Varie, 28 luglio 2005
MONTALDO
MONTALDO Giuliano Genova 22 febbraio 1930. Regista. Palma d’Oro a Cannes nel ”71 col film Sacco e Vanzetti. Pluripremiato per lo sceneggiato televisivo Marco Polo (1982) • «Arrivare troppo presto su un tema difficile. Lavorare con furia alla scrittura di un film che viene accolto come una doccia fredda da quello che [...] lui definisce con affetto ”da Age a Zavattini, un unico timbro, un’unica famiglia: l’ufficio politico del cinema diretto da Antonello Trombadori”. Essere salutati, alla fine della prima proiezione’al Festival di Venezia – ”da un’atmosfera da fucilazione stalinista”. E restare, tuttavia, con grande orgoglio e altrettanta serenità, per cinquant’anni e più, militante di una sinistra ”che non è mai stata generosa, che ha sempre dato per scontati l’omaggio e l’adesione di tante persone come me. Ci usavano e noi eravamo felici di farci usare. [...]”. [...] quell’estate del 1961, a quel suo primo film-figlio, tanto amato eppure non capito. ”Avevamo letto, con Fabrizio Onofri, sceneggiatore e giornalista, Tiro al piccione, la drammatica autobiografia di Giose Rimanelli, lo scrittore molisano che a 17 anni ”per caso, come capitò a tanti’scelse di arruolarsi nell’esercito della Repubblica di Salò e solo più tardi capì di avere visto la patria e la Resistenza dalla parte sbagliata”. Tiro al piccione di Rimanelli, scritto nell’autunno del 1945, uscì da Mondadori nel 1953. Il manoscritto era passato dalle mani di Cesare Pavese, cui il giovane autore lo consegnò personalmente, nel 1950, per l’editore Einaudi, a quelle di Vittorini, che ”morto Pavese’consigliò di mandarlo alla Mondadori. [...] Montaldo, giovane regista al suo esordio, trova i finanziamenti: ”Il film partì grazie a un imprenditore intelligente e coraggioso come Sandro Iacovoni, che aveva prodotto La lunga notte del ”43 di Florestano Vancini. Era interpretato da Jacques Charrier, l’attore francese che in quel momento era stato appena mollato da Brigitte Bardot, da Francisco Rabal e da Eleonora Rossi Drago. Fu attaccato da destra e da sinistra. Tutti presero le distanze, per tre anni io entrai in una crisi profonda, da cui mi salvò mia moglie Vera con il suo amore e la sua energia. Ero stato allevato da un padre socialista, andavo alle manifestazioni, nella Genova del primo dopoguerra, ad ascoltare il sindacalista Giuseppe Di Vittorio gridare: ”Dicono che sono un cafone... Ma io sono cafone!’. E noi ci riscaldavamo dal freddo gelido con le sue parole. Ho sempre avuto il cuore, il cervello e la fede a sinistra, sono uno che non sopporta la corruzione, l’egoismo, l’intolleranza, tutti virus ancora dilaganti. La scomunica del mio primo film pesava tanto. Per fortuna, qualche anno dopo, quando il film passò in televisione, mi telefonò il grande capo comunista Giorgio Amendola: ”Non hanno capito nulla. Scusali’”. [...] Al secondo tentativo, un film-denuncia del capitalismo nascente negli anni del boom italiano, Una bella grinta, del 1964, ”andò un po’ meglio. Perfino Alberto Moravia ne parlò bene, fu premiato a Berlino. Ero dalla parte giusta, ma uscì a ferragosto e neppure la mia mamma riuscì a vederlo”. Il successo arriva con due produzioni internazionali, Ad ogni costo, con Edward G. Robinson e Janet Leigh e Gli intoccabili, con John Cassavetes, Salvo Randone e Peter Falk. ”Avevo fatto un po’ di soldi, potevo dedicarmi finalmente ai film che mi stavano veramente a cuore. Con Andrea Barbato, scrivemmo Gott mit Uns, che bei ricordi... Preparammo anche insieme un soggetto sul Cile di Allende, basato su documenti del