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 2005  luglio 17 Domenica calendario

Un’aritmetica da cavallo. Il Sole 24 Ore 17/07/2005. Quando ero bambino mi capitò di assistere a uno spettacolo straordinario

Un’aritmetica da cavallo. Il Sole 24 Ore 17/07/2005. Quando ero bambino mi capitò di assistere a uno spettacolo straordinario. Abitavo a Milano, doveva essere il 1942, forse il ’43. Lo spettacolo lo faceva una cagnolina, una Scottish Terrier di nome Bonnie. Mi piacque tanto che poi, qualche anno dopo, con quel nome ne battezzai una mia. Così succede coi nomi propri: spesso nascondono un ricordo, un desiderio. La Bonnie dello spettacolo mi piaceva tanto perché sapeva colloquiare col suo padrone usando il nostro linguaggio. Non potendo però pronunciare le parole, le compitava indicando col naso le lettere dell’alfabeto, che aveva a disposizione stampate su dei cartoncini. Su questo animale solo apparentemente sapiente venne perfino scritto un libro, che mio padre mi regalò, così posso trascrivervi, a titolo d’esempio, uno dei suoi dialoghi. Padrone: "C’è un altro cane in casa?". Bonnie: "S (sì)". P.: "Sai come si chiama?". B.: "S(sì)". P.: "Dimmi il nome". B.: "His (Kiss)". P.: "Ti piace Kiss?". B.: "N (no)". P.: "Perché non ti piace?". B.: "Bruto (brutto)". P.: "Perchéè brutto?" B.: "Holor tropo chiaro (colore troppo chiaro)". Se ho ripescato quel vecchio ricordo è perché è appena uscito in Italia un saggio, breve ma succoso, intitolato Hans, il cavallo che sapeva contare (Eléuthera). opera di Vinciane Despret, che insegna filosofia della psicologia nell’università di Liegi ed etologia delle società animali in quella di Bruxelles. Ma diciamo di Hans, che fu senz’altro il primo della pittoresca "compagnia di giro" degli animali sapienti, cavalli e cani. Una "scuola" che ebbe inizio negli ultimissimi anni dell’Ottocento e che durò fino a metà degli anni cinquanta del secolo scorso. Mi capitò infatti di assistere a un secondo spettacolo proprio in quegli ultimi anni a Cremona. Si trattava ancora di un cane (il nome è stato scordato) e, sinceramente, quell’ultima volta mi divertii assai meno. La storia di Hans è affascinante e inoltre ha lasciato il segno, tant’è che ancora se ne parla. La riassumo. Era già un po’ che se ne dibatteva, ma fu esattamente dal settembre del 1904 che a Berlino, Hans, detto l’intelligente, diede il via a una delle più accese controversie scientifiche del l’epoca, e non solo in Germania. Secondo il suo proprietario, quel cavallo, usando lo zoccolo di una sua zampa anteriore, sapeva rispondere correttamente a problemi aritmetici complessi, riconoscere le carte da gioco, comporre le lettere di una parola, indicare la data del giorno... Si trattava di una truffa? Di una scoperta rivoluzionaria sull’intelligenza animale? O forse Hans aveva capacità telepatiche? Venne nominata una commissione di esperti e, in un primo tempo, gli vennero effettivamente riconosciute straordinarie capacità intellettive. D’altronde l’animale sapeva risolvere i problemi perfino in assenza del suo proprietario-addestratore. Uno scienziato, Oskar Pfungst, però non s’arrese, e finì col dimostrare che Hans rispondeva correttamente solo se tra le persone presenti ce n’era almeno una che conosceva la soluzione. Altrimenti batteva lo zoccolo a casaccio. Un vero disastro. Risultò, in definitiva, che l’animale aveva una sensibilità straordinaria, tale da percepire minimi segnali inconsciamente emessi da quella persona. Movimenti del capo o degli occhi, modificazioni del respiro... cose così. Niente calcoli complicati, niente capacità di linguaggio pertanto. Il fatto è che certi animali, semplicemente, sanno cogliere segnali per noi impercettibili che poi, intelligentemente, trasformano in istruzioni. Un autoaddestramento che può avvenire - e questo era il caso di Hans - senza la complicità del proprietario. Una scoperta, ho detto, che ha lasciato il segno; ne ha lasciati, in realtà, più d’uno. Il primo, d’ordine applicativo, è la rivoluzione, ancora in corso, nel modo di domare i cavalli. Da sempre questi animali sono soggiogati trattandoli duramente, diciamo pure con una certa crudeltà. Si ottiene così la loro sottomissione: si sono arresi e, obtorto collo, fanno quello che gli si chiede. Il trattamento, però, spegne, almeno per un po’, la loro intelligenza e la loro volontà cooperativa. Sussurrando ai cavalli (come nel film e nell’altrettanto famoso libro), ossia ben dosando l’indispensabile autorità con la dolcezza, è invece possibile ottenere molto di più. Significativo, al proposito, è quanto scrissero Peter e Mary Medewar, due grandi biologi: "La proverbiale cocciutaggine di cavalli, asini e muli non va attribuita a niente di più profondo del loro uso da parte di persone insensibili agli animali e indifferenti al loro benessere". Una seconda ricaduta fu sulla metodologia di coloro che studiano le capacità linguistiche dei grandi primati. Ormai il "controllo di Clever Hans" è divenuto un passaggio obbligato. Tanto per dire, anche il famoso scimpanzé Kanzi, che così bene si destreggia col nostro linguaggio simbolico, è passato attraverso una fase in cui i suoi colloqui con esseri umani hanno avuto luogo con questi ultimi provvisti di una maschera impedente il passaggio di segnali indesiderati. Naturalmente il colloquio controllato si può fare in differenti modi. Sempre con Kanzi s’è, per esempio, usato comunicare tramite la tastiera di un calcolatore; ultimamente, ed è fantastico assistervi, Kanzi riceve istruzioni da una persona che gli parla addirittura per telefono. Il piccolo saggio della Despret sviluppa molti ragionamenti sulla strana storia di Hans. Solleva inoltre un’ipotesi interpretativa, parzialmente alternativa, divertente per la sua verosimiglianza. Nasce dal fatto che attualmente si sa che certi uccelli e mammiferi possiedono una primitiva abilità matematica. Finché si sta sotto la decina se la cavano: sanno contare e anche fare qualche calcolo. Viene così in mente (per la verità ci aveva già pensato Oskar Pfungst) che Hans, all’inizio, rispondesse correttamente perché effettivamente sapeva un po’ contare e calcolare; che poi, però, avesse trovato più comodo "leggere i segni". Chiaro: a quel punto per lui era lo stesso rispondere a quesiti semplici, alla sua portata, oppure estremamente difficili, come fare radici quadrate o risolvere equazioni. D’altronde, non abbiamo disimparato anche noi a far di conto da quando hanno inventato le calcolatrici? Sarebbe bello se a qualcuno venisse voglia di verificare quest’intrigante ipotesi. Danilo Mainardi