Note: [1] Luigi Geninazzi, ཿAvvenire 17/8/2005; [2] Marcella Emiliani, ཿIl Messaggero 17/8/2005; [3] Lorenzo Cremonesi, ཿCorriere della Sera 14/8/2005; [4] Fiamma Nirenstein, ཿLa Stampa 18/8/2005; [5] Giorgio Bernardelli, ཿAvvenire 9/8/2005; [6] Amos, 17 agosto 2005
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 22 AGOSTO 2005
«Sa quanti sono i coloni israeliani che in questi giorni hanno lasciato la Striscia di Gaza? Non più di ottomila. E sa quanti ne risiedono nei Territori? Almeno 240mila». [1]
Quanto è durata l’occupazione? [2]
«Trentotto anni e tre mesi. [2] Se si eccettua la restituzione del deserto del Sinai agli egiziani nel 1979, è la prima volta che Israele cede dei territori occupati a seguito della guerra del 1967. Quell’incredibile vittoria militare venne interpretata come la realizzazione di ”Eretz Israel”, il grande Israele. Un espansionismo che di fatto è continuato anche dopo gli accordi di Oslo e l’avvio del processo di pace del 1993. A giustificazione degli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi il sionismo laico tirava in ballo motivi di sicurezza. Ma intanto s’affermava l’ultra-nazionalismo religioso secondo cui le terre bibliche di Giudea e Samaria (l’attuale Cisgiordania e la Striscia di Gaza) appartengono di diritto allo Stato d’Israele. Adesso Ariel Sharon, il leader politico che era stato il più deciso sostenitore delle colonie, ha rotto questa logica». [1]
Com’è che ha cambiato idea? [2]
«Dice che il ritiro da Gaza è attualmente il male minore per Israele. Parliamo del fazzoletto di terra più affollato del mondo nonché regno dei peggiori estremisti islamici di Hamas e Jihad islamica: meglio lasciare che della sua amministrazione si faccia carico Abu Mazen». [2]
Vuol dire che hanno vinto i kamikaze? [3]
«L’ha detto anche Yehoshua, lo scrittore: ” ovvio che se non ci fossero stati i kamikaze palestinesi non ci saremmo mai ritirati”. [3] I palestinesi parlano di ”Indihar”, che significa ”espulsione e sconfitta”. La gente di Ramallah, Betlemme, Gaza, pensa che lo sgombero sia una conseguenza degli attacchi suicidi di questi anni e dei missili Kassam, più di 6000 nel corso dell’Intifada. [4] Tom Segev, uno dei ”nuovi storici” israeliani, avverte che forse dopo il ritiro dalla Striscia vedremo più terrorismo contro gli insediamenti, perché i gruppi palestinesi pensano che se le loro azioni hanno avuto successo a Gaza potrebbero averlo anche nella West Bank. C’è poco da essere ottimisti». [5]
Ma chi sono questi coloni? [6]
«Secondo Amos Oz, un altro scrittore, sognano di creare una ”Grande Israele” con insediamenti sparsi ovunque in cui far risiedere solo gli ebrei: ai palestinesi sarebbe consentito entrare per lavoro, impieghi umili e sottopagati. In un simile Stato, la democrazia dovrebbe inchinarsi ai rabbini. La Knesset, il governo, la Corte suprema potrebbero continuare a esistere a patto che i rabbini ne approvino le decisioni. I coloni credono che se la Grande Israele diventasse un’entità religiosa, una ”Nazione Santa”, allora verrebbe il Messia per compiere la completa redenzione del popolo ebraico. Insomma, la battaglia di Gaza non è una battaglia tra l’esercito e i coloni, né tra falchi e colombe, ma tra Sinagoga e Stato». [6]
Per adesso i coloni sono stati sconfitti. [7]
«Vittorio Dan Segre dice che il movimento ha subito una triplice sconfitta: di immagine, dimostrando dopo tutte le manifestazioni, minacce, convulsioni, di essere in fondo un pallone gonfiato; politica, nella misura in cui il tentativo di imporre la volontà di una minoranza sulla maggioranza con metodi extra parlamentari è fallita; religiosa, visto che almeno alcuni dei suoi rappresentanti autonominatisi interpreti della volontà divina hanno dimostrato col loro comportamento di essere più vicini al feticismo idolatra che all’elitismo morale del monoteismo ebraico. A Gaza non è morto il sogno del grande Israele. stato seppellito». [7]
Sharon ha vinto o perso? [8]
«Secondo Igor Man non ha vinto ma neanche perso. Alla lunga la guerra asimmetrica con la galassia assolutista di Hamas avrebbe finito col logorare anche un esercito eccellente qual è quello israeliano, la cui laicità leggendaria, per altro, segna il passo di fronte al montare d’una predicazione religiosa intrisa di nazionalismo istericamente estremista. Sharon ha spedito in paradiso tutti i più incisivi leaders di Hamas, ha messo in galera agitatori grandi e piccini ma per sradicare un movimento che è anche una capillare opera assistenziale avrebbe dovuto scatenare una guerra senza misericordia e questo avrebbe significato impantanarsi. Ha preferito andarsene da Gaza, anche perché il ritiro di poche migliaia di coloni è soltanto un gesto simbolico». [8]
