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 2005  luglio 26 Martedì calendario

PIERA José Santiago (Cile) 6 ottobre 1948. Economista. «Cile, fine anni ’70. Siamo nel pieno della dittatura militare di Pinochet

PIERA José Santiago (Cile) 6 ottobre 1948. Economista. «Cile, fine anni ’70. Siamo nel pieno della dittatura militare di Pinochet. Il sistema previdenziale, creato nel 1924, è sull’orlo della bancarotta. Per risolvere il problema viene nominato Ministro del Lavoro un giovane economista ultraliberale con Master e dottorato ad Harvard, il trentenne Josè Pinera. La sua cura è radicale ed in linea con la scuola economica, quella dei Chicago Boys, cui appartiene: privatizzazione totale. Una cura, però, andata più a vantaggio degli Usa che del Cile. Innanzi tutto perché a gestire le pensioni cilene sono, principalmente, fondi americani. E poi perché, non essendo l’economia cilena in grado di assorbire l’enorme massa di denaro immessa sui mercati, questi soldi finiscono per foraggiare proprio le borse a stelle e strisce. [...] dopo aver provato, nel `93, a diventare Presidente del Cile raccogliendo il 6% dei voti, Josè Pinera è ora presidente dell’International Center for Pension Reform e consulente pensionistico di Bush. Gira il mondo per fare ”pubbliche relazioni”, come dice lui. Incontri [...] con politici, intellettuali e giornalisti per far comprendere che il suo modello previdenziale privato sarebbe un toccasana anche per noi. La Banca Mondiale, storicamente a favore della cura Pinera, ha dovuto, però, invitare il Governo di Santiago a porre rimedio alle gravi situazioni di povertà in cui sono finiti molti anziani cileni [...] ”Nel 1980, quando sono stato nominato Ministro del Lavoro e delle Miniere, il debito pubblico del Cile era pari all’80% del Pil. L’economia era al collasso e anche il ”Regime di Sicurezza sociale Previdente”, l’Inp, era allo sfascio: avevamo qualcosa come 100 tipi diversi di pensioni, disuguaglianze e privilegi. Il prelievo contributivo era arrivato al 65% del monte retribuzioni e, solo di previdenza, il Cile spendeva qualcosa come il 17% del proprio Pil. Fu allora che io e un gruppo di giovani economisti liberali decidemmo di cambiare la strategia economica del paese per sconfiggere la povertà e il sottosviluppo. Questo, però, non aveva niente a che fare con il tipo di governo che il Cile aveva in quel momento, era un problema politico. In quegli anni abbiamo vissuto una guerra civile. La democrazia fu distrutta e sostituita da un governo militare transitorio. Il Generale Augusto Pinochet combatteva il comunismo, noi la povertà. Ma ciò, insisto, non ha niente a che fare con il grande cambiamento nella strategia economica cilena e con la madre di tutte le nostre riforme, quella delle pensioni. In Cile, in quegli anni, mettemmo fine a un sistema a ripartizione in cui i lavoratori, soprattutto i più giovani, venivano tassati a dismisura per pagare le tasse ai più vecchi. Ma avevamo sempre meno giovani e i vecchi vivevano sempre di più. Era un sistema che poteva funzionare durante gli anni del boom demografico, ma che ha portato a crisi, bancarotte e deficit in tutto il mondo. [...] Quello che noi adottammo fu un sistema del tutto naturale, quello che le nostre madri ci avrebbero consigliato se non ci fosse stata una pensione di Stato. Ognuno di noi, se sa che un giorno avrà 65 anni, e non è un rischio, è una certezza, dovrebbe mettere da parte, durante la vita lavorativa, una certa quantità di denaro. Questi risparmi danno interessi, che a loro volta accrescono i risparmi e che fanno ancora interessi. Quando arrivi a 65 anni, ti ritrovi un capitale tutto tuo. [...] Il sistema è sicuro. Prevede per legge che il denaro raccolto sia investito con un portafoglio il più diversificato possibile e con profili di rischio molto bassi. [...] Il sistema pensionistico cileno gode di ottima salute. Leggevo, poco tempo fa, un articolo del ”New York Times” in cui si faceva un raffronto tra le prospettive di pensione di due colleghi, uno americano, l’altro cileno. Quello cileno aveva in tutti casi una pensione superiore e in certi casi tripla rispetto a quella americana. I problemi, in Cile, sono nel mercato del lavoro. L’attuale governo ha varato riforme che hanno introdotto rigidità tali da portare a un ampliamento del sommerso. Ci sono troppe tasse, la gente tira avanti con i fuoribusta e chi lavora in nero non ha pensione. Più o meno quello che succede in Italia.[...] Il sistema pensionistico italiano è un sistema a ripartizione. Il Governo si incontra e decide che a una certa età ogni italiano avrà una certa pensione. Sarebbe ottimo, se Dio finanziasse il sistema, ma Dio non lo fa. Qualcuno deve pagare. E per pagare le pensioni voi dovete tassare enormemente i lavoratori. In questo modo il lavoro costa troppo alle aziende e si crea disoccupazione e mercato nero. In Europa vedo moltissimi giovani per strada. Ma senza un buon lavoro non sei una persona completa. Una cosa è ricevere un sussidio con cui puoi comprare a malapena un cappuccino, un’altra è sentirsi realizzati. Un sistema così non può reggere, porterà a un conflitto intergenerazionale [...]» (Andrea Bignami, ”il manifesto” 15/7/2005).