controspionaggio. Il presidente cileno lo lesse, nell’ultima scena avevamo previsto la sua uccisione. Lui commentò: può essere. Due mesi dopo fu eliminato. Una terribile,ma prevedibile coincidenza. Nel 1970 arrivò Sacco e Vanzetti [...] avevo Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla nel pieno della loro carriera. Con Ennio Morricone pensammo alla colonna sonora, lui voleva una ballata, l’unica che poteva eseguirla era Joan Baez. Sapevamo che era amica di Furio Colombo, le mandammo attraverso di lui la sceneggiatura. Lei mi telefonò al mattino seguente, dicendomi: ci sto! Grazie al nostro film, gli studenti di diritto di Boston ricostruirono il processo in tempo reale e dopo sette anni il governatore Michael Dukakis riabilitò i due italiani nel corso di una cerimonia dove fui invitato». I film che Montaldo predilige sono, dice, ”quelli che vedono solo i garagisti, perché le tv li mandano alle tre di notte. La mattina vado a prendere la macchina e mi salutano così: a dottò, stanotte era gagliardo!”. Con Sacco e Vanzetti, il Giordano Bruno con Volontè e Charlotte Rampling, L’Agnese va a morire con Michele Placido, Ingrid Thulin e Stefano Satta Flores, Gli occhiali d’oro con Philippe Noiret, Rupert Everett e la giovanissima Valeria Golino. Tanti attori, attrici, ma ”Gian Maria era unico. Non ha mai recitato due volte con la stessa espressione del viso, passava dal buono al cattivo, dal cowboy al poliziotto italiano, da Enrico Mattei ad Aldo Moro, dal dongiovanni al santo, riuscendo a esser sempre credibile”. Fra i politici di ieri, il numero uno per il regista ”resterà sempre Enrico Berlinguer: la sua serena pacatezza entrava nelle case e nei cuori con grande educazione e rispetto. Amava il cinema, amò moltissimo il mio L’Agnese va a morire, lo venne a vedere con Giancarlo Pajetta. [...] Il collega più stimato? Fra i coetanei, Carlo Lizzani, che mi volle come attore quando ero solo un ragazzo. Fra i più giovani, non ho dubbi: Nanni Moretti, ho per lui tanto affetto. [...]» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 12/11/2005) • Grande tifoso del Genoa • «[...] Avevo 8 anni quando entrai per la prima volta nello stadio di Marassi. Mi portò mio cugino, genoano fanatico, che si dimenticò di me al punto di perdermi. Dopo la fine della partita restai un’ora sui gradoni, in attesa che venisse a riprendermi [...] io sono uno di quelli convinti che il Genoa abbia le maglie rossoblù perché il rosso è il colore del cuore e il blu quello della nobiltà. Vivo a Roma e per anni, ogni lunedì, mi sono ritrovato davanti a un’edicola di giornali per discutere di Genoa con Claudio G. Fava, critico cinematografico, mio amico, genovese e genoano quanto me. [...] Alle elementari la gran parte dei bambini sceglie di tifare per le squadre che vincono. Chi si ”iscrive” al Genoa compie un atto di fede, si abbona ai patimenti. Noi siamo gente che ha bisogno di passione, entusiasmo. Ci nutriamo di adrenalina. Genova era una Repubblica, Genova ha importato il calcio in Italia grazie agli inglesi che, a fine Ottocento, frequentavano il nostro porto [...] Juan Carlo Verdeal, argentino patagonico, numero dieci classico. Verdeal illuminò il Genoa del secondo dopoguerra. Era un rifinitore meraviglioso. Io, però, ricordo con affetto tanti altri ”vecchi” genoani. Come Sardelli, difensore che mise su un negozio di sedie nella zona di Marassi. Come Allasio, centromediano, papà di Marisa, attrice (protagonista di Poveri, ma belli, un successone degli anni Cinquanta, ndr ) [...]» (Sebastiano Vernazza, ”La Gazzetta dello Sport” 28/7/2005).