La Repubblica 24/07/2005, pag.23 Massimo Livi Bacci, 24 luglio 2005
Il sorpasso indiano. La Repubblica 24 luglio 2005. Mezzo secolo fa Nehru dichiarò che il piano quinquennale da poco approvato mirava a risolvere i "365 milioni di problemi" dell´India, tanti quanti erano gli abitanti del paese, frenandone l´ulteriore crescita
Il sorpasso indiano. La Repubblica 24 luglio 2005. Mezzo secolo fa Nehru dichiarò che il piano quinquennale da poco approvato mirava a risolvere i "365 milioni di problemi" dell´India, tanti quanti erano gli abitanti del paese, frenandone l´ulteriore crescita. Oggi la popolazione s´è triplicata, raggiungendo un miliardo e 100 milioni, e risulterà quadruplicata nel 2030, anno nel quale si prevede che gli indiani (1.450 milioni) avranno superato i cinesi. Due paesi - i due quinti dell´umanità - che alla metà del secolo scorso erano accomunati da una gravissima arretratezza, hanno percorso strade molto diverse. Se un ipotetico traguardo fosse fissato a oggi, la Cina risulterebbe vincitrice. Lo è senza dubbio per il controllo della crescita demografica: il tasso d´incremento è, in Cina, meno della metà di quello dell´India; le donne mettono al mondo meno di 2 figlie a testa contro 3 in India; la speranza di vita alla nascita è di quasi 10 anni più lunga. Ma vincitrice lo è anche sotto il profilo economico e sociale: un tasso di crescita più alto, un reddito procapite doppio, maggiore istruzione, più contenute differenze di genere. Eppure il giudizio storico andrebbe meglio meditato. La politica di popolazione dell´India ha fallito i suoi obbiettivi, nonostante che fino dal primo piano quinquennale (’51-´56) il rallentamento della crescita demografica fosse posto come obbiettivo prioritario. Le politiche di pianificazione familiare sono state incerte e contraddittorie, intralciate da un eccessivo centralismo burocratico, sostenute da risorse insufficienti. Quando il governo ha usato la mano forte, come avvenne con l´accelerazione del programma di sterilizzazione che conteneva elementi di coercizione (’76-´77), la reazione popolare fu forte e aspra e contribuì alla sconfitta elettorale di Indira Gandhi. La complessità culturale, religiosa e sociale del paese fa sì che le politiche debbano essere flessibili e non impositive, indicando più le direzioni di marcia che non precisi obbiettivi numerici. Attualmente il governo promuove la famiglia di due figli come modello, ma vi è forte critica per quegli Stati federali che usano incentivi e penalità perché le coppie s´attengano al modello indicato. C´è una preoccupazione diffusa che l´imperativo a limitare le nascite, in una cultura che considera una disgrazia l´assenza d´un figlio maschio, rafforzi il pregiudizio verso le bambine. Il censimento del 2001 ha confermato un deficit di femmine tra i bambini sotto i 6 anni; in alcuni Stati le bambine sono del 15% meno numerose dei bambini per effetto della mortalità infantile più alta e, soprattutto, dell´aborto selettivo. Per contrastare questa tremenda pratica, che coinvolge un numero crescente di donne che vogliono il sospirato figlio maschio, si premiano le madri d´una primogenita, o d´una secondogenita, con un modesto sussidio in denaro. Sia pure con lentezza e gradualità, la natalità è in discesa: negli Stati del sud i due figli per donna sono oramai la norma. L´azione governativa se è stata incerta e poco incisiva, nel complesso è stata rispettosa dei diritti e delle prerogative individuali, facilitando, ma non imponendo, nuovi comportamenti. Il contrasto con la Cina è enorme. Qui la politica del figlio unico, duramente imposta con metodi coercitivi fin dalla fine degli anni ’70, ha ottenuto risultati strepitosi, ma a prezzo di un´impietosa repressione del diffuso risentimento popolare. Si pone pertanto un problema etico e politico: è lecito, come si è fatto in Cina, abolire e costringere le prerogative individuali fondamentali (in questo caso: le libere scelte riproduttive) per sostenere la crescita economica? La brusca frenata della natalità ha alleggerito le giovani coppie dagli oneri dell´allevamento; le ha rese disponibili per il lavoro; ha incentivato risparmi e investimenti. Come si usa dire, la Cina ha goduto di un "bonus demografico" che ha pagato cospicui interessi, spingendo la crescita del Pil al 10% all´anno. Ma al prezzo di una dura coercizione. Inoltre il bonus demografico degli ultimi vent´anni, ha per prezzo l´avvento di un malus demografico, quando gli effetti della rapidissima caduta della natalità provocheranno un altrettanto veloce invecchiamento. Oggi appena un cinese su 13 ha più di 65 anni; nel 2030 il rapporto sarà di 1 a 6 e nel 2050 quasi di uno a 4. In Cina il sistema previdenziale è appena embrionale e l´assistenza agli anziani è a carico dei figli maschi, come era tradizione nella società agricola. Ma come si provvederà a questa massa crescente di anziani se i figli maschi non ci saranno, o saranno emigrati in luoghi distanti? E quanto peserà sulla crescita il rapido processo d´invecchiamento? Torniamo all´India, dove il declino della natalità è avvenuto senza strappi, con gradualità, e il processo d´invecchiamento è molto più graduale (un anziano su 11 nel 2030, uno su 7 nel 2050). La transizione alla bassa natalità si sta completando senza coercizioni, nel rispetto delle libertà individuali, senza repressione del risentimento popolare. L´aborto selettivo è utilizzata su scala molto inferiore rispetto al grande vicino del nord. Il bonus demografico - in termini di spinta allo sviluppo - è stato certo minore che in Cina, ma anche il malus sarà assai più lieve. Tra un quarto di secolo, i due paesi saranno vicini al miliardo e mezzo d´abitanti: ma in quale dei due la crescita economica sarà più sostenibile e il tessuto sociale più forte? Massimo Livi Bacci