Varie, 27 luglio 2005
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Mellon Tamara
• Londra (Gran Bretagna) 7 luglio 1967. «[...] Magari il nome dirà poco, ma per le fashion addict, cioè le maniache di moda & c, si tratta di un nome magico, che incarna la passione sfrenata per le scarpe e la caparbietà di una donna riuscita a realizzare il suo sogno. [...] magrissima, elegantissima, ricchissima, è miss Jimmy Choo, ovvero la fondatrice e produttrice delle scarpe più costose (e anche per questo amate) al mondo — per un paio con tacco a spillo e cristalli Swarovski possono chiedere fino a mille euro. In una decina d’anni ha creato un marchio da 200 milioni di dollari e soprattutto un modo di pensare che lei stessa riassume così: “Non dovrebbe essere un mondo di uomini: loro possono indossare i pantaloni, ma non potranno mai mettere i tacchi”. Ma Tamara, figlia di un uomo d’affari inglese e di una ex modella di Chanel, istruita in college svizzeri e inglesi, ex alcolista e tossicodipendente e oggi una delle icone del glamour mondiale, si candida soprattutto a diventare un esempio per tutte le donne che hanno sofferto per amore, dopo la fine del suo burrascoso matrimonio, raccontato nei particolari [...] Quando nel 2000, quella che i tabloid inglesi chiamano la society princess (la principessa dell’alta società) sposò Matthew Mellon II, rampollo di un’importante famiglia di banchieri americani, vestita Valentino e con al collo un diamante da 41 carati, circondata dalla crema dell’alta società britannica e americana, tutti parlarono di “matrimonio da favola”. Allora, nessuno dei trecento ospiti immaginava gli anni successivi di quella “scintillante” coppia fatti di sparizioni improvvise, tradimenti, cocktail di droga e alcol. E soprattutto nessuno avrebbe mai previsto un epilogo simile, con mister Mellon in tribunale a reclamare la fortuna economica della moglie. Tantomeno se lo aspettava la sposa che aveva definito il suo Matthew “l’uomo più bello che abbia mai incontrato” e, nonostante i trascorsi di tossicodipendente del futuro marito, gli aveva dato fiducia [...] Lui era miliardario, ma aveva saputo di esserlo solo dopo il 18° anno di età, perché la madre voleva evitare che crescesse da ragazzino viziato. Scoperta la sua ricchezza, Matthew Mellon II comincia una vita di party a base di cocaina e orge, tanto da ispirare il personaggio di Julian in Meno di zero, romanzo d’esordio di Bret Easton Ellis. Riesce a salvarsi entrando e uscendo dalle comunità di recupero. L’incontro con Tamara è nel ’98, lui non tocca più alcol e droga da un pezzo ma le promette di non ricaderci. Le cose vanno diversamente. Dopo mesi in cui gioca a fare il signor Choo, gode del successo e dei soldi di lei dopo aver sperperato il suo patrimonio, e dopo una sera difficile con amici, Matthew torna alle sue vecchie abitudini, droga, alcol e sesso e sparisce. È solo l’inizio. Nonostante le promesse a Tamara e la figlia avuta con lei, Araminta, Matthew Mellon scompare per giorni, lascia conti da pagare negli alberghi di tutta Europa, usa nomi falsi per non farsi trovare dalla moglie, che nonostante tutto continua a rincorrerlo. Ma lui si annoiava. Anche del suo lavoro: con i soldi del padre, Tamara gli aveva regalato una sua linea di scarpe, la “Harry of London”, calzature per il perfetto dandy. Nel frattempo, i tacchi alti di miss Choo conquistano il mondo e i sandali con le stringhe che si arrampicano sulla caviglia cominciano a vedersi ai piedi di attrici come Catherine Zeta Jones e Charlize Theron e diventano i protagonisti dello shopping delle quattro ragazze di Sex and the city. “Non ho una tipica testa per il business — dice Tamara —, ma ho dei piedi che sono fatti per i tacchi e faccio le scarpe che indosserei io”. La sua vita privata invece peggiora. [...] il marito ricompare e lei ancora una volta lo aiuta ad uscire dalla droga, solo che lui le fa causa: vuole molti soldi sostenendo che il successo della moglie e del marchio Jimmy Choo è costruito sul nome “Mellon”, il suo. Lei stavolta non lo appoggia, “davvero crede che la gente compri le mie scarpe per il suo nome?”. [...]» (Claudia Voltattorni, “Corriere della Sera” 27/7/2005).