Corriere della Sera 04/08/2005, pag.33 Sergio Romano, 4 agosto 2005
Come i Savoia perdettero la loro antica patria. Corriere della Sera 04/08/2005. Sono per metà savoiardo e, a questo titolo, credo di poter esprimermi a ragion veduta in merito alla interessante discussione aperta sul plebiscito che sancì legalmente, centoquarantacinque anni fa, un dato di fatto: la profonda ed esclusiva «francesità» della Savoia
Come i Savoia perdettero la loro antica patria. Corriere della Sera 04/08/2005. Sono per metà savoiardo e, a questo titolo, credo di poter esprimermi a ragion veduta in merito alla interessante discussione aperta sul plebiscito che sancì legalmente, centoquarantacinque anni fa, un dato di fatto: la profonda ed esclusiva «francesità» della Savoia. Non entro nel merito delle sue pur apprezzabili considerazioni intorno alle vicende storiche di Nizza, che non mi riguardano personalmente. Ciò che mi ha davvero meravigliato è stato apprendere dalla sua risposta, data al lettore altoatesino, come uno storico del calibro di Romeo possa aver scritto che i cittadini savoiardi sarebbero stati oggetto di pressioni e metodi «brutali» da parte di agenti imperiali per convincerli a votare, in quel fatidico aprile 1860, in favore dell’annessione alla Francia. Al di là dell’ilarità che questa affermazione ha suscitato nella mia famiglia, vorrei rassicurare tutti i lettori (ma a chi interessa ancora una cosa del genere?): la Savoia è sempre stata una terra francese, per lingua, tradizioni e cultura. Il resto, lo lascerei a certe tentazioni italo-revansciste di poco conto. Fabrizio Franciosi allobroge@iol.it Caro Franciosi, sull’unione della Savoia alla Francia esiste un breve libro di Paul Guichonnet («Comment la Savoie se rallia à la France») pubblicato a Thonon les Bains quarantacinque anni fa in occasione del centenario del referendum. Guichonnet è uno storico «di parte», molto sensibile alle ragioni francesi e felice di ricordare un lieto evento della Grande Nation, ma ha fatto un buon lavoro e offre una ricostruzione credibile delle vicende che precedettero il voto del 22 aprile. Il punto di partenza è una riunione del Parlamento di Torino il 9 febbraio 1859, convocata per discutere il prestito di 50 milioni con cui Cavour intendeva finanziare il riarmo dell’esercito sardo in previsione della Seconda guerra d’indipendenza. La destra conservatrice e cattolica non approvava la politica rivoluzionaria del presidente del Consiglio e si oppose. Il suo leader era un savoiardo, il marchese Pantaléon Costa de Beaurégard. Prese la parola per deplorare la politica aggressiva del governo e ammonire Cavour: «Finché saremo uniti, la Savoia combatterà in prima fila contro i nemici del Piemonte». Ma se Torino avesse fatto una politica italiana, i savoiardi avrebbero scelto la Francia. Non era un sentimento nazionale francese, quindi, quello che animava Costa de Beaurégard, ma il timore che la sua regione, anziché essere la componente originaria di un piccolo regno alpino, divenisse l’estrema provincia settentrionale di uno Stato nuovo in cui gli equilibri fra le sue diverse parti sarebbero stati completamente modificati. Da quel momento, scrive Guichonnet, si cominciò a discutere apertamente di una possibile unione della Savoia alla Francia. Ma sarebbe sbagliato, aggiunge, sostenere che l’annessione «sia stata strappata al Piemonte da un inarrestabile movimento di massa. L’opinione pubblica era passiva e non aveva i mezzi materiali e legali per esprimersi. Decisa dalla diplomazia, l’unione sarà ratificata dal voto del 22 aprile grazie all’azione di un pugno di notabili. Questa élite illuminata (la stessa che sotto il regno sardo godeva dei diritti politici) fu appoggiata dal clero che mise la sua autorità morale al servizio della causa francese». Alle parole di Guichonnet, aggiungo che molti «sì» furono dovuti a una dichiarazione di Vittorio Emanuele che scioglieva i suoi sudditi savoiardi dal loro giuramento di fedeltà. Per meglio mettere a fuoco queste situazioni occorre ricordare, caro Franciosi, che nell’Ottocento e sino alla prima metà del Novecento il sentimento nazionale dei popoli europei convisse talora in una stessa regione accanto all’antica lealtà per la dinastia che vi aveva lungamente regnato. Non si spiegherebbe altrimenti il profondo attaccamento agli Asburgo di una parte considerevole delle popolazioni che facevano parte della Duplice Monarchia. E non si spiegherebbe perché i francofoni della Valle d’Aosta, dopo la Seconda guerra mondiale, abbiano voluto restare italiani. Sergio Romano