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 2005  luglio 29 Venerdì calendario

Gonzalez Javier

• Nueva del Pinar (Cuba) 21 gennaio 1983. Giocatore di pallavolo • «Prima alzava palle per gli schiacciatori ora alza scatoloni con dentro oggetti di modernariato. Da La Havana a Milano, da alzatore della nazionale di pallavolo a fattorino e insegnante di beach volley part time. ”Sono fortunato” dice Javier Gonzalez, e non è ironia. [...] Non è un film, la storia di Gonzalez, e la libertà conquistata non ha i toni epici di Fuga per la vittoria. C’entrano però lo sport, la politica e l’idea di ciò che può significare nonostante tutto la parola Occidente. [...] scappato il 4 giugno 2005 mentre era in ritiro con la squadra a Vimercate [...] ha chiesto e ottenuto in modo singolarmente veloce asilo politico: [...] ”Erano quattro anni che sognavo di scappare dalla dittatura [...] Non mi sarei neanche accorto della libertà se non avessi potuto viaggiare; ma ogni volta che ero all’estero con la nazionale cubana giravamo con dietro sei agenti della polizia castrista, non potevamo telefonare, non potevamo andare in giro a cena fuori dall’albergo, non ci lasciavano il passaporto, dello shopping neanche a parlarne...”. Aveva talento, Javier. Anzi, era un predestinato. [...] ”[...] Non credo giocherò più, Castro non me lo permetterà, la federazione cubana è troppo potente e mi bloccherà. Ma non mi interessa. [...]’. La politica gli ha mostrato il suo volto peggiore; dopo, anche una speranza. Fu quando conobbe i radicali, che ne hanno fatto un simbolo: a lui è andata bene, ad altri no. [...] ”[...] Sono andato via e basta. Volevo farlo dal 2001 ma mia madre Susana era malata, non potevo abbandonarla. Mio padre Nino invece mi ha sempre detto ’decidi tu’, era la mia vita”. Quando la madre è morta [...] ha scelto di andare. Due radicali pallavolisti per hobby, Paolo Consonni e Nicola Gramegna, raccolgono questo sfogo durante una vacanza a Cuba. Lasciano a Javier un telefonino, che lui nasconde e usa solo quando non è a La Havana: ”A Cuba nessuna telefonata è sicura, e soprattutto i cellulari sono controllatissimi”. Lo userà dall’estero, per chiamare i suoi amici. Quando, il 4 giugno, decide di fuggire, Javier indossa una maglietta della Juventus. I gorilla della polizia castrista neanche lo riconoscono. [...]» (Jacopo Iacoboni, ”La Stampa” 29/7/2005).