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 2005  agosto 01 Lunedì calendario

Quando i fiamminghi facevano scuola, Il Sole 24 ore, 01/08/2005 Era ora. Ogni anno cresceva il numero delle piastrelline staccate dai pianerottoli del Rijksmuseum e si allargava vistosamente il divario tra la cura dedicata alle sale principali e la solitudine malinconica dei percorsi collaterali (fonte di infinite piacevoli sorprese)

Quando i fiamminghi facevano scuola, Il Sole 24 ore, 01/08/2005 Era ora. Ogni anno cresceva il numero delle piastrelline staccate dai pianerottoli del Rijksmuseum e si allargava vistosamente il divario tra la cura dedicata alle sale principali e la solitudine malinconica dei percorsi collaterali (fonte di infinite piacevoli sorprese). Il restauro del pachidermico edificio ottocentesco e il restyling dell’allestimento stanno per restituirci un museo rinnovato: il quarto centenario della nascita di Rembrandt, nel 2006, offre un’occasione giubilare. Rembrandt, certo. Per come l’abbiamo visto finora, il Rijksmuseum sembrava costruito intorno ai capolavori del più grande maestro olandese (no, nessuno provi a citare van Gogh). La galleria principale era concepita come la navata centrale di una cattedrale laica, con tanto di cappelle laterali sui fianchi, culminante nel "presbiterio" costituito dalla sala di testa, con la "Ronda di Notte" al posto dell’altare, e lo spazio circostante predisposto per l’adorazione. La galleria sulla testata opposta della galleria, per non smentire il tradizionale pragmatismo olandese, era adibita a ospitare il più vasto e fornito bookshop del museo. Insomma, si poteva considerare sufficiente passeggiare avanti e indietro lungo la galleria, occhieggiare i quattro Vermeer, un paio di de Hooch e naturalmente alcuni degli altri capolavori di Rembrandt (almeno la "Sposa Ebrea" e i "Sindaci dei Drappieri", qualcuno aggiunge il "Geremia") e la visita al Rijksmuseum, con annesso acquisto di ricordini, si poteva considerare un compito culturale felicemente assolto. Non ci sono molti dubbi - né, per la verità, molte alternative - alla riproposizione di questo assetto; ma c’è da sperare che i visitatori vengano almeno invogliati a trascorrere un po’ più di tempo nel museo, e a conoscere aspetti e segreti sottovalutati. C’è in effetti una singolare sproporzione tra il distillato centrale, che davvero offre il meglio della pittura olandese dell’epoca d’oro, e il dilatato sviluppo circostante di un museo vasto ed eclettico, che al visitatore frettoloso pare circoscritto alle preziose opere di due generazioni di pittori olandesi del Seicento, e che pur rimanendo essenzialmente una pinacoteca va dalle polene delle navi alle case da bambola, dalle ceramiche agli arazzi, dai vasi di farmacia alle mappe geografiche, dalle sculture ai cimeli storici, dai ritratti degli ammiragli ai boccali di peltro, dai mobili alle oreficerie, con un effetto di accumulo perfino stordente. La costituzione dell’Historisch Museum nel cuore della vecchia Amsterdam ha dirottato verso questa nuova sede alcune opere, anche di grande valore, ma si inserisce anche in una più articolata fase di riordino. Bisogna ammettere che una visita accurata al Rijksmuseum è intellettualmente molto gratificante. Ammettiamolo: dopo aver trascorsa un’oretta nella sezione dedicata alla pittura quattro-cinquecentesca, e aver assaporato in beata solitudine le opere poco riprodotte di Geertgen tot Sint Jans, del Maarten van Heemskerk e di Cornelis van Haarlem, ci si congratula con se stessi. Altrettanta soddisfazione prova chi riesce a scovare (e a trovare aperta) la sezione che raccoglie i dipinti italiani e spagnoli, considerati con ingiusta suffienza come un’appendice minore del museo: Crivelli, Piero di Cosimo, Veronese, Magnasco, Guardi, El Greco, Goya... Quasi dispiace che arrivi Frans Hals, annunciando con l’esuberanza del suo sorridente ritratto coniugale l’aprirsi del Seicento. Hai un bel partire prevenuto, considerare "banale" o scontata la pittura d’interni, ripetitivi i paesaggi, monotone le nature morte, per lo più spenti i colori: in pochi minuti ci si stringe intorno al visitatore l’invisibile rete magica dell’Olanda seicentesca, una società e un mondo che si sono immedesimati con l’arte, rispecchiando con assoluta sincerità la propria anima nella pittura. il breve e splendente apogeo di un piccolo popolo intraprendente, capace di proiettarsi senza paura sulle rotte di tutti i mari, di contrastare nemici dotati di eserciti potenti e flotte poderose, eppure sempre alla ricerca dei piccoli piaceri della vita. Dalla "Lattaia" di Vermeer al "Mondo alla rovescia" di Jan Steen si compie la parabola tra la voglia di una casa confortevole e di una famiglia tranquilla, e, in parallelo, la prontezza per cogliere le occasioni di evasione, dalle più innocenti (come il tabacco o le feste comandate) alle vere e proprie trasgressioni, stigmatizzate dai predicatori calvinisti con accenti apocalittici e nefaste profezie di imminente disastro. Poi, certo, si stende l’ala del genio. Rembrandt vola molto più alto di tutti. A pensarci bene, chi va al Rijksmuseum solo per vedere le tele del maestro, forse non ha tutti i torti. Non abbia fretta. Tornerà un’altra volta ad assaporare il resto. Stefano Zuffi