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 2005  agosto 15 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 15 AGOSTO 2005

Alejandro AGAG. Nato a Madrid nel 1970. «uomo delle carriere a razzo»: era segretario del Ppe poi, in vista delle nozze con la figlia di Aznar (settembre 2002), si è dimesso. Adesso dirige il Banco Portugues de Negocios. [1] Suo vanto: «Sono stato eletto segretario del Ppe nel febbraio 1999. A marzo ero già a Roma». All’inizio gli ha fatto da guida Cossiga. [2] Adesso preferisce Briatore. [3] Intrallazza col suocero per riportare ”El Mundo” (Rcs) in mani amiche alla sua fazione (Vocento). [4]

Silvio BERLUSCONI. Nato a Milano nel 1936. Chi gli vuole bene: «Da costruttore, vendeva personalmente gli appartamenti. Da geniale e tenace creatore della tv commerciale o libera, ruppe il monopolio della Rai». [5] Chi gli vuole male: «Era un impresario edile piduista [...] dagli schermi disintegra le teste abbassando l’età mentale media a 11 anni». [6] In politica da fine ’93 con la fondazione di Forza Italia, è presidente del Consiglio da oltre quattro anni (record). Lo accusano di essere il mandante della scalata ad Rcs. [7] Alberto Statera su ”Repubblica”: «Il suo progetto è chiaro: se vince le elezioni del 2006 trasferisce all’estero le sue ricchezze e tenta ancora di governare. Se le perde, vincerà l’Italia, ma lui l’Italia se la comprerà: Mediaset e la Mondadori ce le ha. E poi il Corriere e poi Telecom e poi magari bei pezzi di Mediobanca e delle Generali. E poi chissà». [8]

Sergio BILL. Nato a Messina nel 1947. Pasticciere detto anche ”Sergio Bigné” (ma lui preferisce i cannoli), è «un bel pezzo di democristiano». [9] A capo della Confcommercio (conservatori) dal ’95, è famoso per le gaffe: beccò una querela per aver detto che la riforma delle pensioni era annacquata come il Frascati. Dicono che muove 4 milioni di voti. Ricucci, che punta agli appartamenti messi in vendita dall’ente previdenziale Enasarco (14.000, valore 3,25 miliardi di euro), se l’è fatto amico. [10]

Flavio BRIATORE. Nato a Verzuolo (Cuneo) nel 1950. «Playboy e finanziere, biscazziere ed ex luogotenente di Luciano Benetton negli Stati Uniti, manager vincente dell’automobilismo e inventore di locali notturni di successo». [11] Dice: «Io creo posti di lavoro e passo per essere quello farfallone. In Italia invece i manager bravi sono quelli che hanno inventato la cassa integrazione». [12] Amico di Ricucci, dà «una mano» alla cordata che scala Rcs (organizza cene, blocca parodie). [13]

Francesco Gaetano CALTAGIRONE. Nato a Roma nel 1943. Ingegnere. Costruttore. Editore (’Il Messaggero”, ”Il Mattino”, ”Leggo”). «Un uomo che ha costruito tutto dal nulla, e ha costruito davvero tanto. Immobili. Grandi opere. Cemento. Editoria. Servizi e finanza». Si lamenta: «Il profitto e la ricchezza sono considerati un peccato. una delle cose da risolvere, il successo non è un furto, il profitto non è peccato, il parassitismo è peccato, l’assistenzialismo immeritato è peccato». [14] Tra i suoi nemici, il ”re delle coop rosse” Consorte, che in una telefonata con Gnutti lo accusava: «non sa nemmeno come funziona la Borsa» (risposta del raider bresciano: «Nessuno sa come funziona una Borsa»). [15] Possibile obiettivo, la conquista del Monte dei Paschi di Siena (di cui è già socio), che potrebbe rivendere in un secondo tempo (come è accaduto con Bnl). [16]

Giovanni CONSORTE. Nato a Chieti nel 1948. Presidente e amministratore delegato Unipol, «re delle coop rosse». Bolognese d’adozione, richiama alla mente la provocazione dello scrittore emiliano Vittorio Messori: «La gente, da noi, fu molto cattolica, poi molto socialista, poi molto fascista, poi molto comunista. Infine, molto consumista». [17] Dicono che gli piace comandare e non tollera pareri contrari. Ha fatto crescere la Unipol comprando compagnie senza curarsi del prezzo e dei risultati, in modo da raggiungere la dimensione per tentare giochi più grandi: tipo l’assalto alla Telecom del 1999, durante il quale fece amicizia con la razza padana (Gnutti, Fiorani ecc.). Da qui, la conquista della Bnl, una partita per la quale le Coop non hanno probabilmente soldi né interesse, ma che significa l’ingresso nel gotha della finanza italiana. [18] Forse ”puparo” di Ricucci, forse ”pupo” di D’Alema, forse tutt’e due. [19] Al momento deve salvare la conquista di Bnl dalle sfumature giuridiche (articolo 2361 codice civile). [20]

