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 2005  agosto 01 Lunedì calendario

Kamikaze il sogno del volontario: «Sesso e vergini per me in cielo», La Stampa, 1 agosto 2005 Tra l’Inferno e il Paradiso, la strada dello shaid, il «testimone di Dio», futuro kamikaze, è irta e perigliosa

Kamikaze il sogno del volontario: «Sesso e vergini per me in cielo», La Stampa, 1 agosto 2005 Tra l’Inferno e il Paradiso, la strada dello shaid, il «testimone di Dio», futuro kamikaze, è irta e perigliosa. Può essere lunga dei mesi, come nel caso del pentito tunisino-milanese Jelassi Riadh Belgacem, e comportare rinunce e sofferenze, fino a distillare odio per se stessi e per gli altri. Oppure breve e intensa, coltivata in una madrassa del Nord iracheno, come nel caso del giovane Laler Dedar Khalid, ventenne, ex carrozziere, diventato kamikaze in una settimana e crollato dalla paura davanti alla sede di un partito che doveva far esplodere: «Feci un addestramento di sette giorni per diventare attentatore suicida. Ma in sostanza l’unico addestramento che ricevetti consisteva nel mettermi addosso dell’esplosivo e uscire...». La meta è sempre quella: il Paradiso, le «72 vergini con i seni sodi e la pelle bianca» che spettano a ogni shaid, le loro promesse di sesso sfrenato, la certezza di poter sedere al fianco di Dio «su poltrone d’oro e diamanti» nel giorno del giudizio universale. Guardando dall’alto gli infedeli e i peccatori, le donne occidentali e i politici, i calciatori famosi e i divi della tivù, con l’Inferno che attende e spalanca le sue porte infuocate. « l’interno di un vulcano in cui le creature che vivono lì sono di fuoco a forma di rettile, coccodrillo, scorpione. Un luogo chiuso, molto sporco...Dove si litiga sempre e ci si chiede: perché non sei andato a fare le guerre?». Dalle carte delle inchieste milanesi - i verbali della polizia norvegese andata due anni fa nel Kurdistan iracheno a interrogare dei giovani kamikaze e una recente relazione dello psichiatra-criminologo Nico Zanovello sulla personalità di Jelassi Riadh, anticipata in parte dal settimanale l’Espresso - emerge uno spaccato ben preciso sulle manipolazioni psicologiche subite dagli aspiranti kamikaze, il loro mondo, le loro aspettative. Una realtà che col passare del tempo si confonde col sogno, cancellando le brutalità di una vita spesso ai margini, facile preda di avidi imam e di cattivi maestri. Inferno e Paradiso, amore e morte, castità in vita, sfrenatezza nell’aldilà. Spiega Jalassi: «Il giorno in Paradiso dura settantamila anni. Tu hai tutto il tempo per scopare. Passi dieci anni con una, cento con l’altra e così via». E addio, finalmente, alle rigide leggi coraniche. Questo sogna lo shaid, quando, imbottito d’esplosivo aspetta paziente «che sul posto arrivino 20, 30, 60 persone, in modo da ucciderne il più possibile» (Kaler Dedar Khalid, «soldato» di Ansar al Islam). E cosa avviene, chiede lo psichiatra a Riadh, quando lo shaid si fa esplodere? «C’è l’uscita dell’anima dal corpo, il dolore che si prova è come quello di una puntura di zanzara. La prima cosa che appare intorno a sè, ci sono due vergini che vengono a consolarti e ti riempiono di baci, poi scendono gli angeli vestiti di bianco, profumatissimi, i quali non vedono l’ora di vederti. ...Mentre vede i suoi famigliari, e altri, piangere, lui ride: perché quando si nasce tu piangi e quando muori tu ridi e gli altri piangono». E ancora: «In Paradiso si beve vino, e si dicono parolacce durante i rapporti sessuali con le vergini». Avviene «tutto ciò che tu desideri». E che in vita, gli stessi imam indottrinatori proibiscono ferocemente. Perché in vita «le donne ti fanno schifo, e anche i soldi, le case, le macchine, la vita ti fa schifo». Ciò che conta davvero è l’odio. «All’epoca dormivo sognando il paradiso e quando mi alzavo la mattina ero incazzato perché ero ancora vivo, sulla terra...Volevo le mie 72 vergini». E si capisce il perché, nonostante tutto, le donne kamikaze, siano ancora rare. Immagini e speranze ingenue, ma fondamentali per un ragazzo come Jalassi che dalla vita, fin da quando era bambino, ha avuto poco o niente: un’infanzia nelle bidonville intorno a Tunisi, tormentata dal padre che lo picchiava per nulla, ogni aspirazione frustrata: «Avrei voluto suonare ma mio padre diceva che il conservatorio era un luogo di diavoli». Per questo quando incontra l’imam di viale Jenner, Abu Imad, diventa un candidato ideale al martirio: «Se avessi avuto degli affetti, una persona da amare, non avrei mai fatto una scelta del genere. Ma essendo solo e senza affetti è facile diventare schiavi di una persona che ti ascolta, che ti parla, che ti fa credere che ti vuole tanto, tanto, tanto bene, quasi amore». «Abu Imed non ti chiede di fare, sei tu che alla fine chiedi nient’altro che la morte. Lui capisce che le persone disperate sono facili da gestire». Per sua, e nostra fortuna, Jalassi verrà catturato dalla Digos milanese il 4 aprile 2002, prima di mettere in atto i suoi piani diventando in seguito il primo pentito italiano di Al Qaeda. Paolo Colonnello