I coloni lasceranno anche gli altri Territori? [8]
«Sharon non ne ha nessuna intenzione e, del resto, la leadership palestinese sembra aver già accettato ”piccoli ritocchi” addolciti da ”compensazioni territoriali”. [8] Lo scrittore David Grossman sostiene che, alla fine, la soluzione politica non includerà un ritiro totale dagli insediamenti. Diciamo che 100 mila coloni, più o meno il 40 per cento, dovrebbero essere evacuati, ma gli altri dovrebbero rimanere». [9]
Gli israeliani come hanno vissuto il ritiro da Gaza? [5]
«Segev spiega che venti mesi fa c’era una vasta maggioranza a sostegno del governo. Oggi, invece, i sostenitori sono meno del cinquanta per cento. Ma la cosa più interessante è che i coloni non sono comunque riusciti a mobilitare molta gente. La situazione ricorda quella degli anni Cinquanta, quando Israele avviò le relazioni diplomatiche con la Germania: ci fu una protesta che giocò molto sulle emozioni ma, allora come oggi, la politica non cambiò». [5]
Che mi dice di Sharon? [10]
« un enigma vivente. A 77 anni, alla guida del suo terzo governo in quattro anni, è uno dei più potenti primi ministri della storia d’Israele. Ma, come ha scritto Fabio Scuto, è anche uno dei più deboli, capo di un Likud diviso e di una coalizione instabile, isolato dal suo stesso partito. Sharon è un ebreo laico, agnostico e nazionalista, che legge la Bibbia alla maniera di Ben Gurion, come la saga nazionale del popolo ebraico. Anche il suo attaccamento ai Territori non è mai stato di natura messianica, magari romantica, e certamente condizionato da motivi di sicurezza. Si capisce meglio così come è arrivato a concepire l’inconcepibile: lo smantellamento dell’opera della sua vita. ”Quello che si vede da qui - ha confessato poco tempo fa - non si vede da lì”». [10]
Sarebbe a dire? [10]
«Dalla poltrona di primo ministro ha visto la nascita di un nuovo equilibrio regionale e internazionale. La mano ruvida di George Bush ha scosso tutte le tessere del mosaico mediorientale: voto in Afghanistan, in Palestina, in Iraq, il ritiro siriano e la ”rivoluzione dei cedri” in Libano. Un fermento da cui può uscire il meglio o il peggio. Il vecchio immobilismo arabo è andato in frantumi e Sharon ha capito che bisognava muoversi, fare concessioni. La visione della Casa Bianca di uno Stato palestinese sovrano che vive in pace vicino a Israele non lascia molti spazi. Ha così preferito mettere le mani avanti con il ”doloroso” ritiro da Gaza, territorio indifendibile alla lunga, e tenere in cambio i blocchi degli insediamenti in Cisgiordania. Il ritiro dalla Striscia aiuterà a rafforzare il controllo su altre parti della Terra d’Israele che saranno parte integrante dello Stato in ogni risoluzione futura». [10]
Possiamo dire che Sharon è un falco pentito? [11]
«Aldo Rizzo ha scritto che la sua storia ricorda quella di De Gaulle, che dopo essere stato riportato al potere, di fatto, dai coloni francesi d’Algeria, e dai loro protettori dell’Armée, e aver detto solennemente che ne comprendeva le ragioni (’Je vous ai compris!”), avviò un decisivo negoziato di pace con gli algerini, fino a riconoscergli l’indipendenza. De Gaulle non era un pentito: fosse dipeso da lui, forse l’Algeria sarebbe ancora una colonia francese. Ma era un politico troppo intelligente perché gli sfuggisse la differenza tra i desideri e la realtà. E, come militare di alta scuola, aveva chiari i rapporti di forza (nel senso politico, clausewitziano). Sotto certi aspetti, Sharon si trova adesso nella stessa situazione». [11]
L’11 settembre c’entra qualcosa? [7]
«Certo, da allora Israele ha cambiato visione strategica comprendendo che non era più la ”Cecoslovacchia” accerchiata di cui Sharon parlava nel 2001 ma una roccaforte - anche se non da tutti riconosciuta - nello schieramento democratico alle prese con la teocrazia terrorista islamica. In secondo luogo la maggioranza del pubblico israeliano ha capito che se le guerre fra Israele e gli Stati arabi sono state costruttive - a causa della superiorità militare, dello sviluppo economico che hanno provocato, e del fatto che sono guerre che per loro natura portano alla pace (lo si è visto con l’Egitto e la Giordania) - le guerre fra popoli come quella condotta da Israele contro i palestinesi nel Libano, la prima e seconda intifada, sono distruttive per entrambe le parti perché rischiano di trasformarsi in guerre civili». [7]