Danilo COPPOLA. Nato a Roma nel 1967. Il padre, arrivato nella capitale da Casablanca, si inventò costruttore: «quando si trattava di comprare aree in zone in via di sviluppo, non stava lì a tirare sul prezzo». Il figlio ha preso in mano la situazione nel ’95, e in breve s’è allargato alla finanza. [21] Forte dei milioni di plusvalenza dell’operazione Bnl, ha rafforzato la sua partecipazione in Mediobanca. Dice che vuole salire fino al 5% (sta già sopra il 4), viste «le potenzialità di crescita della società e delle partecipazioni detenute». La stessa cosa che diceva Ricucci quando iniziò a rastrellare Rcs... [22]

Massimo D’ALEMA. Nato a Roma nel 1949. Presidente dei Ds, esordì da ”pioniere” con un discorso davanti a Palmiro Togliatti (che commentò: «quello non è un bambino, è un nano»). Durante la permanenza a Palazzo Chigi (21 ottobre 1998-19 aprile 2000) fu protagonista di una polemica contro «quelli dell’uno e mezzo per cento», la vecchia élite, a partire dalla Fiat, convinta di poter comandare senza rischiare nulla. Con l’operazione Telecom, immaginò una ”nuova classe” imprenditoriale che sostituisse quella vecchia (operazione fallita). Ha fatto storia la battuta di Guido Rossi: «Palazzo Chigi è l’unica merchant bank in cui non si parla inglese». [23] Adesso lo accusano di far coppia con Consorte, in contrapposizione all’asse Berlusconi-Ricucci. [24] Galapagos sul ”manifesto”: «D’Alema stia attento: a giocare con la grande finanza e con i ”capitani coraggiosi” c’è il rischio di scottarsi e di perdere di vista i valori fondamentali che si vogliono rappresentare». [25]

Diego DELLA VALLE. Nato a Casette d’Ete (Macerata) nel 1953. «Guru delle scarpe». Mamma Maria aiutava papà Dorino al bancone della prima aziendina, cuciva tomaie, e lui, piccolissimo, dormiva nei cestoni di vimini pieni di pelli. Dice che è cresciuto con una frase ripetuta a mo’ di ritornello: se vuoi fare bene i tuoi interessi, non devi farli contro gli altri. [26] uno dei pochi membri dell’establishment sopportati da D’Alema (ma non son mai stati in barca insieme). [27] il più deciso avversario della scalata Rcs (fa parte del patto di sindacato col 5,2%): «Qui non si tratta di vecchio e nuovo, qui si confonde tra chi ha messo su fabbriche sudate, chi produce, con chi non si sa da dove arriva». Farà di tutto perché un’eventuale Opa non abbia successo. [28]

Antonio FAZIO. Nato ad Alvito (Frosinone) nel 1936. Governatore della Banca d’Italia dal 1993, fu scelto «per il suo profilo di funzionario modesto, corretto, austero, coriaceo e riservato». Immagine distrutta negli anni, colpo finale le intercettazioni sul caso Antonveneta. «Era pio, Fazio, e l’hanno ribattezzato ”Pio tutto”; era attaccatissimo al suo paesello in Ciociaria, e più di una volta negli ultimi tempi la quiete di Alvito è stata rotta da giornalisti eccitati, tapirofori ossessivi, cardinali benedicenti e poliziotti alle prese con decespugliatori scambiati per ordigni micidiali. Era il guardiano della soglia di via Nazionale, e come in un incubo pagliaccesco quella sede è stata accerchiata da consumatori travestiti da barattoli di pomodoro». [29] Nonostante lo scandalo, non vorrebbe dimettersi, probabile si accontenti dell’«onore delle armi», un’uscita soft nella quale, magari, decidere il suo successore (Vincenzo Desario?). [30]

