Varie, 25 luglio 2005
GIGLI
GIGLI Angelo Pieternaritzburg (Sudafrica) 4 giugno 1983. Giocatore di basket. Della Virtus Roma e della nazionale. Ha giocato anche con Pallacanestro Reggiana e Pallacanestro Treviso. All’età di tre anni la sua famiglia tornò Roma. Iniziò con il basket nel campo dell’oratorio di Vigna Pia. Con la squadra del suo quartiere giocò fino all’età di tredici anni. Poi, passò al San Raffaele, storica squadra nel quartiere Trullo. L’ultima maglia che vestì a Roma fu quella della Fortitudo, squadra del rione Borgo, uno dei migliori vivai della capitale. Nel 2004 lo acquistò Reggio Emilia. Debuttò in A. Fu la stagione della consacrazione. Giocò 32 gare con 10.9 punti a partita. Poteva essere scelto dall’Nba, ma dovette rimandare il sogno americano • «[...] A Reggio sono cresciuto, a Frates devo tutto. Su di me ha scommesso [...] quando Fabrizio decise di farmi giocare in A2 c’era chi lo considerava un pazzo. Io non rischiavo niente, chi ero, in fondo? Potevo solo guadagnarci. Lui ci ha messo la faccia. Non lo dimentico [...] Ci tengo al mio lavoro, sono un maniaco. Curo l’alimentazione, il fisico, i tempi di recupero. Tutto. Credo che la testa faccia la differenza. [..] Mi cercava Livorno, andai a Reggio Emilia. Sapevo che non c’era un’altra società così attenta ai giovani. stata la scelta giusta, ma non fu facile. Da una metropoli alla provincia il salto è forte, ci voleva coraggio. [...] Grande tecnica è un bel complimento. Poco fisico non credo. Non che io sia enorme, ma negli Usa fanno presto a metterti un po’ di muscoli addosso, gli esempi sono infiniti [...]» (Alessandro Corsani, ”La Stampa” 25/7/2005) • «C’è un detto romanesco che dice ”non è romano chi da romano nasce, ma chi da romano agisce”. Calza a pennello anche ai 209 centimetri di Angelo Gigli, giovane talento del basket azzurro, romano, romanista, pur se nato in Sudafrica a Pietermaritzburg, un posto di mare vicino Durban. ”Solo a pronunciarlo mi viene più facile dire Roma” [...] Da quando è rientrato in Italia, all’età di tre anni, Angelo abita al Portuense, a due passi dall’ospedale San Camillo, in una stradina interna parallela a via diVigna Jacobini, dove il 16 dicembre ”98 crollò un’intera palazzina. Aveva 14 anni quel giorno e ripensando agli ”angeli” del suo quartiere racconta tristemente: « Abitando così vicino per me erano tutte facce amiche. Ricordo il boato, come una saracinesca pesantissima che andava a chiudersi. Poi la rivelazione, l’incredulità, la rabbia...”. La zona è Vigna Pia, la stessa società in cui segnò i primi canestri. ”Veniva da me a catechismo alla parrocchia Sacra Famiglia – racconta padre Pietro, presidente della polisportiva Vigna Pia [...] – . Era molto riservato, giocava in oratorio con il fratello. Era mingherlino, ma determinato. L’ho seguito sempre e lui mi fa visita ogni volta che torna. Per lui, del resto, la parrocchia e Vigna Pia sono e saranno sempre una seconda casa. [...]”. Del resto in questa zona di Roma, se non a Vigna Pia, chi vuol giocare a basket deve scendere al St. Charles a piazzale della Radio o arrivare al Trullo, dove regna il S. Raffaele, o al limite puntare Colle La Salle in cima alla collinetta di via dell’Imbrecciato. Anni di maturazione e di crescita tecnica. ”Ho imparato da ognuno dei miei coach – racconta Angelo – e li ricordo tutti. Dal primo, Massimiliano Zampini, quando ero al minibasket, a Livio Troiani, un secondo padre per me. Ancora Luciano Nunzi, Fulvio Ciancarini e Roberto Mencattini della Fortitudo. A tutti devo un grazie”. Tocca a Livio Troiani[...] disegnare il suo profilo quando era allievo: ”Era alto, ma aveva le qualità dei piccoli, capacità di palleggio, velocità. E in più facilità di apprendimento, grande lateralità. sempre stato altruista in campo e fuori. Non ricordo abbia mai mancato un allenameno o una partita. Non si è mai sentito il più bravo di tutti”. Troiani è sempre un punto di riferimento per Angelo. Quando è aRoma si trovano spesso. Angelo vive a casa con la mamma Paola, il papà Paolo ed il fratello Emanuele, due anni più grande. Nel giardino di casa c’è un canestro con rete di ferro: la gioia dei due figli e degli amici, la disperazione dei’vicini, tormentati dal perenne palleggiare di Angelo e dei suoi compagni di gioco. [...]» (Felice Alborghetti, ”La Gazzetta dello Sport” 15/7/2005).