Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  agosto 19 Venerdì calendario

SORRENTI Alan.

SORRENTI Alan. Nato a Napoli il 9 dicembre 1950. Cantante. «Non si può certo dire che il 1977 sia un anno tranquillo. In 12 mesi, si registrano 2128 attentati, 32 ”gambizzazioni”, 11 assassinii. In un clima politico drammatico e ardente, con l’infiammarsi del movimento del ’77, Gui e Tanassi sono incriminati per lo scandalo Lockheed. Ma mentre il terrorismo infuria, la musica pop se ne va per i fatti suoi, da tutt’altra parte; se in Inghilterra è ormai scoppiata la furia devastatrice del punk, in Italia compare il rock demenziale di Skiantos e Gaznevada, che resta però un fenomeno di nicchia: perché già tira aria di ”riflusso”, una parola che diventerà assai di moda. come se la musica leggera cercasse lidi spensierati dove risciacquare la mente; la bandiera estiva - e non solo - si chiama Figli delle stelle, una canzone lunare, del tutto sganciata dalla realtà. Il riflusso, appunto. ”Come le stelle noi/ Soli nella notte ci incontriamo/ Come due stelle noi/Silenziosamente insieme ci sentiamo”, canta Alan Sorrenti, che all’epoca ha 27 anni, una bella faccetta incorniciata dai riccioli, e una vocalità di tutto rispetto, assai particolare, affinata all’ascolto di Tim Buckley. Incandescente incrocio fra una mamma gallese e un padre napoletano, alle spalle una lunga e rispettata militanza nelle praterie del rock di matrice psichedelica, Alan all’epoca ha già fatto centro con un disco come Aria, un piccolo capolavoro; è insomma, in quell’epoca, un tipo musicalmente ”cool”. La critica militante si scatena contro la sua svolta commerciale; ma tant’è, il fenomeno Sorrenti è ormai sceso fra il popolo, e starà alla grande nelle classifiche di vendita, bissando il successo nel 1979 con L’unica donna per me, che anche vincerà il Festivalbar. Seguiranno nuovi esperimenti, e sparizioni e resurrezioni, spesso registrate dalle cronache alla voce ”droga”. Poi lunghi silenzi, ed emigrazioni continue. [...] ”[...] quegli anni Settanta, visti da oggi vanno divisi in due periodi. Nel primo, molto singolare, la discografia seguiva noi e i nostri esperimenti creativi; e fu una bella storia. Poi però le cose vennero a noia, la routine si fece mercato facile, e allora io me ne andai a Los Angeles, dal ’76 all’82. Da lì ho fatto tutti quei successi in Italia. Avevo un produttore bravissimo, che lavorava con Al Jarreau e Manhattan Transfer. Sono un po’ anomalo, io. Ho un po’ pagato il prezzo. Ho voluto seguire la mia natura [...] Tornavo in Italia e facevo cose sporadiche, mai tour. La musica non era tutto, per me. Sono stato un viaggiatore. A Los Angeles arrivai dopo un giro in Africa nel ’75, dove avevo conosciuto il ritmo. Quasi tutte le mie forme sonore nascono da queste contaminazioni; poi 17 anni fa sono diventato buddista, una scelta giusta per me; però non ho coltivato il mio orticello, né la mia audience che aveva fatto lo stesso mio viaggio”. Com’era nata Figli delle stelle? ”Alla chitarra, come faccio sempre. La tengo appoggiata al letto quando mi corico, e al mattino raccolgo i frutti dell’inconscio. Quand’era senza testo, l’avevo chiamata Heaven, paradiso. Poi [...] a Morlupo, di fronte a bellissimi cieli stellati, mi venne il testo [...] ero un assoluto egoista, un individualista spinto, molto concentrato su me stesso. Mi perdevo, e però in questa perdizione scrivevo delle belle cose. Umanamente ero fragile, debole; non credo di esser mai stato forte, ma fino a un certo punto questo mi è anche servito. Sfruttavo la mia fragilità e ho sempre voluto cambiare, fino a un momento cruciale, quando volli tornare al rock. Nei primi Ottanta feci uscire La strada brucia: era rock alto, ma fu una follia. Pochi se la ricordano e da allora cambiò tutto. Mi fece anche bene, però, perché ero stanco della popolarità [...] fui primo in hitparade anche in Scandinavia, e mi piaceva girare e andare fin lassù. Ma il successo vero, forte, fu con L’unica donna per me; Figli delle stelle era più cult, un pezzo che è avanti ancora oggi: alla fine era un messaggio, cioè Apparteniamo all’universo, siamo molecole d’una storia che si perde dentro l’infinito. Allora lo cantavo ma, in fondo, chi mi ascoltava ne era inconsapevole; oggi, in un mondo lacerato dai conflitti, quel messaggio suona ancora meglio [...] Per me il rimpianto è stato risolto in chiave buddista; nell’88 ho capito che gli sbagli sono necessari per migliorare. Da individualista egocentrico, ho imparato ad ascoltare. Ma bisogna sempre lavorarci sopra, bisogna scavare dentro, seguire i percorsi segreti” [...]» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 19/8/2005).