varie, 11 agosto 2005
NERI Grazia
NERI Grazia Milano 16 marzo 1935 • «[...] “Signora della fotografia” [...] Chi vuole incontrarla deve passare attraverso la storia della fotografia. Il suo ufficio, arroccato in cima a un labirinto di scale d’acciaio, scrivanie, computer e telefoni che non cessano mai di squillare, deve apparire una specie di sancta sanctorum ai tanti giovani fotografi che arrivano in questo palazzo della vecchia Milano per far vedere un portfolio [...] quella montagna di scatole arancioni accatastate una sull’altra, rattoppate da un nastro adesivo marrone e con una scritta grande in pennarello nero: G come Gandhi, K come Kennedy, N come Normandia, sbarco in. Quattordici milioni di immagini sui più grandi eventi della storia del Novecento, ma anche straordinari ritratti di uomini che il destino ha segnato con il marchio della celebrità [...] “[...] ci sono foto che non tollero: quelle dei parenti all’aeroporto che piangono i morti in attesa di notizie, per esempio, La privacy dov’è? Una foto così non mi dà alcuna informazione giornalistica per agire. È giusto far vedere il corpo di Moro nella Renault in via Caetani. È scandalosa, invece, la pubblicazione della foto del corpo di Moro sul tavolo dell’obitorio. Il punto centrale è un altro. Bisogna educare a leggere le fotografie come fossero testi scritti. In Italia non c’è neanche l’alfabeto, non esiste la grammatica dell’immagine. Eppure, dovunque, la fotografia si impone. La gente ne è attratta, ma non la capisce. Ogni foto è un racconto. Mi piace consigliare di guardare la foto senza leggere la didascalia. Possono nascere tante storie. Guardate l’immagine nel suo complesso, e poi andate nei dettagli. I volti, le espressioni, i vestiti, il paesaggio, la composizione. E cercare di capire che cosa mi vuol dire. Così, si capisce perché una foto può diventare un’icona”» (Gianluigi Colin, “Sette” n. 50/2001).