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 2005  agosto 01 Lunedì calendario

Le donne al tritolo, l’emancipazione nella morte, La Stampa, 01/08/2005 Nel suo caustico «Quando abbiamo smesso di pensare?» (edito in Italia da Guanda) Irshad Manji, ugandese, musulmana e lesbica dichiarata, sostiene che alla base della storia delle 72 vergini c’è un banale errore di traduzione

Le donne al tritolo, l’emancipazione nella morte, La Stampa, 01/08/2005 Nel suo caustico «Quando abbiamo smesso di pensare?» (edito in Italia da Guanda) Irshad Manji, ugandese, musulmana e lesbica dichiarata, sostiene che alla base della storia delle 72 vergini c’è un banale errore di traduzione. Si tratterebbe, in effetti, di quantità considerevoli di uva passa, articolo assai pregiato all’epoca maomettana e quindi degno del Paradiso, anche se poco adatto all’appagamento erotico. Ma nello pseudo-Islam degli imam-terroristi la faccenda è stata presa tanto sul serio da cercare una versione della leggenda adatta ad allettare anche le shaide, le donne-bomba. E da trovarla, ben s’intende. Dunque, garantisce un «saggio» libanese, non 72 baldi giovani illibati - la poligamia islamica è feudo maschile - ma un unico sposo, sia pure bello, prestante e innamorato, attende nell’aldilà la fedele che sceglie il sacrificio nel nome dell’Islam. Più spesso, tuttavia, alla lusinga si preferisce l’intimidazione. Le donne sono portate al «martirio» dalle umiliazioni familiari e personali - è il caso di Wafa Idris, eletta dai media prima kamikaze palestinese, sterile, ripudiata dal marito ed emarginata dalla comunità - o costrette, alla lettera, con il ricatto: è il caso di molte cecene rapite, drogate e violentate e della prima «martire» di Hamas, Rim al-Riashi, adultera, pare, e quindi messa dal marito militante di fronte alla scelta tra farsi shaida o essere vittima del buon vecchio «omicidio d’onore». Del resto alla donna-bomba si è arrivati relativamente di recente, e in un’ottica residuale: tuttora l’«indennizzo» pagato alla famiglia è la metà di quello corrisposto per un maschio. stata, innanzitutto, una scelta di convenienza: le donne sfuggono ai controlli, eludono con un sorriso i posti di blocco, possono nascondere l’esplosivo fingendosi incinte (è successo in Israele e anche in Iraq) e in genere attirano di meno l’attenzione e i sospetti. La «copertura» teorica è arrivata di conseguenza. Sia ricorrendo all’esempio storico della stracitata Aisha, la moglie adolescente prediletta da Maometto, che partecipò alla battaglia di Kerbala, sia pure solo assistendo allo scontro dalla groppa di un cammello, sia perché, essendo il «martirio» un dovere imposto dalla fede, è un campo in cui uomini e donne hanno per una volta pari diritti, e doveri. Anzi, la donna-shaida ottiene una speciale dispensa dai consueti doveri di pudicizia e quindi può muoversi da sola e in abiti succinti, se la causa lo richiede. Tuttavia, non è stata una scelta indolore. Hamas, ad esempio, ha resistito a lungo - per il suo «profeta», il celebre sceicco cieco Jassin poi liquidato da Israele, era un sacrilegio costringere a un simile gesto una sposa e una madre - ma alla fine ha capitolato a patto che si trattasse di merce «di seconda scelta» per così dire, fedifraghe, disonorate, e così via. Eppure, in una società maschilista e tradizionale, non si può nemmeno ignorare l’aspetto di perversa «uguaglianza» generata dalla parità nella morte e dalla scelta di diventare finalmente protagonista: è il filone palestinese laico ma anche quello, ad esempio, delle donne-tigri tamil, che hanno espresso in tempi non sospetti, nel 1991, una super-kamikaze, Thenmuli Rajaratnam, la donna che, offrendogli una collana di profumato legno di sandalo, si fece esplodere uccidendo, vicino a Madras, il premier indiano Rajiv Gandhi (e con lui altre 16 persone). Fu la sua vendetta, si disse e chissà se era vero, per essere stata violentata da un soldato dell’esercito indiano. Carla Reschia