Con il ritiro da Gaza, Sharon perde o guadagna voti? [12]
«Reuven Adler, un superconsigliere del premier, spiega la situazione politica israeliana disegnando un segmento in cui l’1 rappresenta la percezione dell’estrema sinistra negli elettori israeliani, il 5 quella dell’estrema destra: Sharon nel 2000 era attorno al 4,7, una situazione in cui è impossibile vincere. Bisogna spostarsi al centro, da qualche parte tra 2,6 e 3,2. Yitzhak Rabin nel 1992 era a 2,8-3 e sconfisse Yizthak Shamir. Shimon Peres oggi è bloccato a 2 e non sembra in grado di muoversi. Come Benjamin Nethanyahu: troppo vicino all’estrema destra. Per spostare Sharon da quel 4,7, i consiglieri di Sharon hanno sottratto ai laburisti una delle parole chiave: pace. Il premier era già Mister Sicurezza, con un’immagine dura, quasi malvagia. Non era necessario puntare sulla fermezza. Da qui lo slogan ”Solo Sharon può portare la pace”. [12] Più che la politica, però, è la demografia a spiegare l’incredibile svolta del premier». [1]
Cioè? [1]
«Non ha senso mantenere ottomila ebrei in un territorio dove vivono un milione e 400 mila palestinesi, con un tasso di crescita che raddoppia ad ogni generazione. Se si vuole conservare il carattere ebraico dello Stato d’Israele è inevitabile lasciare quelle terre dove i palestinesi sono la stragrande maggioranza. [1] Altro che uomini bomba, tank, case distrutte e piani segreti di deportazione - ha scritto Paolo Papi - la vera battaglia tra israeliani e palestinesi si combatte nelle camere da letto. L’aveva capito Yasser Arafat quando ripeteva: ”L’arma segreta è il ventre delle nostre donne”. I superiori ritmi riproduttivi delle donne arabe (6 bambini per nucleo familiare contro i 2,6 delle donne ebree) hanno pesato molto nella decisione di predisporre il ritiro da Gaza. [13] La domanda da farsi è: che tipo Stato dovrà essere il futuro Israele?». [14]
Risposta? [14]
«Sergio Della Pergola, il più autorevole demografo d’Israele, considera tre parametri: l’ebraicità, la democrazia, la territorialità. Di questi parametri - la grande Israele, l’Israele ebraica e l’Israele democratica - se ne possono avere al massimo due: il Grande stato ebraico, ma non democratico; la grande Israele democratica, ma non ebraica, oppure uno Stato ebraico e democratico, ma non grande. una formula semplice e Sharon, che è sempre stato a favore della Grande Israele, fra la sorpresa di tutti ha detto: ”Ho cambiato idea”. Poi ha spiegato che sono cambiati contesto e circostanze. Il fatto è che non esiste più una maggioranza ebraica». [14]
Nascerà prima o poi uno Stato palestinese? [15]
«Sharon dice che se si tratterà di uno Stato demilitarizzato, che non permette l’esistenza di gruppi terroristici, che li disarma e fa cessare totalmente le attività terroristiche, la violenza e l’incitazione alla violenza, allora si può fare. Uno dei punti più importanti dell’accordo con il presidente Bush è quello che riconosce un solo piano di pace valido, la road map: per farla funzionare i palestinesi devono fermare il terrorismo. [16] Purtroppo Hamas ha già fatto sapere che continuerà la resistenza armata. [17] E tutti prevedono che riprenderà a sferrare attacchi non appena cesserà il suo interesse a protrarre la ”calma”. [18] Lo sceicco Mahmoud al Zahar, che ne è il leader incontrastato, ha avvisato che ”la tregua durerà fino alla fine del 2005, al massimo fino alle elezioni”. Ed ha aggiunto che certo non hanno imbracciato le armi per liberare soltanto Gaza». [19]
Il governo palestinese che fa? [20]
«Nelle ultime settimane ha fatto vedere i primi segni di azioni concrete contro le organizzazioni terroristiche. Israele si aspetta che si espanda la portata di queste azioni e si prendano decisioni aggressive. un interesse comune. La leadership palestinese è sotto esame e ha questa opportunità per dimostrare non solo a Israele, ma al mondo intero, che ha le giuste intenzioni e vuole imboccare la strada del dialogo e della coesistenza con lo Stato d’Israele. [20] Dopo gli attentati che hanno sconvolto mezzo mondo, Abu Mazen vuole evitare che i palestinesi siano collocati nella parte sbagliata della mappa che divide le fonti del terrore da chi ne viene colpito. Se nonostante il gesto di buona volontà degli israeliani i palestinesi seguitassero ad attaccare, il mondo potrebbe concludere che è impensabile consegnare ulteriori fette di territorio a chi ne fa una grande base terroristica. [18] Il timore di entrambe le parti è che Gaza si possa trasformare rapidamente in Hamastan, un’area dove gli integralisti dettano legge». [21]