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 2005  luglio 24 Domenica calendario

"Il giorno che arrestai Chet Baker". La Repubblica 24 luglio 2005. Lucca. La gente non stava chiusa al cesso tutto quel tempo

"Il giorno che arrestai Chet Baker". La Repubblica 24 luglio 2005. Lucca. La gente non stava chiusa al cesso tutto quel tempo. Mina cantava: quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti. "Apri, apri, polizia, buttiamo giù la porta". L´agente bussò. Era stato il figlio del benzinaio ad avvisarlo: " lì dentro, da un sacco di tempo". San Concordio, provincia di Lucca, 31 luglio 1960. Quarantacinque anni fa, pomeriggio pigro, stazione di servizio Shell. L´Italia aveva la dolce vita, Chet il buco amaro. L´estate era calda. La sua era drogata. "Mi fermai ad una pompa di benzina per farmi una pera. Mi ci vollero tre quarti d´ora per trovare una vena". La porta s´aprì, l´agente Neri Gugliermino vide: il lavandino sporco di sangue, le maniche tirate su, la siringa, le mani che tremavano, le due fiale rotte, le occhiaie, il pallore, la barba lunga. "Mi trovai davanti un fantasma". L´uomo era docile, barcollava, balbettava. Cose senza senso. Senza senso anche le sue vene: sembravano fil di ferro. Al commissariato ritrovò lucidità. "Mi chiamo Henry Chesney Baker". Chiese di fare una chiamata. Arrivò il dottor Francesconi, spiegò che Baker si stava disintossicando nella sua clinica. Il trombettista venne rilasciato. La notizia comparve su tutti i giornali europei e in Usa: Chet Baker era stato trovato in stato d´incoscienza nel bagno di una stazione di servizio, sporco di sangue. Lo scandalo dell´eroina. L´America era andata oltre i biscotti alla marijuana, a New York alla fine degli anni ´50 una dose giornaliera di eroina costava pochi dollari. Come ricorda James Gavin nel libro "Chet Baker" i jazzisti compravano da Biondino, Smilzo e Nick lo Sporco, spacciatori che trafficavano nei bagni dei locali. Ma in Italia l´eroina non circolava, se non nei romanzi. Il fascicolo passò al sostituto procuratore, Fabio Romiti, pubblico ministero. "In estate restano sempre i fessi. Avevo 35 anni, mi era appena nata la prima figlia. Lucca era una città tranquilla: solo un po´ di prostituzione e qualche rapinetta. Droga? Figurarsi, allora lo sballo era un piatto di tortelli". E magari annusare la mortadella, con la paga oraria di un operaio (144 lire) ne venivano fuori due etti. Romiti non era appassionato di jazz, ignorava la fama di Baker. "Conoscevo solo il valzer e le marce militari. Non sapevo leggere la musica, che tra l´altro intenerisce il cuore, meglio non sentirla, perché penetra. Lessi però il rapporto della polizia e trovai troppi medici compiacenti. Era il primo grande caso di droga in Italia". Romiti interrogò Chet. "Pareva un uccello sperduto, ma il suo italiano era comprensibile, quel Joey Carani, suo amico, invece non mi piaceva, era un tipo strafottente". Chet suonava da Dio, non tratteneva niente, spifferò tutto. "Parlò dalla mattina fino alle 4,30 del pomeriggio. Mai visto uno così sincero, i nostri delinquenti non lo sono. Il collega che trascriveva s´intenerì, si mise quasi a piagnucolare, io invece insistevo: scrivi, scrivi. Baker fece i nomi dei medici, dei farmacisti, disse come si procurava il Palfium. Che era ´sta sostanza? Andai a leggere, m´informai, era appena stata approvata una legge sui stupefacenti. Mi accorsi che il rapporto era stato fatto con i piedi, che non c´era nessuna intenzione di arrestarlo: la questura era sempre stata benevola, Sergio Bernardini, patron della Bussola, si era comprato con dei servizi la compiacenza dei dottori, qualche medico per diecimila lire si era venduto la ricetta. Insomma, tutti sapevano: Baker per suonare doveva prendere le droghe. Nessuno voleva vederlo soffrire, ma a me questa complicità sembrò una forma di eutanasia. Poi da Roma, dal ministero di Grazia e Giustizia mi arrivò una telefonata. Erano preoccupati. C´era appena stato il caso Montesi. Capivo?". Chet Baker era l´amico americano, il governo Fanfani aveva appena preso il posto, dopo i fatti di Genova, di quello Tambroni. Roma non voleva noie, ma Romiti fece le sue indagini. Trovò 25 dottori che avevano prescritto Palfium a Baker. Il 22 agosto i poliziotti si presentarono con un mandato a Villa Gemma per il trombettista. Due giorni dopo la polizia arrestò Carani e i dottori Bechelli, Nottoli, Francesconi e Giambastiani per complicità con un tossicodipendente. Finirono dentro anche altri medici e farmacisti. Baker aveva cantato: in maniera straziante, ma nomi e cognomi li aveva detti bene. L´uomo che negli anni Cinquanta aveva il mondo ai suoi piedi, ammise di aver contrabbandato enormi quantità di Jetrium dalla Germania e di aver rubato e falsificato ricettari. L´America gli aveva voltato le spalle. " solo un drogato spietato e un uomo lagnoso", aveva detto il produttore Orrin Keepnews. "Sembra che abbia la bocca piena di polenta", era stato l´oltraggio di Dinah Washington, che si era preso gioco della sua versione di Old Devil Moon. L´ultimo giudice americano che lo aveva arrestato aveva cercato un po´ di innocenza nella sua fedina penale. Ma otto