4 agosto 2005
Tags : Gail. Edmondson
Edmondson Gail
• Giornalista. Corrispondente dall’Italia di ”Business Week”. «Più assertiva di Daria Bignardi, più severa di Marcelle Padovani, più d’opposizione di Maureen Dowd, più bionda di Maria Luisa Busi: Gail Edmondson siamo noi. O almeno ci piacerebbe. Perché Gail, con le sue corrispondenze dall’Italia per Business Week, ci fa incazzare ma ci conquista, che si tratti di conflitto d’interessi o rogatorie. Lei motiva, spiega, esemplifica. E noi arranchiamo. Le si cita tal Michael Bloomberg, prossimo sindaco di New York nonché tycoon finanziario e mediatico? Gail è pronta ad addebitarne l’elezione allo stato di emergenza. Inutile spiegarle che l’Italia è uno Stato in emergenza: non capirebbe. Perché Gail è la parte migliore di noi. Quella moralista ed elegante, severa e sorridente. Quella che piace alla gente che piace. [...] Alta, innanzitutto. Così alta da intimidire. Così alta che la guardi e non ti vengono in mente strane idee. Così alta che puoi solo venerarla: non come una di quelle (troppe) che ti hanno detto ”No”, ma come la sola che ti metteva troppa soggezione perché ti azzardassi anche solo a formulare la domanda. Gail siamo noi, ma dopo un corso di autostima. E poi bionda, elegante, con una risata squillante e un tono di voce sempre troppo alto. Ma così chic, Dio com’è chic, Gail. Appena arrivata a Roma si è messa a cercare casa. Ne ha trovata una sola che le sembrasse degna. In via Margutta: la casa che fu di Federico Fellini. Non è riuscita a farne la propria abitazione. Ancora non se ne dà pace. Della casa mancata. Dell’essersi ritrovata in un paese che somiglia terrificantemente più a Prova d’orchestra che a La Dolce Vita. Quelli che ne parlano (e ne parlano tutti bene, nessuno ha critiche da muovere a Gail, al massimo dicono di non conoscerla tanto bene, ”Non credo abbia mai frequentato gli italiani... Certo non i giornalisti, preferisce l’establishment”... Gail saremmo noi, se solo avessimo qualcosa da metterci per entrare nei posti giusti. Dicono che Gail non sia contenta di stare qui. Che ora, dopo due anni, parli perfino un po’ d’italiano (perché Gail è così, una che sa che tocca abituarsi alle usanze barbare del luogo), ma che l’Italia non le piaccia, che abbia avuto forti problemi d’am bientazione, al principio: non riusciva a farsi attaccare la corrente elettrica, e poi le si è allagata casa... Terroristi, mafiosi, colletti bianchi dalla fedina sporca, e prova a trovare un idraulico a Roma. L’altra corrispondenza coperta da Gail è la Spagna, perché lei non si accontenta di detestare per mestiere un Paese solo: Gail siamo noi, al massimo della nostra produttività. Di sicuro rimpiange l’America, il San Francisco Chronicle dove ha cominciato, il primo articolo, quando abbordò un ragazzino della Silicon Valley pensando di farne il proprio informatore e quello ”Mi chiamo Jobs, Steve Jobs”. E noi qui, che il massimo che ci capita è Biagi che molesta Mrs. Roosevelt, rimpiangiamo con Gail un Paese dove gli aneddoti siano costruiti così bene da risultare verosimili. Gail è tutte noi. Quando la chiamarono a lavorare in Germania, per la ”Süddeutsche Zeitung”, le dissero ”Il posto è tuo, ma solo se impari il tedesco in due mesi”. Andò a lezione per otto ore al giorno, perché Gail siamo noi che sappiamo quando ne vale la pena e quando invece sarà il Paese, col suo corredo di mafiosi riusciti e idraulici mancati, a sforzarsi di parlare la nostra lingua. Quando ”Business Week” le affidò l’ufficio tedesco era felice, che diamine: fare il corrispondente dalla Germania nel 1989! Ma è una sportiva e, facendo jogging a Bonn, si ruppe una gamba. Niente Berlino. Gail siamo noi, perché solo noi avremmo potuto mancare in una maniera così sublime la caduta del Muro. E siccome Gail siamo noi, e le rogatorie sono tutto ma non abbastanza, ci permettiamo d’interferire. Il fidanzato (un avvocato tedesco, quale allegria) è ancora quello degli anni di Bonn. Lei sta in Italia. Lui in Germania. Lo diciamo in confidenza e con affetto, lo diciamo citando le parole della maîtresse-à-penser Katia Ricciarelli: ”Non fate quei fidanzamenti lunghi, che poi l’uomo ci ripensa”. Lo diciamo per noi, Gail» (Guia Soncini, ”Il Foglio” 27/11/2001).