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 2005  agosto 15 Lunedì calendario

Caccia al tesoro. La Repubblica 15/08/2005. Quale bambino non è andato mai in cerca di un tesoro nascosto? A quanto pare soltanto Henry James, lo scrittore americano

Caccia al tesoro. La Repubblica 15/08/2005. Quale bambino non è andato mai in cerca di un tesoro nascosto? A quanto pare soltanto Henry James, lo scrittore americano. Il quale confessò all´amico scrittore inglese Robert Luis Stevenson per l´appunto tale mancanza. E Stevenson gli rispose dicendo: allora non sei stato un bambino. Non si può non dargli ragione. La caccia al tesoro è un gioco bellissimo. E che vi potesse essere un tesoro nascosto per così dire nella pancia di un´isola, a me da bambina sembrava credibilissimo. Tanto che quando lessi L´isola del tesoro non ebbi dubbi: era un libro bello, e vero, verissimo. L´isola in esso prendeva connotazioni perturbanti, insieme misteriose e materne. Che fosse gravida di tesori non impediva che l´isola a cui il piccolo Jim Hawkins approda con amici e nemici fosse maledetta. Dannata. Spaventosa. Tremenda. Quell´isola faceva paura, e doveva fare paura, se così non fosse stato il romanzo avrebbe mancato al suo scopo, che era tra gli altri quello di esercitare sull´animo del lettore una speciale malia, che mescolava insieme ripulsa e attrazione, fascino e terrore. La paura è una delle passioni tra le più forti nell´universo infantile. Insieme alla meraviglia. Nell´Isola del tesoro di Robert Luis Stevenson paura e meraviglia si tengono a braccetto in modo intimo, a ritmo incalzante. Fin dall´inizio, già nella locanda che il padre di Jim gestisce, la paura comincia a prendere corpo nella persona fisica di un lugubre bucaniere che un certo giorno vi arriva. Un omaccione alto, tarchiato, bruciato dal sole, le mani ruvide, le unghie rotte e nere, la guancia sfregiata da un colpo di sciabola, con la cicatrice di un bianco livido, sporco. Il tizio porta con sé una specie di cassa da morto, che sarebbe un baule. Non dice il suo nome, si guarda in giro con sospetto, e parla poco. Sembra aspettare qualcuno, che non ha voglia di vedere. Ora, proprio questo tremendo individuo fa amicizia col piccolo Jim. Per la precisione, Jim ne ha paura e potendo lo eviterebbe, ma quello lo coinvolge nella propria esistenza, e gli offre in amicizia un compito a cui lo spaventato, timido, niente affatto ribelle ragazzino si guarda bene dall´opporsi. Un compito che vincola l´innocente Jim all´intimità col criminale. Bene e male, buono e cattivo sono concetti assai concreti per un ragazzino intelligente, ma niente affatto sofisticato come Jim. Fatto sta che il cosiddetto capitano ogni mese gli dà una moneta d´argento, purché gli riferisca se vede un marinaio con una gamba sola. E voi non giudichereste buono, leale, perbene chi mantiene la sua parola? Anche perché in cambio Jim non deve compiere prestazioni particolarmente gravose. Basta che guardi. Senonché presto si accorge che quell´attesa è diventata la sua, e il marinaio con una gamba sola comincia a popolare di terrore le sue notti. L´intimità tra il vecchio lupo di mare e il bambino si stringe nella stessa fantasia. Comunque, Jim obbedisce. Non giudica. E del resto che altro potrebbe fare? Un bambino lo capisce che non c´è da aspettarsi nessun atto eroico da chi è piccolo e debole. Non è con la forza che chi è piccolo e debole può salvarsi da chi è grande e forte. E difatti, a ogni passo delle successive avventure, non è mai lo scontro aperto che favorisce Jim. Semmai, sono mosse laterali, casuali, piccole alzate d´ingegno ad aiutarlo. E se alla fine, sull´isola, viene la salvezza è grazie a Jim. Ma tornando alla trama, il padre di Jim muore. E muore il capitano. E a Jim rimane la cassa. E arrivano i balordi che il capitano aspettava, quel che resta dell´equipaggio del grande Flint, alla ricerca di qualcosa che sta dentro la cassa. Ovvero, quella mappa che con mossa ispirata, non sapendo neppure che cosa sia, il piccolo Jim è la prima cosa che estrae dalla cassa, mentre la madre vi cerca il denaro che il morto le deve. la carta di Flint che tutti cercano, la mappa che Flint ha affidato a Billy Bones, suo capitano in seconda, la quale mappa indica il luogo preciso dove è stato sepolto un tesoro. Jim non sa che Flint è il più feroce bucaniere di tutti i mari, uno che Barbanera non è niente al confronto. Uno del cui tesoro si favoleggia. Ma lo sanno il medico Livesey e il conte Trelawney che subito armano una nave di cui Jim sarà il mozzo. Livesey sarà quello che è, il medico. Trelawney, bontà sua, l´ammiraglio. Senonché, l´entusiasta signore fa un errore: arruola come cuoco di bordo Long John Silver, l´uomo con una gamba sola. E proprio a lui affida di formare il resto dell´equipaggio. Di qui discenderanno