28 luglio 2005
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Benali Abdelkader
• Nato a Ighazzazen (Marocco) il 25 novembre 1975. Scrittore. vive in Olanda dall’età di tre anni. Matrimonio al mare è il suo primo libro, premiato come miglior debutto in Olanda e in Francia e tradotto in dodici lingue (in Italia è stato pubblicato da Marcos y Marcos nel 2000). La lunga attesa, suo secondo romanzo (Fazi), ha conquistato il più prestigioso premio letterario (Libris Literatuurprijs) come miglior romanzo olandese nel 2003. anche drammaturgo e poeta, ed è uno degli autori più amati nel suo paese d’adozione. «Sono cresciuto a Rotterdam, la città in cui ha avuto inizio l’ascesa irresistibile del populista Pim Fortuyn, il politico olandese assassinato nel 2002. [...] vivo ad Amsterdam, la città di Theo van Gogh, il regista ucciso barbaramente il 2 novembre 2004 da Mohammed Bouyeri. Quando ho letto la storia di questo ragazzo, come me di origine marocchina, ho pensato: ha solo due anni meno di me e mi somiglia più di quanto non voglia ammettere. Chi lo conosce lo descrive come un tipo lavoratore, ubbidiente, ambizioso, che si sforzava di creare un ambiente migliore per sé e per gli altri. Anch’io sono così, ho pensato. Su di lui un giornalista ha scritto: ” uno dei tanti marocchini che riescono quasi ad agguantare il successo, ma se poi qualcosa va storto entrano in crisi”. Ce ne sono molti di ragazzi così. Questo vuol dire che io ho avuto successo? Sono nato in Marocco nella metà degli anni Settanta e all’età di tre anni mi sono trasferito in Olanda come figlio di un lavoratore immigrato. Gli immigrati erano sempre uomini, le donne non venivano selezionate per lavorare all’estero. I primi immigrati erano consapevoli del fatto che non avrebbero avuto successo, e lo accettavano; l’importante era poter offrire ai loro figli un’esistenza migliore. Si accontentavano di quello che ricevevano (era già un grosso passo avanti rispetto ai poveri paesini di montagna da cui provenivano) ed esprimevano gratitudine all’Olanda tenendo la bocca chiusa e lasciando la parola ai loro rappresentanti. Oggi le seconde generazioni hanno violato quel tacito accordo: parlano perfettamente l’olandese e sanno mettere il dito nella piaga, si ribellano ai tabù e vogliono essere accettati come cittadini a pieno titolo. Il fatto che siano diventati così non dipende dai loro genitori, ma dall’Olanda. l’Olanda che li ha emancipati. Mohammed Bouyeri, paradossalmente, è un prodotto dell’Olanda. Per spiegarlo bisogna fare un piccolo passo indietro. Mia madre mi ha portato in Olanda all’epoca del ricongiungimento familiare. Mi ha dato in affidamento alla società olandese e in poco tempo questa madrina ha superato mia madre su tutti i fronti (solo nell’amore materno nessuno poteva batterla). L’Olanda si è occupata della mia formazione intellettuale: leggere, scrivere, fare di conto. Mi ha riempito di idee, divine e diaboliche, esaltanti e inquietanti. [...] La cosa più difficile per me era che in Olanda bisogna sempre dire quello che si pensa, è considerato un gesto sportivo, un segno di spontaneità; ma ogni volta che ci provavo mi mettevo nei guai, sia a casa, che in strada, che a scuola. Col tempo ho capito che bisogna dire quello che si pensa in modo da non finire nei guai; così non solo la passi liscia, ma puoi contare sull’apprezzamento generale. Insomma, ho scelto di diventare scrittore. Mohammed Bouyeri invece era uno che voleva aiutare la gente, faceva volontariato in un centro sociale. Era avviato al successo, e diceva quello che pensava [...] La cosa strana è che i miei genitori sono stati i primi a rimpiangere l’Olanda dei bei tempi. Molto prima dell’ascesa politica di Pim Fortuyn, a tavola mi era capitato di sentirli dire: con l’arrivo degli immigrati l’Olanda è cambiata, in questo paese molti marocchini perdono la bussola, l’Olanda dovrebbe badare di più ai propri interessi. Commenti di gente semplice, diretta. Ex immigrati che esprimevano le loro critiche all’Olanda, mentre gli olandesi non se ne accorgevano (o forse non venivano a dirlo a me). Non avrei mai pensato che i miei genitori potessero cogliere nel segno. Ora riconosco che avevano ragione, anche se con l’amaro in bocca. E ovviamente i miei genitori dicevano pure che in Olanda tutto è permesso e che non capivano bene perché dovesse essere tutto lecito. A casa mia di omosessualità non si è mai parlato. Non si parlava mai di sesso, se non in termini molto cauti e velati. I tempi della coesistenza pacifica stavano finendo in fretta. Alle critiche degli olandesi nei confronti della società multietnica hanno cominciato a replicare i marocchini di seconda generazione. Si è aperto il dibattito, anche se a volte è un dibattito tra sordi. [...] Dopo l’uscita del mio primo romanzo (Matrimonio al mare, Marcos y Marcos, ndr), ho cominciato a fare presentazioni in giro per il paese. Mi accorgevo che il pubblico era impaziente di sentirmi parlare del Marocco, di come sono cresciuto, di come mi sento, di che cosa penso. La curiosità è grande. Per cui mi chiedo: i musulmani non dovrebbero essere più spesso quelli che portano le notizie invece di continuare a fare notizia? Sarebbe un modo per eliminare l’ignoranza, ma gli scivoloni sono sempre in agguato. [...] La mia è una famiglia silenziosa, una famiglia del nord del Marocco che non è abituata agli estranei. Hanno vissuto così per migliaia di anni, e non è cambiato niente. Non sentono la necessità di relazionarsi con chi è diverso da loro, di riflettere e accettare le differenze. Anzi, la prima generazione di marocchini si è abituata, quando le tornava comodo, a voltare le spalle alla società olandese. La società olandese non ha avuto niente da ridire e ha addirittura mostrato comprensione. Una bella cosa. Un segno di civiltà. Vivere vite parallele, per tanti anni, può essere un segno di civiltà. Gli olandesi si sono persi il cuscus, i marocchini il museo Van Gogh, ma in compenso c’era una bella tranquillità. [...]» (’il manifesto” 27/7/2005).