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 2005  luglio 23 Sabato calendario

Chibitty Charles

• Nato a Medicine Park (Stati Uniti) il 20 novembre 1921, morto a Tulsa (Stati Uniti) il 20 luglio 2005. «[...] l’ultimo dei leggendari ”code talker” [...] della tribù dei Comanches. Reclutati nel 1942 dall’esercito americano, i code-talker Navajos e Comanche si rivelarono preziosissimi grazie all’impenetrabilità della loro lingua nativa, usata nelle operazioni belliche. In tre anni di guerra, tedeschi e giapponesi non riuscirono mai a decodificarne i messaggi. Chibitty si arruolò nel 1941 e partecipò alle operazioni militari in Europa. Nel 2002 confidò a un giornalista: ”Quando andavo a scuola non potevo parlare la mia lingua nativa. Alcuni anni dopo il mio Paese mi chiese di usarla nelle operazioni militari. grazie al nostro ’codice’ che vincemmo la guerra. Mi chiedo sempre cosa avrà pensato Hitler quando sentiva quegli strani rumori alla radio!”. Nel 1999 il Pentagono gli conferì il premio Knowlton come riconoscimento alla sua carriera militare e nel 2002 fece in tempo a vedere la storia dei code-talker nel film di John Woo Windtalkers con Nicolas Cage» (’la Repubblica” 23/7/2005). «Adolf Hitler? Per loro era ”posah-tai-vo” che vuol dire uomo bianco pazzo. E un carro armato era chiamato ”chay-dah-gay” cioè tartaruga. Nella loro lingua pre-tecnologica la parola non esisteva e quindi dovevano trovare nel mondo naturale qualcosa che assomigliasse a un veicolo corazzato: la tartaruga si prestava bene. ”Loro” sono gli indiani d’America che durante la Seconda guerra mondiale furono utilizzati dall’esercito e dai Marines degli Stati Uniti per le comunicazioni via radio. Comunicazioni intercettabili dal nemico ma completamente indecifrabili, perché le lingue dei native americans non appartengono ad alcun ceppo linguistico noto, spesso senza alfabeto scritto e quindi per i tedeschi e i giapponesi era impossibile tradurle. Così furono salvate molte vite americane grazie a idiomi che il governo Usa, tra la fine delle guerre indiane e l’inizio del XX secolo, aveva tentato in tutti i modi di sradicare obbligando i bambini indiani a studiare e parlare inglese. Esponenti di almeno 17 tribù diventarono codetalkers, cioè parlatori in codice, come vennero chiamati. Ma i gruppi etnici più numerosi furono i navajos (ne vennero reclutati 400 e impiegati 379, soprattutto nel Pacifico, a Saipan e Iwo Jima) e i comanches: 14 di loro prestarono servizio in Europa occidentale, contro i tedeschi, dallo sbarco in Normandia (giugno ’44) in poi. [...] Solo una decina d’anni dopo la guerra cominciarono a filtrare le prime notizie e l’esistenza del codice fu ufficialmente ammessa nel 1968. Poi pian piano la leggenda si è ingigantita ed è approdata al cinema nel 2002, con il film Windtalkers [...] Un nome inventato, perché quello ufficiale ormai appartiene, come marchio registrato, alla Navajo Code Talkers’ Association. Trucchi hollywoodiani: come la storia, in evidenza nel film, che a ogni radio operatore indiano fosse assegnata una scorta di due soldati ”bianchi” con il compito di proteggerlo e, se del caso, di ucciderlo per non farlo cadere prigioniero e tutelare così il segreto. I Marines hanno sempre negato l’esistenza di questo ordine. E almeno uno dei codetalkers, della tribù Fox, fu catturato in Nord Africa e nessuno dei suoi tentò di ucciderlo. Nel Pacifico gli operatori radio indiani furono in effetti scortati: la spiegazione ufficiale è che, avendo tratti somatici mongolici, potevano essere scambiati per giapponesi e presi prigionieri o addirittura uccisi da qualche Marine dal grilletto facile. In Europa occidentale questo rischio non c’era e su quel fronte nessuno ebbe angeli custodi. D’altronde il primo impiego di dialetti indiani come codice indecifrabile fu proprio in Francia, nella Prima guerra mondiale, grazie ad alcuni choctaw arruolati nel corpo di spedizione americano che nel 1918 combatteva nelle Argonne. Poi l’idea fu rilanciata tra le due guerre per merito soprattutto di Philip Johnston, figlio di un missionario che aveva svolto il suo apostolato tra i navajos. I ”codetalkers”, per il lavoro che svolgevano, erano spesso nel vivo dell’azione. E qualcuno aveva i suoi sistemi, molto native, per farsi coraggio: ”Me ne stavo in quella buca, sapendo che dovevo uscirne e piangevo - ha raccontato proprio Chibitty, ”l’ultimo comanche”, ricordando il suo sbarco in Normandia il 7 giugno -. Poi ho masticato del peyote e ho parlato con il Grande Padre, mi sono calmato e la mattina dopo ero pronto ad andare”. [...]» (Paolo Rastelli, ”Corriere della Sera’ 24/7/2005).