto intellettuale dietro. [...]”» (Nicola Falcinella, ”il manifesto” 23/8/2005).