La Stampa 02/08/2005, pag.10 Mattia Feltri, 2 agosto 2005
Da Bisaglia al Cavaliere Little Tony ha fatto strada. La Stampa 02/08/2005. Roma. I vecchi colleghi della redazione esteri del Tg1 ricordano il giovane Alfredo Meocci così sinceramente e dichiaratamente affine al senatore democristiano Antonio «Tony» Bisaglia, che Enrico Mentana lo soprannominò subito «Little Tony»
Da Bisaglia al Cavaliere Little Tony ha fatto strada. La Stampa 02/08/2005. Roma. I vecchi colleghi della redazione esteri del Tg1 ricordano il giovane Alfredo Meocci così sinceramente e dichiaratamente affine al senatore democristiano Antonio «Tony» Bisaglia, che Enrico Mentana lo soprannominò subito «Little Tony». Era una redazione vivace, quella, a inizio Anni Ottanta. Oltre a Meocci e Mentana c’erano Fabrizio Del Noce, Vincenzo Mollica, Alberto Michelini. Tutta gente che ha fatto carriera. Ma nessuno, nemmeno Meocci, avrebbe scommesso che «Little Tony» sarebbe un giorno diventato direttore generale. Tanto è vero che si può girare la Rai per delle ore, parlare con qualsiasi grande vecchio, ma la risposta è esasperante: «Meocci... ma sai che non ricordo nemmeno che faccia abbia... credo fosse un caposervizio...». Meocci infatti la carriera l’ha fatta in politica. Dei suoi passaggi giovanili all’Avvenire, al Gazzettino e all’Arena è rimasto poco. Di quello in Rai, il matrimonio col mezzobusto Danila Bonito di cui Claudio Angelini diede notizia in chiusura di un Tg, roba tipo fiori d’arancio in redazione. Qualche memoria resta anche di un suo speciale sui venticinque anni di carriera di Gigliola Cinquetti, nell’89, sebbene l’Ansa gli storpiò il cognome in «Meoccu». E qualche conduzione del tg pomeridiano o di mezza sera. Ecco perché nel ’90 tornò nella sua Verona (è nato a Caselle Sommacampagna cinquantadue anni fa), si candidò alle comunali con la Dc, vinse e venne nominato assessore alla Cultura. Con gli amici rivanga la gloriosa epoca in cui organizzava mostre di Kandinskij, Klee e Magritte. Qualcuno ributta lì anche una certa mania per la figura di Giulietta: organizzò un servizio di posta del cuore intestato alla sfortunata Capuleti, con uno staff assunto per alleviare i crucci amorosi degli italiani. Nella quantità di lavoro, gli toccò anche di prestarsi a operazioni meno nobili, come premiare Luca Carboni al Festivalbar o promuovere manifestazioni circensi. Meocci oggi dice di non aver mai avuto nulla contro Bisaglia, ma in realtà si sentiva più vicino a Mariano Rumor. Non cambia molto. Per Bisaglia aveva stima e dei due bisagliani più illustri - Pierferdinando Casini e Marco Follini - è amico pluridecennale. E oltretutto nella triste fine di Bisaglia, che annegò nell’84 dopo essere caduto per via di un’onda anomala dal panfilo Rosalù, si può leggere il futuro di Meocci. Il panfilo Rosalù, al momento della tragedia, era ancorato nella baia di Portofino, a pochi metri dalla villa di Silvio Berlusconi. Sembra che Meocci abbia conosciuto Berlusconi in ragione di certi articoli scritti nel ’93, in piena Tangentopoli, su «Verona Fedele», il settimanale di don Bruno Fasani. Meocci diceva basta alla «Dc barlocca», dal verbo «barloccàr», pencolare di qui o di là, e apriva al bipolarismo. Berlusconi avrebbe detto: ecco l’uomo per me. E della sua amicizia col premier, Meocci fa una discreta ma compiaciuta diffusione. Di certo grazie a «Verona Fedele», Meocci ha conosciuto la seconda e attuale moglie, Elena Gaiardoni, oggi firma del Giornale edito dall’altro Berlusconi, Paolo. Di conseguenza, anche se è iscritto all’Udc e proviene dal Ccd (ne fu parlamentare dal ’94 al ’98), è considerato più berlusconiano di un forzitalico. Follini qualche settimana fa disse che se Meocci fosse diventato direttore generale della Rai, «non sarà roba nostra, ma del presidente del Consiglio». In privato, Meocci ammette di non aver ascoltato il suo segretario, che lo voleva veder sgobbare per il partito anziché per la Rai. Ma come dicono i suoi compagni di sette anni all’Authority delle Telecomunicazioni, Meocci è un vero doroteo veneto, fuoriclasse della mediazione, uno refrattario alle animosità e impegnato a costruire relazioni variegate e distanti. Quando nel ’98 il governo Prodi lo inserì nell’Authority, dalla prima riunione si dimostrò molto disponibile con il presidente Enzo Cheli (fortemente voluto da Massimo D’Alema), di cui divenne il collaboratore più fedele e l’uomo-ponte verso il centrodestra. Così resta con Follini e Casini, ma fa contento Berlusconi e avverte gli amici giornalisti: per un po’ niente interviste. Non si sa mai. E poi lo dicono tutti, sotto le forme morbide e conciliatorie nasconde l’ambizione somma. Ha capito che per far strada è inutile chiudersi in ufficio a passare documenti per centinaia di pagine, meglio leggere le prime due e farsi spiegare il resto da un funzionario. Poi andare a coltivare rapporti, accettare inviti a tavola, ridere, scherzare, raccontare storielle. Conservare la prudenza e la diffidenza dei veneti, dimostrarsi simpatici ma non sventati. Insomma, un tipo di buon senso, spiega chi lo conosce. E pronostica le sue telefonate ai nemici di viale Mazzini, le visite col sorriso e l’eccellente predisposizione d’animo. «Avevo un bisnonno senatore con Cavour», comincerà. Mattia Feltri