Alberto Flores D’Arcais, La Repubblica, 28/07/2005, 28 luglio 2005
Un aereo contro l´Empire e New York scoprì la paura 1945, La Repubblica, 28/07/2005 Sabato 28 luglio 1945 al colonnello William F
Un aereo contro l´Empire e New York scoprì la paura 1945, La Repubblica, 28/07/2005 Sabato 28 luglio 1945 al colonnello William F. Smith, jr. - un pilota eroe di guerra, veterano di oltre cinquanta vittoriose azioni nei cieli nemici e vicecomandante del 457esimo gruppo bombardieri dell´Air Force - venne chiesto di compiere una missione piuttosto banale: volare dalla base militare di Bedford (Massachusetts) fino all´aeroporto di Newark in New Jersey, per prendere a bordo il suo comandante. Smith, dubbioso per il cattivo tempo, alla fine rispose di sì; non solo perché da buon ufficiale era abituato ad obbedire ma perché sulla pista di Bedford era allineato un nuovo B-25, bombardiere che il colonnello non aveva mai pilotato. Quando lo vide decollare la moglie Martha Molloy Smith ebbe il «presentimento di un disastro». A poco più di un´ora di volo di distanza New York si risvegliava in mezzo a una fastidiosa nebbia; in quei giorni la grande metropoli stava vivendo lunghe notti di feste e bevute collettive, con le migliaia di soldati e marinai - rientrati dai canpi di battaglia d´Europa dove la terribile guerra si era conclusa da poco più di due mesi - a godersi qualche giorno di meritata follia prima di rientrare nelle proprie hometown nel Midwest e nel sud degli States. La nebbia limitava talmente la vista che, quando il colonnello Smith si avvicinò all´area metropolitana, dalla torre di controllo del Municipal Airport di Queens (oggi meglio conosciuto come La Guardia) arrivò un pressante invito - «in questo preciso momento non riusciamo neanche a vedere la cima dell´Empire State Building», urlò il controllore - ad atterrare lì piuttosto che sorvolare i grattacieli di Manhattan per planare fino a Newark. Smith non era uomo abituato a fallire una missione, sia pure così semplice, e il fatto di non aver mai volato prima di allora sulla Downtown New York non lo scoraggiò minimamente; chiese, e dopo tante insistenze ottenne, di sorvolare a vista la sterminata città. In qualche punto della Grande Mela la nebbia stava lasciando il posto a nuvole nerastre, l´ennesimo giorno scuro e piovoso di quel luglio newyorchese. Guardando fuori dal finestrino il colonnello adocchiò l´EastRiver e il ponte sulla 59esima strada ma pensò che fossero l´Hudson e il George Washington Bridge. Quando si accorse dell´errore era ormai troppo tardi, le guglie dei grattacieli di Manhattan gli si pararono dinanzi in mezzo alla nebbia: nonostante la sua abilità di pilota, capace di sfuggire anche al più potente fuoco nemico, quel sabato mattina l´eroe di guerra William F. Smith jr. andò incontro al suo destino di morte: alle 9 e 49 il muso del B-25 andò a schiantarsi contro il 79esimo piano dell´Empire State Building, il grattacielo più alto di New York. Smith e gli altri due membri dell´equipaggio morirono sul colpo. Il sindaco di New York, il popolarissimo italo-americano Fiorello La Guardia, era appena uscito da City Hall sulla sua limousine equipaggiata con l´ultimo prodigio della tecnica radio, quando risuonò l´allarme. Arrivato all´incrocio tra la Quinta Avenue e la 34esima strada entrò nell´Empire salendo a piedi per sessanta piani, i vestiti bagnati dagli idranti dei pompieri che spegnevano l´incendio. Così Frank Adamns, famoso reporter del New York Times, descrisse la scena del disastro: «L´aereo si schiantò con un impatto terrificante lungo la parete nord dell´edificio sulla 34esima strada; con le ali spazzate via e le fiamme arancioni brillante che si alzavano fino all´ottantaseiesimo piano del grattacielo, 1050 piedi sopra la Quinta Avenue, mentre i serbatoi di benzina esplodevano. Per un istante chi guardava da sotto vide la torre completamente illuminata; poi l´Empire scomparve di nuovo alla vista, nascosta dalla nebbia e dal fumo denso dell´aereo che bruciava». Quattordici persone persero la vita, un numero incredibilmente basso rispetto alla portata dell´incidente. Se fosse successo in un giorno feriale, quando invece delle 1500 persone che si trovavano al lavoro quel sabato ce ne sarebbero state almeno 15 mila, i morti sarebbero decuplicati. Incredibile fu anche il modo - miracoloso, venne definito allora - con cui l´Empire State Building resse al terribile impatto, subendo solo piccoli danni. Diversamente dai nuovi grattacieli l´Empire era stato costruito tutto in pietra, con ogni piano rinforzato da barre d´acciaio. In soli tre mesi tutto venne risistemato e il grattacielo più famoso del mondo potè riaprire i battenti al pubblico e alle migliaia di turisti che ogni giorno salgono sulle sue terrazze. Quel giorno di sessanta anni fa tutti pensarono ad un attacco dei giapponesi, l´unico nemico rimasto a combattere nel Pacifico gli Stati Uniti. La gente urlava «ci bombardano» mentre migliaia di persone scendevano per strada convinti di vedere spuntare da un momento all´altro nuovi aerei-bomba guidati dai terribili kamikaze del Sol Levante. Proprio in quei giorni i comandi americani avevano avvisato il Giappone, mettendo in guardia il nemico ormai alle corde dal compiere attacchi suicidi sulle città americane. A Tokyo nessuno poteva immaginare che nove giorni dopo un altro aereo americano avrebbe sganciato su Hiroshima la più devastante arma di distruzione di massa mai usata dall´uomo. E a Manhattan quella mattina di cinquanta anni fa nessuno avrebbe immaginato che poco più di 56 anni più tardi due aerei americani si sarebbero schiantati su due torri ancora più alte dell´Empire State Building. E questa volta pilotati da reali kamikaze-terroristi. Alberto Flores D’Arcais