varie, 13 agosto 2005
Tags : Dino Fabbri
FABBRI Dino. Nato nel 1922, morto a Miami (Stati Uniti) l’11 dicembre 2001. Fondatore di uno dei più grossi imperi editoriali del dopoguerra, la Fratelli Fabbri Editori
FABBRI Dino. Nato nel 1922, morto a Miami (Stati Uniti) l’11 dicembre 2001. Fondatore di uno dei più grossi imperi editoriali del dopoguerra, la Fratelli Fabbri Editori. «Dicevi ”Fabbri”, e tutti capivano ”cultura a dispense”. Era una febbre, una delle tante che percorsero gli anni Cinquanta e Sessanta: un periodo nel quale ancora prosperava il mito dell’istruzione popolare, dell’editoria per tutti, del ”sapere” come bene di largo consumo. Gli italiani vivevano in quel loro ’miracolo’ che oggi è oggetto di meditazioni storiche. In questo senso, la morte di Dino Fabbri suona come il tardivo suggello di un’epoca. Nella quale il lanciare uno sguardo nelle edicole poteva assumere la dignità di una ricerca intellettuale, e il tornare a casa carico di fascicoli entusiasmava i familiari, spesso catalogabili (magari a loro insaputa) fra gli analfabeti di ritorno. Una categoria che la Fabbri editore, sfornando tonnellate di carta multicolore, si sforzava di assottigliare numericamente. Nel proprio interesse, certo. Ma anche in quello, ben più importante, del Progresso. Non sono nati ricchi, i fratelli Fabbri, Giovanni, Dino e Rino. Classe d’età, rispettivamente, 1920, 1922 e 1927. Il padre - informano le cronache - era fruttivendolo. Da questo punto di vista, il loro esordio industriale non differisce molto da quello, più antico, dei patriarchi dell’editoria lombarda, un Angelo Rizzoli, un Arnoldo Mondadori, diventati diffusori di una cultura di cui non avevano respirato gli effluvi in famiglia: circostanza che li rendeva sensibili alle esigenze del lettore autodidatta. A differenza dai grandi pionieri, i Fabbri avevano conseguito una laurea (Dino, in giurisprudenza). Ma di quei modelli possedevano il fiuto. Si vide fin dall’inizio: la loro prima impresa degna di ricordo concerne l’editoria scolastica. Con il marchio Fabbri erano usciti, prima della guerra, degli smilzi riassunti di geografia per i licei. Già, dunque, cultura in pillole. L’alluvione delle dispense targate Fabbri - nelle quali emergeva il talento di Dino, il più ”coltivato” dei tre - venne dopo un adeguato periodo di rodaggio, che durò dal ’46, data di fondazione dell’Azienda, alla metà del decennio successivo. Il successo sarebbe stato folgorante. Appena nata, la tivù s’era scoperta tra l’altro la vocazione d’’insegnare”. A un pubblico caduto in estasi per Mike Bongiorno il video emanava soporiferi Convegni dei Cinque o ammiccanti conferenze del professor Alessandro Cutolo. Nel 1955 la Bur, Biblioteca universale Rizzoli - capolavoro produttivo del vecchio Angelo - comprendeva un migliaio di titoli di classici a prezzi minimi. I fascicoli settimanali della Fabbri intitolati I Maestri del Colore, quelli sulla Divina Commedia o sulla storia della musica si adagiavano, dunque, in un campo ben dissodato. Fino a diventare un oggetto di culto per un italiano ’medio’ che magari, nel suo intimo respingeva questa qualifica, candidandosi ad entrare nel recinto dorato della gente colta. Riportato a un’ingenuità sociale che oggi può far sorridere, il completo possesso dell’enciclopedia Conoscere equivaleva a un simbolo di status. E comunque il capofamiglia o qualche suo figliolo si poteva trovare di colpo alle prese con le domande di Lascia o raddoppia. In questo senso quella carta variopinta, targata Fabbri, assumeva anche l’aspetto di un’assicurazione sulla vita. La quale (l’avrebbe rivelato più tardi Renzo Arbore) è tutta un quiz. Alla vicenda che ebbe come interpreti Dino e i suoi fratelli non è toccato un finale roseo. La loro fu un’invenzione acuta, ma di breve fortuna. Ben presto le enciclopedie rilegate - penso alle Garzantine - invasero il mercato, e intanto, per fare un altro esempio, gli Oscar Mondadori dotavano le case degli italiani di classici che avevano perso la patina grigia delle origini. Le serie di libri a prezzi economici dilagavano a tal punto sui banchi dei giornalai e sui carrettini delle stazioni da strappare a Guido Ceronetti uno storico lamento: ”Ci sono più tascabili che tasche”. Entrata prima nell’orbita degli Agnelli attraverso l’Ifi, poi in quella di Rizzoli, la Fabbri ha da tempo cessato di sedurre un pubblico più smaliziato. Meno provinciale. Oppure - ipotesi anch’essa da contemplare - più rassegnato alla propria ignoranza? Chissà quanti italiani, intorno a un’edicola, si darebbero oggi alla fuga al solo sentir parlare dei Maestri del colore» (Nello Ajello, ”la Repubblica” 12/12/2001).