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 2005  agosto 05 Venerdì calendario

Vent’anni in coma: al risveglio ricorda l’11 settembre, La Stampa, 05/08/2005 «Okay!». Pronunciando questa esclamazione Sarah Scantlin si è svegliata il 12 gennaio scorso da un coma durato oltre due decadi e, dopo sei mesi di intensa riabilitazione al linguaggio, ieri sera è apparsa per la prima volta in tv raccontando la sua incredibile storia al grande pubblico americano

Vent’anni in coma: al risveglio ricorda l’11 settembre, La Stampa, 05/08/2005 «Okay!». Pronunciando questa esclamazione Sarah Scantlin si è svegliata il 12 gennaio scorso da un coma durato oltre due decadi e, dopo sei mesi di intensa riabilitazione al linguaggio, ieri sera è apparsa per la prima volta in tv raccontando la sua incredibile storia al grande pubblico americano. Tutto inizia il 21 settembre del 1984 quando Sarah, da poco diciottenne e con alle spalle la conclusione degli studi superiori al Junior College di Hutchinson in Kansas, va a festeggiare una sera con alcuni amici al Tapper’s Bar. All’uscita sta passeggiando lungo la strada principale con alcuni amici quando all’improvviso l’automobile guidata da un ubriaco Doug Doman, un ventunenne solitario e considerato in città «un po’ ritardato» per via del fatto che ha alle spalle due anni in riabilitazione per essere caduto da un palazzo di tre piani, la investe a tutta velocità, scaraventandola in aria. La caduta sul cemento è drammatica ed al Wesley Medical Center di Wichita - la città considerata il cuore geografico degli Stati Uniti - i medici non possono fare altro che constatare un trauma cranico fra i più seri mai osservati. Per tre anni non avviene più nulla, Sarah è immobile prima sul letto dell’ospedale e poi di una casa di riposo. Nel 1985 un terapista la trova «sveglia e capace di reagire a stimoli dolorosi ma incapace di qualsiasi tipo di comunicazione». Mese dopo mese, anno dopo anno, attorno al suo letto si alternano i genitori, Jim e Betsy, ed innumerevoli medici, infermiere, terapisti e semplici assistenti. Pat Rincon è una di questi, fa la terapista del linguaggio ed il suo lavoro è distribuire medicine ai pazienti della casa di cura «Golden Plains». Nel 2001 si avvicina per la prima a volta a Sarah e da allora ogni giorno passa venti minuti a studiare il suo linguaggio silenzioso. Nel 2002 per la prima volta Sarah emette dei suoni. In realtà sono grida, intense e violente, che scuotono l’aria. Avviene anche durante una cena di Natale ma per i genitori è buon segno, significa che qualcosa dentro il corpo sta avvenendo. Poi, il 12 gennaio scorso Sarah torna a parlare. Di fronte a lei c’è la terapista Pat che sta discutendo con un’amica dell’ora migliore in cui andare dal manicure per farsi le unghie. Quando Pat dice all’amica «Okay, va bene» Sarah alle sue spalle articola per la prima volta una parola dopo venti anni: «Oookaaaaa». E’ l’inizio della fine del silenzio. Pat inizia a sillabare prima le parole, poi le espressioni più comuni quindi frasi intere, cercando la ripetizione nelle labbra di Sarah. La madre Betsy, tenuta all’inizio all’oscuro dei progressi, ascolta per la prima volta la voce della figlia al telefono, quando le dice all’improvviso «Ciao, mamma». All’inizio Betsy barcolla, poi si riprende è le chiede: «Ti serve qualcosa?». E Sarah risponde: «Portami del trucco». La riabilitazione è dura: i terapisti intervengono a più riprese su braccia e gambe ferme da venti anni. Sarah soffre ma, giorno dopo giorno, riacquista il linguaggio. Chiede una tazza di tè. Quando suo fratello Jim le chiede quanti anni ha lei risponde «18». «Non ne hai 18 Sarah ma 38» incalza il fratello ma lei non si smuove, non accetta il cambiamento e si arrocca su 22 anni. «E’ questa la mia età». Lo psicologo suggerisce alla famiglia di non insistere perché deve superare lo shock subito per il troppo tempo perduto. In maggio Sarah compie 39 anni ma Jim le fa gli auguri per il 23° compleanno. Più di recente i dottori consentono ai genitori di iniziare a chiederle di cosa si ricorda. «Sai cosa è avvenuto l’11 settembre?» è la prima domanda della madre, riferendosi agli attacchi terroristici contro Washington e New York che costarono la vita a quasi tremila persone. «Aeroplani, edifici, fumo» risponde lei. E la madre insiste «E Oklahoma City?» - la strage avvenuta nel 1995 per mano di un estremista bianco che fece saltare in aria con un camion-bomba la sede del governo federale - e lei dice «Bambini, ospedali». Per i dottori le risposte tradiscono il fatto che il cervello, pur bloccato, ha assimilato le immagini ricevute dal televisore lasciato sempre acceso di fronte a Sarah. Ora quelle immagini stanno tornando e così Sarah riesce a impossessarsi di qualcosa della vita andata perduta. Nelle ultime settimane il dialogo fra madre e figlia diventa spedito. «Sarah hai paura? Come si senti». «Mi sento frustrata». «Sarah ricordi l’incidente che hai avuto?». «Sì lo ricordo, sarei dovuta andarmene via prima dal quel party». «Sarah cosa vuoi fare?». «Mamma, voglio tornare a casa, stare a casa». Proprio dalla piccola casa familiare nel Kansas Sarah Scatlin si è collegata ieri sera con il programma «The Early Show» della tv Cbs per rispondere alle domande del giornalista Tracy Smith e raccontare dei suoi progetti, studi e viaggi. Anche i genitori hanno consegnato al video uno scoop tutto loro. Durante il recente braccio di ferro sulla sorte di Terri Schiavo - la donna che versava in stato vegetativo a cui il marito decise di staccare il tubo dell’alimentazione - furono contattati dalla famiglia Schiavo che gli chiese di raccontare la loro storia per provare che i miracoli sono possibili. Ma i signori Scantlin rifiutarono di gettare la storia di Sarah nel bel mezzo di una bottaglia fra politica e fede. Maurizio Molinari