Repubblica 19/08/2005, pag.41 Franco Cordero, 19 agosto 2005
Il calcio in tribunale. Repubblica 19/08/2005. Nasce cinquantasei anni fa la mia quieta passione calcistica, mercoledì sera 4 maggio 1949: piove; un tale dal viso dolente domanda se sia vero; cosa?; «ca l’ è cascà l’ aeruplan d’ l Tor»
Il calcio in tribunale. Repubblica 19/08/2005. Nasce cinquantasei anni fa la mia quieta passione calcistica, mercoledì sera 4 maggio 1949: piove; un tale dal viso dolente domanda se sia vero; cosa?; «ca l’ è cascà l’ aeruplan d’ l Tor». Era vero. Dopo cena rivedo i Sogni proibiti d’ un Danny Kay ancora sconosciuto. Tarda serata lugubre nell’ umido dei portici. Trapela sollievo dalla compunzione juventina. Intento alla favola ciclistica dove splende Fausto Coppi, so appena i fatti notori del football: che vi dominasse lo scomparso, al quinto scudetto consecutivo e sarebbero sette se la guerra non se ne fosse mangiati due; dopo Superga me ne interesso. Quel Toro sopravviveva innaturalmente: la haute pluto-calcistica chiude gli spiragli; Juventus, Inter, Milan importano stranieri (John Hansen, Praest, Martino, Nyers, Wilkes, i tre svedesi, eccetera); difeso contro gl’ ingaggi d’ oro dal vincolo perpetuo, resisterebbe, forte d’ una razionalità che il denaro non compra, ma lo spirito dei tempi batte altrove. Aveva una storia il Football Club Torino, nato lunedì 6 dicembre 1906 nella Birreria Voigt: vent’ anni dopo arriva secondo; campione nel 1927, subisce la revoca del titolo sulla base d’ un sospetto, che il difensore juventino Allemandi l’ avesse favorito nel derby su calcio piazzato; dietro le quinte lavora Leandro Arpinati, ex socialista, anarchico, squadrista, ora podestà bolognese; l’ affare resta tronco; lo scudetto rimane res nullius, mentre l’ acquisirebbe il Bologna se constasse il fatto, né il campione senza titolo subisce pene; insomma, ha l’ aria d’ un sopruso; l’ anno seguente rivince, finendo secondo nel 1929. Poi regnano Juventus, Ambrosiana, Bologna. Il capolavoro degli anni Quaranta non nasce d’ un colpo: lo combina Ferruccio Novo, agiato piccolo industriale, presidente full time dal 1939; impara da Egri Erbstein, ebreo ungherese giramondo, mago dello scibile calcistico; l’ assiste Roberto Copernico, fine intenditore non professionista (conduce un negozio chic d’ abbigliamento); spendendo oculatamente comprano quel che serve, inclusi due splendidi scarti, Guglielmo Gabetto dalla Juventus, Piero Ferraris dall’ Inter, allora Ambrosiana; costano un milione e duecentomila lire i gemelli veneziani, Valentino Mazzola ed Ezio Loik, dopo lo scudetto 1943. Squadra rifondata, modulo inglese: dal "metodo" danubiano (1-2-3-5), dove il centromediano inventa gioco, passa alle marcature fisse del "sistema" (1-3-4-3); e sgomina gli avversari ricchi perché il calcio ha risvolti intellettuali. Qualcosa conta ancora l’ intelligenza. Le vicissitudini seguenti (prima caduta in B a dieci anni dalla sventura) provano quanto poco ripetibili siano le meraviglie. Sotto il miglior presidente del secondo corso arriva l’ ottavo trionfo. Sfiora anche il bis, meritandolo, ma ha un’ ostinata guigne o cattiva stella, confratello d’ Edgar Poe e Charles Baudelaire. Figura due volte negli annali della giurisprudenza. Persa la squadra, aveva chiesto i danni alla Compagnia aerea: non gli spetta nemmeno una lira; la responsabilità cosiddetta aquiliana implica dei diritti reali o della personalità; le persone non sono bestiame; le vittime erano obbligate dal contratto a prestazioni sportive, ormai impossibili; il contraente perde del denaro ma non è danno risarcibile (massima d’ economia arcaica). Diciotto anni dopo Superga, gli muore un magnifico giocatore: omicidio colposo; e il "caso Meroni" segna un revirement. Da allora rispondono anche i terzi. I tardi Ottanta portano l’ inferno. Convertiti i club in Spa, il calcio diventa affare talvolta losco, Barnum, teppa negli stadi, farmacopea da dottor Frankenstein, morti misteriose, scommesse, frodi, sudditanza arbitrale, contratti faraonici, guerra mercantile: con quel che l’ asso guadagna ogni anno Ferruccio Novo gestiva l’ impresa mietendo cinque scudetti; fiorisce tanto malaffare; scorridori bancarottieri raccattano, affondano, ripescano le società. Disavventure taurine. L’ ultima, letale, lo consegna a un industriale legato alla Fiat, che ama definirsi juventino: retrocede due volte, quarta e quinta nel conto complessivo; infine compie l’ exploit, vittorioso nei play-off; i conoscitori della sua storia non osavano sognarlo. La festa dura quattro giorni. Nel quinto la campana suona a morto: il padrone non pagava l’ Irpef da vari anni; deve 38 milioni d’ euro; e dal campionato 2005-2006 è requisito tassativo avere pagato o esibire fideiussioni idonee. Pendeva un termine cosiddetto perentorio: poi risulta che non lo sia; rimane qualche settimana utile, senonché restano invisibili i fideiussori. Il Toro era destinato al mattatoio: fuori del giro professionistico, tra i dilettanti; lo salva un lodo grazie al quale i derelitti falliscono ai fini sportivi (nonché legali o almeno lo spero), reincarnandosi nella serie inferiore sotto nome diverso, squagliato l’ intero patrimonio perché i contratti svaniscono. Meglio così che trascinarsi ignobilmente in mani dalle unghie nere. Finisce peggio un’ altra società famosa: salita alla A, sprofonda in C; aveva schivato i play-off nell’ ultima partita; la mano della Procura, seguendo intercettazioni telefoniche regolarmente eseguite, coglie in flagrante i partner dell’ accordo fraudolento; caso disperato ma dopo i vaudevilles berlusconiani tutto diventa possibile. Condannata dalla giustizia sportiva, ottiene a sorpresa dal giudice civile un disinvolto provvedimento cautelare, mentre turbe tifose in stato ipnotico aspettano l’ iscrizione miracolosa alla A, come non fosse avvenuto niente, il tutto in ossequio a privacy (cellulari inviolabili, Dio sa perché) e "giusto processo". I tè del Cappellaio Matto sono accademie d’ una limpida logica rispetto al calcio forense. Franco Cordero