varie, 17 agosto 2005
BRUSCHELLI Luigi
BRUSCHELLI Luigi Siena 27 dicembre 1968. Fantino. Detto “Trecciolino”, 12 vittorie al Palio di Siena (l’ultima con la Tortuca il 15 agosto 2010) • «Solo il più vorace dei fantini poteva interrompere un digiuno lungo 44 anni. Solo Luigi Bruschelli, in arte Trecciolino, poteva togliere dalla testa della Torre quella “cuffia della nonna”, simbolo fin troppo gentile di una gioia repressa per decenni, di “purghe” dolorosissime e di speranze e sogni che finivano regolarmente in frantumi in Piazza del Campo. [...] nessuno è riuscito ad impedire a Bruschelli di vincere il suo decimo Palio, a Berio il suo quarto su sei corsi. Un “cappotto” che nel Novecento è riuscito solo a tre accoppiate fantino-cavallo: nel ’22 a Cispa e Fanfara, nel ’33 a Ganascia e Folco e nel ’72 a Aceto e Mirabella. [...]» (Pino Di Blasio, “Corriere della Sera” 17/8/2005) • «È entrato con un nerbo di bue alzato nella categoria degli invincibili. Luigi Bruschelli, in arte Trecciolino [...] senese di nascita e di professione, in poco più di un minuto “di lavoro” ha incassato, almeno in termini di popolarità, quanto le stelle dello sport, alla Valentino Rossi o Tiger Woods. Ma senza sponsor miliardari e tv planetarie. Nato nella contrada del Valdimontone, famiglia di montonaioli storici come lo zio Senio a lungo priore in via dei Servi, oltre che rettore dell’Opera del Duomo e deputato della Fondazione Monte, Bruschelli è alto più della media dei fantini, sopra 1,70. E ha un fisico asciutto, atletico, senza un filo di grasso. 74 secondi: tanto ha impiegato per vincere in sella a Berio il suo decimo Palio, il terzo consecutivo, per salire sul podio dei fantini plurivittoriosi dal Novecento ad oggi. Dietro il mitico Aceto, a quota 14, e l’ex re Picino, fermo dagli inizi del Novecento a 13. E in 74 secondi, vincendo il Palio per la Torre, contrada a digiuno da ben 44 anni, Trecciolino si sarebbe assicurato anche una pensione dorata. “Ma non scherziamo — replica pronto Bruschelli — io devo ancora vederli i fantini miliardari nel Palio. Giornali e tv sparano numeri da capogiro. Dire che mi sono fatto la pensione con la Torre, parlare di ingaggi e patti da centinaia di migliaia di euro è una sciocchezza. Non continuerei a rischiare l’osso del collo”. [...] Trecciolino sfugge anche agli altri canoni del guerriero del Palio. Una tv tedesca, venuta da Berlino ad intervistarlo, insiste sui confronti con gli altri fantini. “Non ho sfide aperte con nessuno, non inseguo i primati di Aceto — continua a ripetere Trecciolino —. Fino a quando mi sentirò di correre in Piazza, lo farò. Correre il Palio è già storia, vincerlo vuol dire essere parte della storia. È il Palio la festa che merita di essere raccontata. Io sono solo uno strumento”. Una frase del genere Aceto non l’avrebbe mai pronunciata. Lui sbeffeggiava gli avversari con la sua faccia da apache, distribuiva in egual misura nerbate e favori. E fuori dalla piazza attirava i riflettori dei media, parlava con capi di Stato e attori, riceveva a bordo piscina Tony Blair e Mel Gibson. “Io non sono Aceto — ribatte serafico Bruschelli — non cerco confronti. Mi fa piacere essere considerato un invincibile, ma credo di essermi trovato solo nella situazione giusta al momento giusto. C’è sempre un cambio generazionale nel Palio, ora è il mio momento. Ma gli anni passano, cresceranno anche i miei avversari. E Bruschelli diventerà il passato”. Quando parla non usa mai il suo “nome da battaglia”, Trecciolino. Come se non sopportasse quel diminutivo. “Me lo diede il capitano della Civetta quando corsi il primo Palio nel ’90 e caddi al primo San Martino. Nel loro passato c’era un fantino chiamato Trecciolo, vinse tre palii. Io ho corso sette o otto volte nella Civetta, senza vincere. Ma io sono Trecciolino in piazza, il resto dell’anno sono Gigi Bruschelli”. Il Gigi comincia a vincere tardi, nel luglio ’96. Ma non smette più. “Non ero partito bene, quella volta nel ’96. Ero nell’Oca, avevo Giove come cavallo. Ho cominciato a rimontare e ho capito che potevo farcela. Ho dato nerbate sia a Cianchino che al Pesse. Ma al Palio le nerbate si danno e si prendono [...]”. Bruschelli ha spaccato Siena in due tra chi lo idolatra e chi parla di “dittatore di Piazza”, di grande burattinaio che gestisce contrade e fantini a suo piacimento. “Macché dittatore, questo lo dice chi non riesce a vincere”. Proviamo la strada delle emozioni forti, quella vittoria regalata a una contrada, la Torre, che non vinceva da quasi mezzo secolo. Ma la risposta è in linea con il personaggio: “Sono felice di aver dato una gioia ad un popolo che non vinceva da 44 anni. C’erano tantissimi contradaioli che non avevano mai vinto un Palio. Non è giusto per nessuno stare così a lungo senza gioire”. Faccia pulita, amore per la famiglia, per la compagna Anna Rita che gli fa da manager e per il figlio Enrico [...] con il quale vede film come Re Artù e il Gladiatore. Non lo scalfisce nemmeno il fatto che piaccia a tutte le contradaiole, che affascina le donne qualunque giubbetto indossi. Luigi Bruschelli è uno Schumacher del tufo, un ragioniere della vittoria. “Non mi sento tale. Ho una scuderia, mi alzo alle 4 tutte le mattine per accudire i cavalli, per montarli con il fresco. Accompagno mio figlio a scuola, mi alleno anche nel pomeriggio e faccio pubbliche relazioni con le contrade e gli altri fantini. Mi aiuta Anna Rita. Sa, sono 17, ognuna ha bisogno del suo tempo”. Un fantino versione supereroe: Superman due volte l’anno per un minuto e mezzo, Clark Kent tutti gli altri giorni» (Pino Di Blasio, “Corriere della Sera” 21/8/2005).