Corriere della Sera 19/08/2005, pag.27 Sergio Romano, 19 agosto 2005
Truman da Potsdam, luglio 1945: gettate la bomba. Corriere della Sera 19/08/2005. Ho letto una frase, che riporto testualmente e che per me suona nuova: «Nessuno nega più che la decisione di sganciare le bombe atomiche sulle due città di un Giappone che, tramite la Svizzera, aveva già chiesto la resa, non serviva affatto a piegarne definitivamente la resistenza, bensì era un eloquente segnale inviato all’alleata, ma non amica, Urss per far intendere con estrema chiarezza chi era il più forte»
Truman da Potsdam, luglio 1945: gettate la bomba. Corriere della Sera 19/08/2005. Ho letto una frase, che riporto testualmente e che per me suona nuova: «Nessuno nega più che la decisione di sganciare le bombe atomiche sulle due città di un Giappone che, tramite la Svizzera, aveva già chiesto la resa, non serviva affatto a piegarne definitivamente la resistenza, bensì era un eloquente segnale inviato all’alleata, ma non amica, Urss per far intendere con estrema chiarezza chi era il più forte». Il Giappone aveva effettivamente chiesto la resa? La bomba fu sganciata solo per inviare un segnale all’Urss che aveva dichiarato guerra al Giappone da pochissimo tempo? Gianni Nazzi cca-udin-friul@libero.it Caro Nazzi, avrebbe dovuto indicare la fonte della frase da lei citata. Sarebbe stato più facile valutare la credibilità dell’informazione e del giudizio. Ma cercherò egualmente di risponderle ricordando un episodio della Conferenza di Potsdam del luglio-agosto del 1945 che è stato ben descritto da David Mc- Cullough nella sua grande biografia di Harry Truman (1117 pagine) pubblicata dall’editore Simon and Schuster nel 1992. L’episodio risale al 26 luglio, vale a dire al giorno stesso in cui l’incrociatore americano Indianapolis scaricò a Tinian, un’isola dell’Oceano Pacifico, alcune parti di una bomba atomica che si sarebbe chiamata Little Boy. La decisione di colpire il Giappone era stata presa. Ma quella sera Truman, il nuovo primo ministro britannico Clement Attle e il generalissimo Chan Kai-shek decisero d’indirizzare ai giapponesi la Dichiarazione di Potsdam. Il testo concordato dai tre leader assicurava il popolo del Giappone che avrebbe ricevuto un trattamento umano e che non sarebbe stato «ridotto in schiavitù o distrutto come nazione». Vi erano alcune precise condizioni: l’instaurazione di un regime caratterizzato da libertà di parola e di religione, l’eliminazione del «potere bellicista» e un governo liberamente eletto «incline alla pace». Non appena queste esigenze fossero state rispettate le forze d’occupazione avrebbero abbandonato il Paese. Le parole «resa senza condizioni», scrive McCullough, apparivano soltanto nell’ultimo paragrafo del testo e concernevano esclusivamente le forze armate. La sorte dell’imperatore Hirohito era lasciata in forse e l’alternativa, se questi termini non fossero stati accettati, era una «pronta e totale distruzione». Nelle ore seguenti gli aerei americani lanciarono alcuni milioni di volantini con il testo della dichiarazione su Tokyo e altre dieci città giapponesi. Le condizioni americane furono discusse dal governo giapponese per una intera giornata ma il primo ministro Kautaro Suzuki, alla fine dell’incontro, disse che la dichiarazione era soltanto una rimasticatura di proposte precedenti e che egli l’avrebbe «uccisa con il silenzio». Sappiamo ora che la decisione del governo di Tokio fu imposta dal vertice delle forze armate, convinto che l’invasione americana si sarebbe scontrata con una invincibile resistenza popolare. Quattro giorni dopo, il 30 luglio, Truman ricevette un telegramma dagli Stati Uniti con cui lo si informava che il «progetto» stava progredendo rapidamente e gli si chiedeva una decisione non oltre il primo agosto. Il giorno dopo il presidente scrisse di suo pugno sul retro del telegramma: «La proposta è approvata. Dare corso quando i preparativi saranno ultimati, ma non prima del 2 agosto». Non voleva, a quanto sembra, che il lancio della bomba avesse luogo prima della fine della conferenza e della sua partenza da Potsdam all’alba del 2. Non credo che l’ammonimento ai sovietici fosse la principale motivazione del bombardamento di Hiroshima. La bomba fu sganciata anzitutto per due ragioni: per evitare il sanguinoso logorio di una lunga guerra combattuta sul territorio giapponese e per dare un senso all’enorme somma di denaro (due miliardi di dollari) che il governo americano aveva investito nell’operazione. E’ possibile che nella mente di Truman e dei suoi collaboratori vi fosse anche il desiderio di mostrare al mondo (e, perché no?, a Stalin) di quale micidiale mezzo militare gli Stati Uniti disponessero. Ma quest’ultimo scopo fu considerato probabilmente un beneficio aggiuntivo, utile, ma non determinante. Sergio Romano