Corriere della Sera 14/08/2005, pag.33 Sergio Romano, 14 agosto 2005
Lo Stato italiano: come conciliare laicità e Concordato. Corriere della Sera 14/08/2005. Secondo lei molte delle norme concordatarie «sono ragionevoli e verrebbero adottate spontaneamente anche da uno Stato liberale»
Lo Stato italiano: come conciliare laicità e Concordato. Corriere della Sera 14/08/2005. Secondo lei molte delle norme concordatarie «sono ragionevoli e verrebbero adottate spontaneamente anche da uno Stato liberale». Il problema è che «sono inserite in un trattato che conferisce alla Chiesa il diritto di esigerne l’applicazione anche quando lo Stato potrebbe, per considerazioni di interesse nazionale, ritenerle inopportune». per questo che a suo parere uno Stato come quello italiano, in quanto concordatario, non può essere definito «laico». Mi permetta, ma mi sfugge la logica del suo ragionamento. Mi pare infatti che un sistema concordatario sia una forma di rapporto istituzionale tipica di una concezione laica dello Stato, a meno che con laico si intenda erroneamente non-rapporto con tutto ciò che ha a che fare con il religioso. Fare un patto con la Chiesa riconoscendone la libertà di azione all’interno del proprio territorio è invece una espressione significativa di laicità, in quanto da una parte rappresenta la capacità di riconoscere e valorizzare la complessità del contesto sociale in cui uno Stato opera e dall’altra è il riconoscimento dell’esistenza di altri soggetti che nascono al di fuori dello Stato e che lo Stato non ingloba in sé, ma valorizza nella loro autonomia. Gianni Mereghetti Abbiategrasso (Mi) Caro Mereghetti, so che la laicità non è un concetto univoco e che la mia affermazione («Lo Stato italiano non è laico») può essere contestata. In un bell’articolo apparso in Francia nel libro «La laïcité à la preuve» (edizioni Universalis), Francesco Margiotta Broglio ricorda che ogni Stato europeo ha la propria storia delle libertà religiose, che ogni Stato ha integrato le religioni nella democrazia e definito a suo modo la neutralità dello spazio pubblico. questa, del resto, la ragione per cui il trattato costituzionale dell’Unione europea ha lasciato a ogni diritto nazionale la libertà di definire e regolare lo statuto delle Chiese e delle comunità religiose. Non basta. Come ricorda l’autore dell’articolo, vi sono pareri della Corte costituzionale che hanno proclamato e definito la laicità dello Stato italiano. Secondo il parere n. 13/1991, ad esempio, la laicità non implica indifferenza per le religioni, ma una garanzia di salvaguardia per la libertà religiosa in un regime di pluralismo confessionale e culturale. Perché dunque, nonostante queste autorevoli assicurazioni, continuo a pensare che lo Stato concordatario italiano non possa definirsi laico? Quando l’Assemblea costituente discusse il problema dei Patti Lateranensi qualcuno osservò che non sarebbe stato giusto confermare la validità di un Concordato in cui veniva implicitamente richiamata la formula dello Statuto albertino secondo cui la religione cattolica apostolica romana è la sola religione dello Stato. Ma un costituente, l’on. Condorelli, sostenne che l’art. 1 dello Statuto significava semplicemente questo: «Ove lo Stato avesse avuto bisogno di accompagnare suoi atti con riti propiziatori o di ringraziamento avrebbe dovuto ricorrere al rito cattolico e ai sacerdoti cattolici». Questa affermazione mi sembra brillante, ma non convincente. Le cerimonie religiose non possono essere semplici orpelli e liturgie formali. Se lo Stato le considerasse tali, i primi a dolersene dovrebbero essere i fedeli. Nel Concordato del 1984, beninteso, il riferimento allo Statuto Albertino è scomparso, ma nelle pubbliche occasioni i riti continuano a essere quelli della Chiesa cattolica e alcuni corpi dello Stato (le Forze Armate ad esempio) sono a questo proposito particolarmente osservanti. Non è tutto. L’art. 9 del nuovo Concordato riconosce «il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado». L’ultima parte dell’articolo garantisce il diritto di scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento, ed è quindi laica. Ma certi riflessi concordatari si sono dimostrati più tenaci di quanto i negoziatori italiani del Concordato non avessero immaginato. Ne abbiamo avuto conferma quando abbiamo appreso che il ministero della Pubblica istruzione intendeva accogliere nei ruoli i 20.000 insegnanti di religione delle scuole italiane. Erano scelti dalle diocesi, ma potevano divenire a tutti gli effetti funzionari dello Stato. Posso soltanto ripetere, caro Mereghetti, quello che ho detto in un’altra occasione: in Italia la Chiesa è libera, lo Stato un po’ meno. Sergio Romano