Gianpiero FIORANI. Nato a Codogno (Lodi) nel 1959. Ragioniere, a 28 anni faceva il giornalista: «Mi stavo facendo un uovo. arrivato Carlo Cantamessi, allora presidente della Popolare di Lodi, e mi ha detto: vieni a lavorare in banca. E io: fossi matto». [31] Invece fece la ”pazzia”, fece carriera, divenne amministratore delegato e «con uno stile diplomatico e assai attento alla politica, ma decisamente molto meno felpato di tanti suoi colleghi, in meno di sei anni ha rivoluzionato la Popolare di Lodi trasformandola da solida ma un po’ sonnacchiosa banca della Bassa a una sorta di PacMan del credito». [32] Fazio ne aveva fatto il cavaliere bianco per salvare Antonveneta dagli olandesi di Abn-Amro, il piano è fallito causa l’intervento della magistratura. Il gip di Milano Clementina Forleo lo ha sospeso per due mesi dall’incarico di amministratore delegato [33] Lui aveva previsto tutto dall’inizio: «Non finirò all’inferno ma sono probabili mille anni di purgatorio». [31]

Cesare GERONZI. Nato a Marino (Roma) nel 1935. presidente di Capitalia. «Beniamino Andreatta aveva capito tutto. ”Di lui sentirete parlare”, avvertì un giorno i suoi colleghi parlamentari. Erano gli anni Settanta, tempi non sospetti». Lavorava alla Banca d’Italia, passò al Banco di Napoli, poi alla Cassa di risparmio di Roma, dove cominciò la scalata. [34] Fiorani l’ha definito «il cancro del paese». [35] Il primo duello si svolse tra la fine del 2001 e gli inizi del 2002, quando Fazio preferì la banca romana all’istituto lodigiano per il salvataggio della Bipop-Carire. Fiorani prese allora ad arrufianarsi Fazio e famiglia. Quando, alla fine del 2003, un Geronzi indagato nell’ambito dell’inchiesta sul crac Cirio disse «temo di essere un passero, mentre la vera caccia è a un piccione», tirando così in ballo il governatore, il rivale ne approfittò per seminare zizzannia. E passare all’incasso con la scalata Antonveneta (Abn Amro è socia della banca romana). [36] Capitalia è nel patto di sindacato Rcs (3,4%) e farà di tutto perché un eventuale Opa sia respinta. [35]

Emilio GNUTTI. Nato a Brescia nel 1947. Presidente di Hopa. Grande appassionato di auto, dicono che «ha una Ferrari per ogni modello uscito da Maranello». [37] Era l’astro nascente della Banca Popolare di Brescia, Bruno Sonzogni lo mise fuori ricoprendolo d’oro. [38] Lo stretto rapporto con la finanza rossa cominciò nel 1998, quando la Banca agricola mantovana, di cui era socio insieme a Colaninno e Lonati, fu rilevata dal Monte dei Paschi di Siena, che successivamente sostenne attivamente la scalata a Telecom. Hopa è il luogo fisico dove si intersecano tutti questi rapporti: Gnutti ne è presidente, Consorte vicepresidente, come Giuseppe Lucchini, partecipante al patto di sindacato Rcs e indicato da Ricucci come uno di quelli pronti a vendergli la propria quota. [39] Adesso il raider bresciano avrebbe un ”progettone finale”: la fusione di Hopa con Interbanca (Antonveneta) ed Efibanca (Lodi) per creare una sorta di mini-Mediobanca. La nuova Hopa dovrebbe orientarsi «verso un nuovo target di investimento», la presenza di Fininvest nell’azionariato lascia aperta la porta a molte suggestioni. [40] Diceva Gnutti riguardo a Tronchetti Provera in una delle intercettazioni: «Viene a miti consigli anche lui... il prossimo anno». Il fatto è che Hopa controlla il 16% di Olimpia, holding dell’ex-monopolio delle tlc, e l’anno prossimo (8 maggio 2006) ha il diritto di uscire ottenendo in cambio un ”premio” di 208 milioni e azioni Telecom in proporzione alla sua partecipazione. Insomma, Hopa potrebbe presto essere un’azionista importante del gruppo. [41]

Salvatore LIGRESTI. Nato a Paternò (Catania) nel 1932. Re del mattone negli anni Ottanta, potentissimo alla corte di Bettino Craxi, forte nella finanza del sostegno di Cuccia, è poi crollato sotto il peso dei debiti e di Tangentopoli, che lo ha portato anche in carcere. Una condanna definitiva lo ha obbligato nel ’97 a passare la mano ai suoi tre figli. [42] Sta nel patto di sindacato Rcs (8,6%) e secondo qualcuno potrebbe esserne il punto debole. Molti osservatori dicono però che in questo momento è il più fidato alleato di Cesare Geronzi. [35]

