Varie, 10 agosto 2005
ERBA Luciano.
ERBA Luciano Milano 18 settembre 1922, Milano 3 agosto 2010. Poeta • «Dice di cercare Dio anche quando guarda una foglia agitata dal vento o scruta un particolare. Dice che una vita intera non basta all’uomo per giungere a toccare l’infinito. Dice che la poesia, per lui, è un bussare alle porte dell’assoluto, senza che ci venga data risposta. “Ma deve essere un bussare convinto che la risposta ci sia” [...] Figura tra le più importanti della letteratura italiana contemporanea [...] “La poesia è elevazione spirituale se in chi scrive e in chi ascolta c’è un animo disposto a ricercare. Flaubert diceva che il buon Dio abita nel particolare. È facile vedere la bellezza di Dio in un cielo stellato. Bisogna sentire la presenza di Dio anche guardando una foglia. E questo viene dal di dentro. Se ci sono occhi e un animo disposti a vedere questo [...]”» (Pierangelo Giovannetti, “Avvenire” 7/10/2005) • «Da giovane ebbi la complicità di qualcuno che mi prese sul serio. Fu Contini il mio Pietro Giordani, che di Leopardi aveva detto inveni hominem, ho trovato l’uomo. Fu lui che mi spinse a continuare. Ricordo che gli citai gli elogi ricevuti da un altro poeta, e Contini mi consigliò di non seguirlo, quello, perché era un modello negativo per me. Ingenuamente, in seguito riferii a quel poeta quanto Contini mi aveva detto, e fu la gaffe della mia vita. Quel poeta ci rimase malissimo... Ma sì, ora posso anche dirlo, era Vittorio Sereni […] Mi pensai fantasista, giocoliere di versi. E poi al grande Leopardi, il sogno della classicità. Più avanti nel tempo, decisamente Montale. In quegli anni il nostro mondo era spaccato in due: o si era per Montale o per Ungaretti, come dire Inter o Milan, Bartali o Coppi. Intorno a me erano tutti ungarettiani, io invece mi sentivo più vicino a Montale. Per pudore, forse, per riservatezza... […] È vero, il maiuscolo compare nei miei versi solo se parlo del Padreterno, sennò il lettore pensa che parli di me stesso. Cattolico? Lo sono, cerco di esserlo come chi ha bisogno di un’ancora di salvezza. Ma in fondo non posso rinunciare al dubbio. L’oscurità è nella natura della poesia, che nasce come un ologramma. È un lampo, e ti sembra la vittoria sul nulla. Credi di aver capito, di poter forzare per un istante l’assenza di senso. Ecco: vorrei trovare una chiave, una smagliatura, un varco che porti alla verità. Vorrei essere Clemente Rebora, vorrei essere Jarry. Vorrei riuscire a essere sincero con me stesso. E ci riesco soltanto quando sono ambiguo […] Fu Sergio Solmi che mi fece entrare in banca, e poteva farne a meno. Ero stato a Parigi, tornato qui avevo in mano il francese. Feci l’assistente volontario all’università, era un modo per inserirsi. Ci incontravamo al caffè in piazza Meda: Sereni, Ferrata, Fortini, Bo, Anceschi... Ma non avevo soldi, così Solmi mi trovò un impiego alla Comit. Lì scrivevo lettere di risposta alle richieste di raccomandazione inviate al presidente Mattioli, che neppure le vedeva. Scrivevo al vescovo di Trieste, a De Gasperi... Le mie lettere non andavano mai bene, così dovevo correggerle. In seguito passai all’ufficio studi, a ritagliare giornali in lingua straniera che nessuno leggeva. Poi all’ufficio merci, un po’ più interessante con tutte quelle stoffe che arrivavano dall´India...» (Enrico Regazzoni, “la Repubblica” 22/6/2002).