Corriere della Sera 20/07/2005, pag.43 Sergio Romano, 20 luglio 2005
L’8 per mille e i suoi precedenti storici. Corriere della Sera 20/07/2005. Nella sua intervista l’ex ministro Giulio Tremonti, par di capire, rivendica la paternità della legge dell’8 per mille
L’8 per mille e i suoi precedenti storici. Corriere della Sera 20/07/2005. Nella sua intervista l’ex ministro Giulio Tremonti, par di capire, rivendica la paternità della legge dell’8 per mille. Più che una legge mi pare un imbroglio e neppure tanto sofisticato. Mi riferisco a quella norma che ha assegnato alla Chiesa cattolica una valanga di denaro all’insaputa dei cittadini grazie al meccanismo che ripartisce tra le Chiese – ma alcune lo rifiutano come quella valdese – anche il denaro non assegnato dai cittadini al momento della dichiarazione dei redditi. Interpretando così anche le scelte non fatte – un po’ com’è avvenuto con le astensioni dell’ultimo referendum – la Chiesa cattolica ha fatto la parte del leone, ingoiando un miliardo di euro l’anno che poi spende per 4/5 per il mantenimento del clero, cioè di se stessa. Carlo Correr carlocorrer@tiscalinet.it Caro Correr, cercherò di convincerla che l’8 per mille, piaccia o no, ha le sue ragioni storiche. Quando negoziammo con la Santa Sede i Trattati del 1929 (il Concordato e i Patti lateranensi), fu deciso che l’Italia avrebbe assicurato al clero "in cura d’anime" (i parroci, i loro assistenti e i cappellani) un trattamento economico corrispondente ai benefici che quei sacerdoti avevano tradizionalmente percepito sui beni ecclesiastici incamerati dallo Stato sabaudo e, successivamente, dallo Stato unitario. Era un modo per chiudere un vecchio problema che aveva avvelenato per molti anni i rapporti con la Chiesa e turbato le coscienze di parecchi italiani. Da quel momento lo Stato pagò ai preti uno stipendio che venne chiamato generalmente "congrua" perché così si era chiamato in passato il reddito di un beneficio ecclesiastico destinato al sostentamento del chierico che ne era diventato titolare. I negoziatori del nuovo Concordato, firmato nel 1984, decisero che quella soluzione era molto invecchiata e che era meglio, nell’interesse di tutti, togliere lo Stato dalla imbarazzante funzione di ufficiale pagatore di una rete parrocchiale. Ma occorreva trovare una soluzione di ricambio. In altri Paesi (gli Stati Uniti ad esempio) il clero avrebbe potuto fare affidamento sulla generosità dei fedeli. Da noi la questua domenicale è modesta e i preti avrebbero corso il rischio di trovarsi in grandi strettezze. Dopo la firma del Concordato venne costituita una commissione composta da due delegazioni. Quella della Santa Sede fu presieduta dal vescovo Attilio Nicora (oggi cardinale) e quella italiana da Francesco Margiotta Broglio, allievo di Arturo Carlo Jemolo e professore di diritto ecclesiastico all’Università di Firenze. La soluzione adottata fu la versione italiana delle kirchenstuer (tasse per la Chiesa), applicate da molto tempo nei Paesi tedeschi e scandinavi. La legge del 20 maggio 1985 creò un Istituto per il sostentamente del clero e previde all’art. 47 che il contribuente avrebbe dedicato l’8 per mille del suo reddito ad attività sociali, umanitarie e avrebbe scelto il destinatario: lo Stato o la Chiesa, a cui si aggiunsero poi altre confessioni religiose che conclusero con le autorità italiane una intesa simile a quella stipulata dalla Santa Sede. Se il contribuente non avesse dato alcuna indicazione il suo 8 per mille sarebbe stato ripartito proporzionalmente secondo le percentuali di coloro che avevano deciso. Nessuno, in quel momento, poteva prevedere che cosa il contribuente italiano avrebbe fatto del proprio "obolo" e molti, nella Chiesa cattolica, temettero che il gettito sarebbe stato modesto. Ma il cardinale Ballestrero, allora presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), decise di correre il rischio e dovette alla fine congratularsi con se stesso. vero che molti italiani non decidono la destinazione dell’8 per mille, ma la maggioranza di coloro che danno una indicazione sceglie la Chiesa. Che cosa può osservare un laico di fronte a una tale decisione? Forse semplicemente che molti italiani, credenti o no, riconoscono alla Chiesa un’utile funzione sociale o, peggio, che non si fidano del modo in cui lo Stato spende i suoi soldi. Sergio Romano