varie avventure, tra cui l´ammutinamento dell´Hispaniola, che è il nome della nave a bordo della quale si parte. Perché anche noi lettori partiamo con Jim. E con lui affrontiamo la teoria di avventure tutte sapientemente graduate secondo un crescendo che conclude nell´inevitabile lieto fine. E tutte perfettamente padroneggiate da Jim, il quale di fronte a ogni evento, anche il più tremendo, mantiene un´invidiabile, e assai britannica compostezza. C´è molto innocente pragmatismo accanto alla paura in Jim.  una delle bellezze di questo godibilissimo romanzo, come la paura diventi vivibile. Lo spavento tollerabile. E la violenza degli altri vincibile. Perché è una violenza che la destrezza, l´intelligenza possono contrastare. rassicurante che questo accada. * * * Stevenson sembra conoscere alla perfezione la forza di immaginazione di un bambino. Sa quando può forzare, sa quando deve smettere. Dimostra tatto e gentilezza anche nei momenti più d´effetto, quando la retorica della ferocia piratesca potrebbe trasportarlo a efferatezze inadatte alla mente fanciulla, che invece Stevenson sembra capire d´istinto. Forse amò molto il figlio non suo, ma della donna che amava. Forse a scrivere questo libro gli insegnò proprio Lloyd, che aveva al tempo dodici anni. E fece, si potrebbe insinuare, da cavia. La prima cosa che disegnò, pare, fu la mappa dell´isola con gli acquarelli di Lloyd. Era una mattina di settembre del 1881. Dall´immagine dell´isola nacque la storia, che cominciò a scrivere al ritmo di un capitolo al giorno. Appena scritto un capitolo, lo leggeva al ragazzino per vedere l´effetto. La sera tutta la famiglia riunita ascoltava di nuovo il racconto e il padre di Stevenson, ingegnere costruttore di fari, ebbe parecchie cose da aggiungere. Cose tecniche, dettagli, come la lista delle cianfrusaglie conservate nella cassa da marinaio del bucaniere Billy Bones, il nome della nave del capitano Flint, Walrus, e l´abbigliamento dell´uomo abbandonato sull´isola, Ben Gunn. Stevenson lo pensò come un romanzo a puntate per ragazzi e difatti apparve su Young Folks dall´ottobre 1881 al gennaio 1882, e solo l´anno dopo in volume. Il successo fu straordinario. Il romanzo piacque a grandi e piccoli e tra gli adulti soprattutto a quelli, e sono molti, che pur crescendo non smettono di restare bambini. Piacque molto a Gladstone, pare, il quale fece le due di notte senza potersene staccare. Era una storia di mare, in un paese marinaro, fece notare Piero Jahier che lo tradusse e lo curò per Einaudi nel 1943. Una storia che a ben guardare celebrava la pirateria che aveva arricchito l´Inghilterra, perché da quegli oceani remoti dove accadevano ammutinamenti e tradimenti erano però giunte all´isola ricchezze inestimabili. E alla soddisfatta Inghilterra vittoriana non dava più che tanto pensiero il fatto che quei feroci pirati fossero inglesi, e che il tesoro frutto di ruberie e fonte di delitti alla fine se lo intascassero dei gentiluomini tutti onore e diritto, i quali se lo spartiscono senza troppe remore. La scena di Jim nella grotta che conta e riconta e seleziona il denaro a seconda della varietà dei conii è straordinaria. Inglesi e francesi e spagnole e portoghesi sono quelle monete, sovrane e luigi e dobloni e doppie ghinee e zecchini: il lavoro di Jim dura giorni e giorni. Poi i "buoni" stivano il tesoro nella nave e partono. E arrivati in patria se lo dividono secondo regole che riconoscono tra loro giuste. Comunque sia, per giungere a una determinazione più precisa del suo valore, Jim non manca di informarci che il tesoro di Flint è costato la vita di diciassette uomini dell´Hispaniola. Quante altre vite sia costato ammassarlo, quanto sangue e dolore, quante belle navi colate a picco, secondo Jim non c´è nessuno al mondo che possa dirlo. Insomma, quel tesoro qualcuno l´ha sudato! Ma tra coloro che hanno avuto la loro parte nel metterlo insieme, non ne godrà chi è ancora vivo: né Silver, né il vecchio Morgan, né Ben Gunn. Già da bambina confesso - ed è una confessione di cui appena un poco mi vergogno, perché introduce un tono serioso, moralista che inquina il piacere estatico della lettura del romanzo; da bambina, ripeto, finito il romanzo mi rimaneva la domanda: perché del tesoro possono godere Jim il dottore e il conte e non i bucanieri? Mi rendo conto oggi più di allora che non è elegante appesantire con una inquietudine morale una favola tanto leggera, ma confesso che la domanda resta: perché il godimento del tesoro non è permesso a Long John Silver e Billy Bones? Ed è permesso invece a Trelawney e al dottor Livesey? Forse rubare al ladro è permesso? O forse la morale è: di ogni tesoro godrà chi si è messo in viaggio alla sua ricerca, come un pellegrino verso il Graal. l´incanto dell´avventura che conta, non l´oro. Nadia Fusini