Sandro Veronesi, ཿLa Gazzetta dello Sport 6/8/2005;, 6 agosto 2005
«La notizia arriva da Tel Aviv: la compagnia che gestisce le scommesse in Israele, la Toto, ha annunciato il lancio di una campagna in difesa delle madri degli arbitri, bersaglio privilegiato degli insulti delle tifoserie locali
«La notizia arriva da Tel Aviv: la compagnia che gestisce le scommesse in Israele, la Toto, ha annunciato il lancio di una campagna in difesa delle madri degli arbitri, bersaglio privilegiato degli insulti delle tifoserie locali. Quattro di esse parteciperanno personalmente alla campagna, nell’intento, secondo quanto ha spiegato il responsabile della Toto, Shaul Schneider, di mostrare ai tifosi che l’oggetto delle loro contumelie sono signore ultrasessantenni in carne e ossa, e di educarli a un maggiore rispetto. Lodevole iniziativa, non ci sono dubbi: solo che vien fatto di immaginarla a casa nostra, dove si porrebbero immediatamente alcuni problemi. Primo problema: le nostre tifoserie, evidentemente più evolute, sembrano accanirsi molto più sulle mogli che sulle madri degli arbitri. L’insulto alla madre, infatti, gratuito, grottesco, ingiustificato, fa ancora riferimento alla componente infantile del calcio – e infatti era quello che fioccava più spesso quando da bambini si giocava nei campetti; quello alla moglie ne rappresenta invece lo sviluppo adulto, strategico, poiché non si può negare che mentre l’arbitro è lì a fischiare o non fischiare un calcio di rigore sua moglie goda di una certa libertà di movimento, e dunque l’insulto si combina col tarlo del dubbio, che costituisce l’aspetto, diciamo così, professionistico della nostra beceraggine. Dopodiché, sempre nell’ipotesi di importare in Italia l’iniziativa israeliana, nel nostro calcio più evoluto vige la parità tra spettatori e giocatori, nel senso che l’insulto all’arbitro (a sua moglie, a sua madre, ai suoi figli e a tutti i suoi estinti) spesso arriva prima dal campo che dagli spalti, in diretta televisiva con riproposizione al rallentatore da diverse angolazioni, comprensive di didascalia con il labiale traslitterato; dunque la campagna assumerebbe proporzioni gigantesche, dovendo includere nell’opera di rieducazione anche calciatori, allenatori, dirigenti, registi e conduttori televisivi (categorie, com’è noto, molto difficili da rieducare). Senza contare che anche il nostro sistema mediatico è più evoluto e complesso di quello israeliano, ed è quasi impossibile prendervi parte, foss’anche per una volta sola nell’ambito di un’iniziativa benefica, senza ritrovarsi pochi mesi dopo sparati su un’isola a leticare con un ex-cantante, o in unostudio insieme al Gabibbo a promuovere una linea di biancheria intima. Perciò ringraziamo gli israeliani dell’esempio che ci danno, ma purtroppo non potremo seguirlo: da noi il modo migliore di portare rispetto ai congiunti degli arbitri è rappresentato dal tenerli semplicemente lontani dalle telecamere» (Sandro Veronesi).