precedenti non meritavano clemenza. Chet beccò una condanna di sei mesi a Rikers Island, il terribile carcere che guardava Manhattan dall´altra parte dell´East River. Baker salvò la pelle e uscì con la busta dei suoi averi: un panino alla mortadella a un quarto di dollaro per la metropolitana. L´avventura italiana. Così Chet partì per l´Italia. Agli europei piaceva il suo fascino tragico. Il suo aspetto orribile. Non applaudivano la musica, ma la sua melanconia disgraziata. Il pianista Enrico Pieranunzi: "Era così dolce quando suonava, così misterioso". Chet aveva anche fatto l´attore in un film "Urlatori alla sbarra" (con Mina e Celentano) di Lucio Fulci. Nell´ultima scena era un angelo innocente e languido. Bello, ma imbottito di morfina e di oppio. L´eroina in Italia allora non si trovava. Baker trovò un sostituto: il Palfium 875, un analgesico creato in Belgio tre anni prima, per far smettere con la droga. All´inizio era venduto liberamente come aspirina, ma nel ´57 le autorità scoprirono che disintossicarsi dal Palfium era più difficile che dall´eroina. Baker polverizzava le pastiglie nell´acqua, filtrava il liquido con una garza o con la manica, riempiva la siringa e si iniettava il contenuto. In più contrabbandava Jetrium. Tra Germania e Italia. In un mese diecimila pillole. Girava in Alfa Romeo, occhiali neri e sandali. Una necessità più che una moda. Le pupille ridotte a spilli dovevano stare nascoste, i piedi gonfi di buchi non entravano nelle scarpe. Si iniettava 250 pillole al giorno. Aveva i brividi. Girava per Milano (suonava al Santa Tecla) infagottato in un cappotto di lana. Il 4 dicembre ´59 entrò a Villa Turro per disintossicarsi. Ma la sua musica ne risentiva. "Mi mancano le idee". Dopo due mesi di cura del sonno tornò a farsi. A marzo entrò in una clinica di Monza, poi si ributtò sulle droghe. A maggio i problemi. E il contratto. Un´intera stagione al Bussolotto, piano-bar della Bussola, a Focette. Davanti ai dottori recitava, si prendeva in mano le tempie, diceva di aver avuto due gravi incidenti di auto. "Sinusite, trigemino?", chiedevano quelli. "Sì, sì", era la risposta. Spiegava che solo il Palfium gli faceva effetto. Quasi tutti, impietositi, gli facevano la ricetta. Una sola scatola di cinque pastiglie, il minimo per farsi una dose, ma lui aveva bisogno di più. Cominciò a saltare le serate. Carlo Loffredo, che suonava con lui: "Quando veniva a chiedermi le chiavi della macchina era impressionante, aveva gli occhi di fuori. Indossava sempre lo stesso smoking un po´ liso, camicia aperta senza papillon, e sandali da frate marroni. Dava nell´occhio, erano altri tempi e eravamo pur sempre alla Bussola". Baker il 20 maggio 1960 aveva conosciuto Roberto Bechelli, un medico di Viareggio che da lì al 27 luglio gli consegnò 23 prescrizioni. Nello stesso periodo entrò in contatto con Sergio Nottoli, andò anche da un altro dottore, Enrico Landucci, che non era in ambulatorio. Chet rubò i fogli di prescrizione e si presentò alla farmacia Vignoli, fuori Pisa. Lì si insospettirono. Le date erano segnate all´americana 7/15/60 e non 15/7/60. Il 16 luglio Baker suonò in maniera troppo strana. Perfino per lui. Da stordito. Bernardini chiese se c´era un medico in sala. Pierluigi Francesconi, primario alla Santa Zita, si fece avanti. E capì. "Possiamo provare con la disintossicazione". Vitamine e dose decrescenti di Palfium. "Ma non potevo chiuderlo a chiave". Romiti ricorda: "Fui colpito dalla disinvoltura di Baker, aveva saccheggiato tutte le farmacie della Versilia, con quell´aria da povero diavolo, e ce lo veniva pure a dire. Il resto l´aveva fatto Carol, la sua compagna, che aveva un bel sedere da agitare davanti ai medici". La dolce vita, già. Il più potente avvocato di Lucca, Mario Frezza, si offrì di difendere Baker gratuitamente. Chet venne contattato anche da Dino De Laurentis che gli offrì tremila dollari per i diritti cinematografici. Il processo cominciò tra i flash dei paparazzi e delle contadine che gridarono "puttana" a Carol, visto che era stata arrestatata anche Halema, la moglie di Chet. Baker continuava a toccarsi il capo simulando dolore. Perfino Oriana Fallaci ne fu intenerita e lo difese sull´Europeo scrivendo che Chet "suona la tromba che a momenti sembra un inno al Signore". Baker venne dichiarato colpevole di contrabbando di droga e falsificazione. Una condanna clemente: 1 anno, 7 mesi, 10 giorni di prigione. Lo portarono via ammanettato verso il penitenziario di San Giorgio, in centro città. Il trattamento fu di riguardo. Le guardie gli insegnavano l´italiano e gli permettevano Playboy e visite coniugali con Carol. Lui suonava in cella. Dopo il tramonto. Si lamentava, con la sua musica. C´era chi andava ad ascoltarlo fuori dalle mura. "Un´esperienza mistica". Grazie alla buona condotta ottenne uno sconto di pena e uscì il 15 dicembre, prima di Natale. Aveva trentadue anni. "Chet is back", si intitolò il suo primo album dopo la galera, registrato a Roma. Sì, Chet era tornato, quello di prima. Energico e audace. Gagarin volava nello spazio. Chet chiese a un collega di stringergli la cintura al braccio. "Solo una volta, poi smetto". Emanuela Audisio