Il Sole 24 Ore 19/07/2005, pag.29 Sissi Bellomo, 19 luglio 2005
Il tempo di Roma è anche un derivato. Il Sole 24 Ore 19 luglio 2005. Milano. Ironia della sorte, il loro debutto è avvenuto appena pochi giorni prima che la colonnina di mercurio cominciasse a salire
Il tempo di Roma è anche un derivato. Il Sole 24 Ore 19 luglio 2005. Milano. Ironia della sorte, il loro debutto è avvenuto appena pochi giorni prima che la colonnina di mercurio cominciasse a salire. Eppure i futures sul tempo di Roma, almeno per ora, non hanno arricchito nessuno. Perché dal 20 giugno, giorno in cui sono partite le contrattazioni al Chicago Mercantile Exchange, nessuno li ha venduti né acquistati. L’assenza di scambi non stupisce Felix Carabello, responsabile dei prodotti ambientali del Cme: "Il mercato non si costruisce dall’oggi al domani. Ma abbiamo fiducia, perché sono stati i nostri stessi clienti a spingerci a creare dei contratti sulla temperatura anche per una città italiana". Roma è andata così ad aggiungersi ad una lunga serie di località per cui il Cme accetta "scommesse" sulla temperatura: in tutto 29, di cui 18 negli Stati Uniti, 9 in Europa e 2 in Giappone. Per ciascuna di esse esistono futures e relative opzioni, che permettono all’investitore di guadagnare ogni volta che la temperatura mensile o stagionale si discosta da un determinato livello. Il successo crescente di questi derivati giustifica l’ottimismo dei dirigenti della Borsa merci di Chicago. Il 12 aprile di quest’anno, il numero degli scambi di contratti meteorologici al Cme era già superiore a quello dell’intero 2004: 124.177 contro 122.987. Oggi si è già oltre quota 350mila. Certo, almeno negli Stati Uniti c’è stato il tempo di "costruire un mercato" per i weather derivatives: il primo contratto di questo tipo, uno swap, risale al ’97 tra due società americane. Uno dei contraenti era la "famigerata" Enron, il cui collasso non ha certo giovato all’immagine di questi (e altri) derivati. Ma l’idea è sopravvissuta, tanto da sviluppare un giro d’affari che secondo la Weather Risk Management Association ha ormai superato gli 8 miliardi di dollari. Un ruolo importante in tutto l’ha avuto il Chicago Mercantile Exchange, che dal ’99 offre un mercato trasparente, regolamentato, discretamente liquido e, soprattutto, dotato di una clearing house. A chi è convinto che si tratti di una semplice stravaganza finanziaria, Carabello risponde con argomentazioni serissime: "Secondo il dipartimento del Commercio americano - spiega - circa un terzo del Pil degli Stati Uniti è esposto a rischi climatici. Molte imprese non se ne rendono conto, ma una variazione della temperatura, anche soltanto di un grado e per un giorno, può tradursi in una perdita di 600 dollari". E le polizze assicurative servono a poco, perché spesso non si tratta di danni oggettivamente misurabili. "Le assicurazioni - sintetizza Carabello - tutelano da eventi ad alto rischio e a bassa probabilità, come un’alluvione o un uragano. Mentre i derivati meteorologici sono più adatti a coprirsi da rischi bassi, ad alta probabilità". Gli esempi in questo caso abbondano. Un’estate particolarmente calda farà accendere a lungo i condizionatori, facendo salire la bolletta - e dunque i costi - delle imprese. Se viceversa piove e fa freddo, gli albergatori o i produttori di acque minerali rischiano di incassare meno del previsto. Un inverno più mite del normale può spingere molta gente a rinviare l’acquisto di un nuovo cappotto, danneggiando i produttori di abbigliamento, uno molto rigido farà consumare più gasolio da riscaldamento. E così via. La prudenza, come si dice, non è mai troppa. Sissi Bellomo