Ubaldo LIVOLSI. Nato a Milano nel 1946. «Se c’è un uomo a cui Silvio Berlusconi dovrà essere perennemente grato è Ubaldo Livolsi. stato lui, infatti, a metà degli anni ’90 a ”salvare” il Biscione. [...] inventò il marchio Mediaset, coinvolse il sistema bancario e quotò la nuova società. Qualche anno dopo scelse di mettersi in proprio e di fondare una sua merchant bank che è, comunque, rimasta sempre nell’orbita berlusconiana». Detto questo, è facile capire perché secondo molti il suo coinvolgimento nella scalata a Rcs implica quello del premier. [43]

Luca Cordero di MONTEZEMOLO. Nato a Bologna nel 1947. Presidente di Confindustria e della Fiat. Dopo essere stato giovanissimo responsabile della squadra corse Ferrari, compì i primi passi nella Fiat accanto a Gianni e Umberto Agnelli. Direttore generale del comitato organizzatore dei mondiali di calcio 1990, una disastrosa stagione alla Juventus, nel 1991 divenne presidente della Ferrari. «Adesso sono curioso di vedere cosa farà da grande», commentò l’Avvocato. «E da grande ha collezionato successi su successi». [44] Quando è iniziata la scalata a Rcs quasi tutti gli osservatori sostenevano che il punto debole era la Fiat (nel patto di sindacato col 17,7%) che, si diceva, non si sarebbe potuta permettere, nelle sue condizioni, di rifiutare la cessione di una partecipazione estranea al core business. Adesso le cose sono cambiate, i conti della Fiat sono migliorati e Montezemolo si è molto sbilanciato contro gli scalatori. [35]

Stefano RICUCCI. Nato a Roma nel 1962. La sua storia di odontotecnico dei Castelli che diventa palazzinaro con la liquidazione della madre e infine finanziere d’assalto è la più raccontata dell’anno. [45] Ha scritto Alessandro Penati sulla ”Repubblica”: «Impara rapidamente la lezione; la mette in pratica con successo in Capitalia e Bnl; gli va male in Antonveneta; ci prova anche in Rcs. Fin qui, solo un raider de’ noantri, come tanti prima di lui [...]. Ma anche i raider devono rispettare le regole del mercato. La fattispecie si chiama market abuse: è vietata qualsiasi operazione o informazione che abbia il solo scopo di alterare il prezzo di un titolo, perché danneggerebbe gli investitori, inducendoli in errore (per esempio, comperando un titolo perché indotti a credere nell’arrivo di un’Opa). Questa è l’ombra su Ricucci in Rcs: i continui riferimenti al lancio di un’Opa (che se ne fa altrimenti del 29% di una società controllata al 60%?), il flottante ridotto al 10% [...] possono far sospettare un’azione tesa a gonfiare e sostenere il titolo [...] Ma, che piaccia o no, se Ricucci non ha violato le regole, con i soldi, suoi o presi a prestito, può fare quello che vuole». [46] Lui, dalla sua barca in Sardegna, ribadisce che «la partecipazione è strategica e non venderò mai», ma sull’Opa non si sbilancia: «Non ho deciso, vedremo». [47]

Marco TRONCHETTI PROVERA. Nato a Milano nel 1948. «Il bellone della finanza oggi indicato come il Gianni Agnelli del XXI secolo, rampollo di una schiatta lombarda di antico lignaggio, presidente di Pirelli e di Telecom Italia». [48] «Dicono sia un bravissimo sciatore, ma prima che sulla neve è uno slalomista della parola che allude alle cose senza mai entrarci dentro, lasciandole sospese sul bilico di una voluta ambiguità». [49] Di certo, è tra i più fieri difensori del patto di sindacato Rcs (5%). E con la vicenda Telecom si è già guadagnato la fama di salvatore della patria dai disastri di Gnutti & C. Franco Bassanini («il Gianni Letta del primo governo D’Alema»): «Nella compagnia c’erano imprenditori veri con piani industriali come Roberto Colaninno. Assieme a lui c’erano dei raider - come Gnutti e soci - che puntavano solo al capital gain. Sul più bello gli speculatori hanno passato la mano, lasciando Colaninno, come si suol dire, col sedere per terra. Per un pelo la più grande azienda italiana di telecomunicazioni non è finita nelle mani dell’azienda di Stato tedesca: per fortuna subentrarono imprenditori italiani, in primis Tronchetti Provera. Che però si indebitarono fortemente. Per anni Tronchetti ha dovuto sputare sangue e forse non ha ancora finito». [50]