Varie, 17 agosto 2005
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Molteni Ambrogio
• 1933, Besana Brianza 16 agosto 2005. Imprenditore • « stato per un ventennio uno dei simboli più importanti del ciclismo mondiale [...] popolare ”patron” di tanti assi delle due ruote [...] il ”patron” per eccellenza. Il primo vero ”Cavaliere” dello sport. Di quelli di una volta: travolti più dalla passione generosa per lo sport, il ciclismo in questo caso, che dai calcoli interessati che regolano oggi il freddo mondo della sponsorizzazione. Una mano sul cuore, la passione per la bici, un’altra sul portafoglio a ”sostenere” campioni di ogni nazionalità. Un nome su tutti: quello di Eddy Merckx, il popolare ”cannibale” degli anni ’70 che ha reso quella maglia ocra con la scritta bianca su fondo nero l’immagine stessa della vittoria. Dal nulla, così come aveva creato la sua grande azienda di salumi, Molteni aveva anche messo in piedi un team destinato ad entrare nella storia: l’Alimentari Molteni Arcore, una autentica macchina da risultati. Vi hanno corso qualcosa come 124 atleti, di cui 47 stranieri. Con quella maglia addosso il solo Merckx centrò, dal 1971 al 1976 ben 246 vittorie, fra cui nel solo ’71: il Tour, il Mondiale di Mendrisio, la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia. Ma di quella squadra fece parte anche Marino Basso (35 vittorie in maglia Molteni, di cui 9 tappe al Giro e 3 al Tour fra il 1967 e il 1971), Michele Dancelli (41 successi, compreso il campionato italiano del ’66 e la Freccia Vallone dello stesso anno), Gianni Motta (52 successi con la prestigiosa vittoria al Giro del ’66). Non c’è praticamente corsa di peso che non abbia visto quella maglia sul traguardo del primo: una messe di successi (663) davvero impressionante. Colpito da un grave lutto di famiglia, la morte della moglie Olga in un incidente di lavoro, il Cavaliere si ritirò a poco a poco dalla gestione dell´azienda, che subirà poi una grave crisi, fino al fallimento che gli costò anche una condanna per bancarotta fraudolenta. Ma il ciclismo restò sempre nel suo cuore e in quello dei suoi successori, i figli Mario e Pierangela [...]» (Eugenio Capodacqua, ”la Repubblica” 17/8/2005). «Dal papà, il cumendatur Piero, aveva ereditato tutto: cognome, fabbrica e passione. Cognome: Molteni. Fabbrica: salumi. Passione: ciclismo. La partenza, nel ’58, è falsa: risultati zero. Poi arriva Giorgio Albani: ”Metà corridore e metà organizzatore della squadra, corro il Giro del ’59 con il numero sula schiena e il libretto degli assegni in mano. Dopo 14 tappe gli confesso: ’Sciur Ambroeus , non ce la faccio più’. Lui mi tranquillizza: ’Siamo qui per divertirci’. Stacco il numero dalla schiena e continuo a seguire la corsa sul furgone della squadra, con il libretto degli assegni”. Albani ottiene carta bianca solo il giorno in cui il sciur Ambroeus rimane scottato dall’ingaggio di Romeo Venturelli: ”E adesso ranges”. Albani si arrangia. Alla grandissima. In una quindicina di anni la Molteni conquista 246 vittorie con Eddy Merckx, 48 con Gianni Motta, 47 con Michele Dancelli, 34 con Marino Basso. In tutto 663 primi posti e 124 corridori, di cui 47 stranieri. ”’Pinellìn , passa a trovarmi’. Io andavo in fabbrica e uscivo con un pacchetto pieno di filetti” (Luigi Arienti). ”Sacchetto, borsa, valigia, macchina... Ogni volta andavamo a trovarlo con qualcosa di più grosso. E lui ci riempiva di salumi in busta ” (Giacomo Fornoni). ”Prima corsa per la Molteni al Trofeo Fenaroli del ’61, vado in fuga, cado, clavicola, ospedale. Interviene lui e mi fa ricoverare alla Madonnina, clinica per vip a Milano, e paga anche il conto” (Alcide Cerato). ”Fine ’66, firmo prima per la Molteni, poi per la Vittadello. Invece di piantare una grana, mi fa: ’Se vuoi andare via..., se mai ne riparliamo più avanti’. Due anni e torno