varie, 28 luglio 2005
BECCHETTI
BECCHETTI Sandro Roma 25 dicembre 1935. Fotografo. «Wladimiro Settimelli lo definisce ”grande fotografo pieno di ironia, affabulatore nato, maestro del ritratto e simpatico rompiscatole degli anni ”70, che sguazzava felice tra i grandi personaggi italiani e stranieri che vivevano o passavano per Roma in quel periodo”. [...] ha cominciato a scattare nella seconda metà degli anni ”60, con la macchina che gli regalò per un compleanno l’amico con cui realizzava fumetti. Luciano Bernasconi disegnava e Sandro scriveva i testi. Iniziò a fotografare con l’obiettivo ambizioso di eternare i monumenti - ”tutto er marmo che c’è a Roma, compresi i ciottoli del Foro, uno a uno”. Ma si rese conto presto che erano più interessanti gli esseri umani, perché mentre i monumenti degradano con molta lentezza, le persone sfioriscono in un batter d’occhio. E poi nel ”68 la svolta: l’impegno e il lavoro potevano coincidere. Un giorno prese un pacco di foto scattate durante l’occupazione universitaria del ”68 - la contestazione scritta sui muri dell’aula magna della facoltà di lettere - e le portò a Pasquale Prunas, responsabile della terza pagina de ”Il Messaggero”, a cui piacquero tanto da decidere di comprarle tutte e dare il via ad un rapporto di fiducia e collaborazione durato anni. Per ”Il Messaggero” - e saltuariamente per altre testate tra cui l’’Unità”, ”Il Manifesto”, ”la Repubblica”, ”l’Espresso”, ”Il Secolo XIX”, ”Il Mondo”, Rai, Bbc, Life, France Presse (insieme ad un gruppo di fotografi amici, tra cui Paola Agosti, Tatiano Maiore, Fausto Giaccone, aveva animato anche una piccola agenzia, la Dpf) - Becchetti ha ritratto, tra gli anni ”70 e il 2000, i grandi personaggi della letteratura, del cinema, dell’arte, del teatro, della politica. L’elenco di personaggi è lunghissimo: Christo, Parise, Natalia Ginzburg, Tano Festa, Sandro Penna, Andy Warhol, Alfred Hitchcock, Günther Grass, Federico Fellini, Henry Kissinger, Max Ernst, Irene Papas, Amos Oz, Giorgio de Chirico, Ornella Vanoni, Roberto Rossellini e altri ancora. Tra le foto c’è anche quella di un Julius Evola vecchio e ansimante (morì pochi giorni dopo quello scatto, nel 1974) [...] Di quell’incontro il fotografo ricorda ancora il tanfo di cavoli di cui era impregnata la sua casa. ”Il cavolo, che ha avuto una pessima fortuna in Italia - metaforicamente parlando - perché di una persona si dice è un testa di cavolo, in quel contesto ci stava proprio bene!”. I suoi set fotografici sono soprattutto romani, e sono autentici, proprio come il suo accento [...] D’altronde è a Roma che è nato la notte di Natale del 1935 - ”su un tavolo di cucina all’ultimo piano di un palazzo di via di Fontanella Borghese n. 64” - e ha trascorso l’infanzia negli ambienti di servizio del Quirinale, perché il padre lavorava alle reali scuderie. [...] le sue grandi passioni: i cappelli, diversi per foggia e materiali [...] le foto degli indiani americani e la bandiera rossa. [...] ”Non ho avuto insegnanti. Provando e riprovando... [...] non ho mai saputo usare il flash, perciò anche negli ambienti chiusi fotografavo lavorando sull’apertura del diaframma e sul tempo basso. La passione per la pittura mi ha portato a cercare di traslare la luce, quella bella - di taglio - nella fotografia. Eppoi non ho mai avuto uno studio. O meglio, quando abitavo in via Monterone, il mio studio era la cucina di casa, dove nel pomeriggio si affacciava il sole. Mi ricordo quella grande luce chiara, esaltata dalle pareti bianche. Lì venivano gli amici, si mettevano seduti e io gli facevo di solito un rullo. L’ultimo è stato Federico Zampaglione, leader dei Tiromancino. [...] Ho avuto un solo allievo in tutta la mia vita, e per brevissimo tempo, Fabrizio Ferri. Proprio il grande Ferri! Fabrizio è il figlio di una mia amica, Giuliana, che è stata la responsabile dell’ufficio stampa e propaganda del partito comunista. Mi arrabbiavo molto con lui, perché andavamo insieme alle manifestazioni e lui tirava fuori il 28. Che fai, gli dicevo, con questi obiettivi le persone vengono puntini. Invece la manifestazione è un gesto, uno sguardo, due mani che si tengono, insomma sono momenti della vita. [...] ho fotografato spesso le mani. Ad esempio ho fotografato le mani di Pasolini o quelle di Richter, il pianista. Poi ho le foto delle mani dei contadini. Le mani del pensiero e le mani della fatica sono la stessa cosa, solo che le mani del pensiero non hanno confini, mentre quelle della fatica hanno dei limiti strettissimi. Le mani, poi, hanno avuto sempre un significato profondamente simbolico. Una mano aperta può esprimere maledizione, il pugno chiuso rabbia. Nelle insegne dell’esercito romano c’era un gesto, con il pollice tra l’indice e il medio che esprimeva fecondità. Le mani non si possono truccare. Sono veramente l’espressione della condizione umana. [...] Ho parecchie foto che non ho mai stampato, alcune sono addirittura storiche, come i funerali di Togliatti» (Manuela De Leonardis, ”il manifesto” 27/7/2005).