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 2005  luglio 26 Martedì calendario

Nel credito meglio la proprietà diffusa, Il Sole 24 ore, 26/07/2005 Donato Menichella, il governatore della ricostruzione e del miracolo economico, si oppose fermamente alla «retrocessione ai privati» (così allora si chiamavano le privatizzazioni) delle grandi banche delle quali lo Stato aveva assunto il controllo a seguito di quell’enorme fallimento del mercato che fu la crisi del 1931-33

Nel credito meglio la proprietà diffusa, Il Sole 24 ore, 26/07/2005 Donato Menichella, il governatore della ricostruzione e del miracolo economico, si oppose fermamente alla «retrocessione ai privati» (così allora si chiamavano le privatizzazioni) delle grandi banche delle quali lo Stato aveva assunto il controllo a seguito di quell’enorme fallimento del mercato che fu la crisi del 1931-33. Raffaele Mattioli, il banchiere umanista patron della Banca Commerciale , era del medesimo parere. La sostituzione del capitale privato a quello pubblico - disse - «rischierebbe di trasferire le grandi banche sotto il controllo di gruppi capitalistici e porle al servizio di interessi particolaristici». Nei primi anni Trenta sia Menichella sia Mattioli avevano lavorato a contenere le fragilità di un sistema finanziario basato sulle banche universali, impegnate a lungo termine nel finanziamento di imprese industriali. In gioventù avevano certamente riflettuto sugli echi, ancora vicini, della crisi del 1893 prodotta in buona misura dagli eccessivi affidamenti concessi agli operatori edilizi nell’euforia della rapida crescita dei prezzi degli immobili. L’avversione di Menichella e Mattioli alla cessione del controllo delle banche a "gruppi capitalistici" si alimentava indubbiamente alla lezione di quelle due grandi crisi bancarie ma essa si fondava soprattutto sui casi, di cui pure erano stati testimoni negli anni Venti, della Banca Italiana di Sconto e della Banca Agricola Italiana. La prima era stata scalata dai fratelli Perrone, proprietari dell’Ansaldo, la seconda da Riccardo Gualino, padrone della Snia Viscosa. Sia i Perrone sia Gualino fecero delle banche il polmone finanziario delle proprie imprese, legando le une alle altre in una simbiosi tale che non fu possibile evitare che Ansaldo e Snia trascinassero nella propria caduta anche le banche controllate con le quali avevano accumulato immensi debiti. Nel clima teso del primo dopoguerra fu necessario imbastire un importante intervento pubblico per contenere i danni sociali del fallimento dell’Ansaldo e per compensare, in parte, i depositanti della Banca Italiana di Sconto. Questi episodi restarono impressi nella memoria della classe dirigente italiana, un pò come l’iperinflazione dei primi anni venti si impresse in quella del popolo tedesco. Negli anni Cinquanta e Sessanta, la legge bancaria del 1936, la repressione finanziaria e il controllo sui movimenti dei capitali rendevano assai improbabile il ripetersi di crisi come quelle del 1893, del 1921, del 1931, eppure persone come Menichella e Mattioli non erano disposte a correre nemmeno un piccolo rischio. Per questo, pur essendo entrambi convinti sostenitori dell’economia di mercato, non vollero tornare a una situazione nella quale imprese operanti in settori non finanziari ottenessero il controllo, o partecipazioni di rilievo, di grandi intermediari finanziari. Negli anni Novanta, le banche italiane sono state privatizzate con successo. Menichella e Mattioli non avrebbero oggi motivo di temere la meccanica ripetizione di episodi di instabilità come quelli del periodo 1893-1933. I mercati finanziari sono oggi molto più spessi, raffinati, integrati di quanto fossero nella prima metà del ventesimo secolo. I risparmiatori sono più attenti e competenti. La vigilanza prudenziale ha fatto tesoro di molte esperienze, è dotata di strumenti analitici ed informatici raffinati, ha creato codici e parametri condivisi dai principali paesi. La professionalità del management delle grandi banche è, nella maggior parte dei casi, elevata. Sia in Italia sia nel resto del mondo industrializzato l’accresciuta solidità patrimoniale degli intermediari e un livello di liquidità eccezionalmente elevato rendono modesti, per l’immediato futuro, i rischi di crisi finanziarie. Perché, dunque, evocare Menichella e Mattioli? Perché è proprio nei momenti di relativa tranquillità che mercati e istituzioni finanziarie vanno rafforzati. Le crisi finanziarie non sono mai esorcizzate una volta per tutte: basteranno un rallentamento della crescita, una diminuzione dei profitti bancari, lo scoppio di bolle speculative nei mercati immobiliari più esposti ad accrescere l’instabilità e il rischio di crisi. Sussiste ancora il pericolo, per dirla con Mattioli, che la grandi banche siano poste al "servizio di interessi particolaristici". Non è un buon segnale la crescita nel capitale di in un grande istituto di credito dell’azionista di riferimento del maggiore gruppo industriale privato, fortemente indebitato con il medesimo istituto. Né lo è l’impegno con il quale importanti imprese del settore delle costruzioni cercano di acquisire rilevanti partecipazioni bancarie. In un mondo ideale, le azioni bancarie troverebbero posto nei portafogli di intermediari finanziari, di fondi pensione, di fondi di investimento, di investitori istituzionali, di singoli risparmiatori. Nel nostro mondo imperfetto, la storia recente ha dimostrato - contro ogni ragionevole previsione formulata dieci anni fa - che anche le imperfettissime fondazionihanno svolto un ruolo apprezzabile favorendo fusioni, aggregazioni, ristrutturazioni e, a quanto pare, anche l’internazionalizzazione delle nostre banche. Quanto al mondo delle grandi imprese, vale ancora la prudenza di Menichella e Mattioli. Gianni Toniolo