alla Molteni. E alla Sanremo 1970 io vinco e piango, ma lui piange più dime” (Dancelli). ”Giro ’66, tappa di Vittorio Veneto, ho 16’ di vantaggio e lui: ’Tieni duro!’” (Pietro Scandelli). ”’Allunga il passo’, mi urlava. E io: ’Sarebbe meglio che lo accorciasse quello davanti’” (Motta)» (Marco Pastonesi, ”La Gazzetta dello Sport” 17/8/2005) • «In morte di Ambrogio Molteni - 72 anni, infarto - si deve celebrare la fine dello sponsor ciclistico di prima generazione, quello che non sapeva di avere quel bel nome latino e internazionale e al massimo accettava di passare per industrialotto mecenate che intanto faceva un po’ di pubblicità a se stesso e ai suoi prodotti. Eppure era soprattutto un appassionato di ciclismo, uno cresciuto nel dopoguerra a flebo sentimentali di Bartali e di Coppi e anche e specialmente, in questo caso, di Magni, il terzo uomo: perché il salumificio Molteni è di Arcore, Brianza, e Fiorenzo Magni è un toscano di Monza, un pratese che ha vissuto e pedalato sin da giovanissimo nelle plaghe brianzole. Ambrogio Molteni, tipico ”cumenda” lombardo, figlio dell’ancor più tipico signor Pietro, ha tenuto insieme sotto il proprio cognome e con i soldi di famiglia una delle più grandi squadre di ciclismo di ogni tempo: maglia color camoscio con bordini blu, sede in una specie di santuario del pedalar brianzolo chiamato la Canonica, ciclisti possibilmente lombardi e casomai fiamminghi, che sono i lombardi del Belgio. In vent’anni sono passati nella Molteni campioncini e campioncioni, 124 corridori di cui 47 stranieri: da Guido Carlesi, secondo nel Tour 1961 (in maglia azzurra della Nazionale, però) dietro all’allora imbattibilissimo Anquetil, a Gianni Motta vincitore del Giro d’Italia nel 1966, a Michele Dancelli capace nel 1970 di interrompere una sequenza di sedici vittorie straniere alla Milano-Sanremo, a Marino Basso campione del mondo nel 1972. Sino al massimo dei massimi, Eddy Merckx, guidato (fra l’altro per tre vittorie rosa al Giro, tre gialle al Tour e due iridate ai Mondiali) si capisce da un brianzolo, Giorgio Albani detto il loico di Monza, che da ciclista portava gli occhiali da tecnocrate come allora soltanto Jean Bobet, il fratello intellettuale del grande Louison. Merckx vinceva tutto, ma proprio tutto, e il giorno che si prese, dominatore al Tour de France, dello scemo da Albani perché non aveva favorito, in una tappetta da lui vinta in volata, la vittoria di giornata di Tosello che così l’anno dopo sarebbe stato alla Molteni suo gregario riconoscente e schiavo fedele, disse: ”Giorgio, il pubblico aspettava che vincessi io e non bisogna deluderlo mai”. [...] Sotto le feste la Molteni corrompeva i giornalisti mandando un cestino molto ino con dentro un salame classico, due cacciatorini e una mortadella di mezzo chilo, in mezzo a tanta finta paglia che si spargeva per la casa. Il signor Ambrogio era sempre disponibile per le interviste, a patto che non gli venissero fatte domande pesanti, tipo quanti salumi in più voleva dire ogni vittoria di Merckx. Per le pierre - che però anch’esse allora avevano altri nomi, chiacchierate per esempio - c’era la moglie Olga, una bella donna che nel 1979 conobbe una morte atroce, straziata da uno dei suoi macchinari che ”lavoravano” i maiali, una sega che lei stessa, scivolando sul sangue del macello, aveva azionato. Ma la squadra era finita tre anni prima, per uno scandalo con anche manette, processo, condanna (non troppo pesante) del signor Ambrogio e di alcuni collaboratori: la Molteni importava maiali dalla Cina, senza dogana perché li denunciava in lavorazione provvisoria per il mercato estero, in realtà esportava mortadella allo sterco e usava la carne dei maiali per fare i salumi tipici brianzoli. Anche allora la nostra industria aveva problemi cinesi. [...]» (Gian Paolo Ormezzano, ”La Stampa” 17/8/2005).