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 2005  agosto 04 Giovedì calendario

«Nessun miliardario al mondo vuole il Toro e persino per tirare fuori il milione di euro, un sesto dell’ingaggio interista di Figo, necessario ad aprire il paracadute della serie B è dovuta intervenire un’azienda municipalizzata

«Nessun miliardario al mondo vuole il Toro e persino per tirare fuori il milione di euro, un sesto dell’ingaggio interista di Figo, necessario ad aprire il paracadute della serie B è dovuta intervenire un’azienda municipalizzata. Qualche illuso pensava che un marchio tanto famoso e ancora settimo in Italia per numero di tifosi costituisse, al netto dei debiti, un boccone succulento. Invece il grande imprenditore non si trova. Non in Piemonte, dove la crisi offre un alibi di ferro alla già scarsa propensione dei ricchi a mettersi in mostra. Ma neppure in Lombardia, in Veneto, in Papuasia e in ogni galassia conosciuta. Ce n’è abbastanza per dedurne che Torino - come sempre all’avanguardia, accidenti - è il sintomo di un fenomeno nuovo: il calcio dei pochi potentati e delle troppe zone oscure inizia più a spaventare che ad attrarre. Della Valle è stato l’ultimo «big» a varcare la soglia. Ma già la Lazio ha faticato a trovare un Lotito, la Roma oltre Sensi vede il buio, a Parma galleggiano in un limbo. E nelle conversazioni, anche in quelle non intercettate, come rischio d’investimento i banchieri equiparano il calcio al commercio d’armi. Forse la tragedia del Toro, così drammaticamente sprovvista di «deus ex machina», insegna che un sistema basato su miliardari isolati che regnano sopra folle passive non regge più. E che per ritrovare un senso, la repubblica del calcio dovrà passare dall’oligarchia dei presidentissimi alla democrazia dell’azionariato diffuso, cominciando magari proprio da Torino. Magari proprio col Torino» (Massimo Gramellini).