Corriere della Sera 02/08/2005, pag.30, 2 agosto 2005
Incas, il popolo che adorava il Sole e la strada. Corriere della Sera 02/08/2005. Nemesi della storia, vendetta di Atahualpa: gli Incas sono ancora tra noi
Incas, il popolo che adorava il Sole e la strada. Corriere della Sera 02/08/2005. Nemesi della storia, vendetta di Atahualpa: gli Incas sono ancora tra noi. Sette boliviani su dieci, un peruviano su due, il 40 per cento degli ecuadoregni hanno quei volti, parlano quella lingua, camminano lungo quelle strade. Sono passati cinque secoli dall’olocausto delle Americhe, la conquista crudele che in poco tempo fece crollare uno dei grandi imperi della storia. Erano dieci, forse dodici milioni gli indigeni. La strage iniziò subito, l’obiettivo era l’oro per la Corona. Il 90 per cento morì in poco tempo di guerre, lavoro forzato, schiavitù, virus sconosciuti. Ma l’impronta di quella razza fiera resistette ai secoli ed è oggi parte dominante nei tre Paesi andini. Poveri, emarginati ma orgogliosi, i cholos, i campesinos sono gli eredi degli Incas, i figli dei sudditi dell’Inca (così era chiamato anche l’imperatore), a sua volta figlio del Sole «Inti» e la cui dinastia sorse, secondo il mito, dalle acque del lago Titicaca. Della grande architettura Inca gli spagnoli non lasciarono in piedi quasi nulla, se non qualche muro. Il famoso complesso del Machu Picchu si salvò perché nascosto dalla foresta tropicale e dalle nuvole. I colonizzatori non poterono invece fare a meno di risparmiare, e usare abbondantemente, l’altro straordinario lascito degli Incas, la rete stradale. sorprendente come una civiltà che non conosceva l’uso della ruota – al massimo faceva scivolare le pietre sui tronchi d’albero – abbia potuto creare una rete viaria di oltre 10.000 chilometri, i cui tracciati sono in gran parte usati ancora oggi. La vastità dell’impero, esteso lungo un territorio impervio, impose le strade come metodo di centralizzazione e di controllo. Il sistema era costituito da due arterie parallele, una lungo il Pacifico e l’altra che seguiva il profilo delle Ande. Al centro del sistema c’era Cuzco, la capitale dell’impero, l’ombelico del mondo secondo la mitologia Inca. Il percorso andino, in particolare, era un capolavoro di ingegneria. La strada saliva e scendeva soavemente da picchi di 5.000 metri a vallate di 2.000, tra strapiombi incredibili, grazie ad audaci tagli della roccia. Il fondo era di pietra, sempre ben mantenuto, e la larghezza era costante di 7 metri e mezzo. Le strade erano percorse a piedi, da uomini soli o accompagnati da animali da soma (i lama). Tra i viandanti c’erano i famosi chasquis, i messaggeri dell’Inca. Erano ragazzi, con un fiato incredibile e resistenti alla fatica della rarefazione dell’aria, che con il sistema della staffetta riuscivano a far arrivare i messaggi da una parte all’altra dell’impero in pochissimo tempo. Per gli Incas le strade erano sacre. L’ordine da Cuzco era di tenerle pulite, sempre agibili e addirittura dotarle di servizi efficienti, come locande per il ristoro e il riposo dei viaggiatori, punti di vendita di cibarie, persino templi dove fermarsi a pregare il dio Sole. Quando si rompeva un ponte, tutta la popolazione vicina si mobilitava per ripararlo al più presto. La comunicazione era potere. I regnanti eredi dei Sole, che neppure avevano la scrittura, l’avevano capito benissimo.