Varie, 22 luglio 2005
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Stein Peter
• Berlino (Germania) 1 ottobre 1937. Regista. Teatrale • «[...] residente in Italia [...] sposato con l’attrice Maddalena Crippa [...] Nel ”71 mise in scena l’integrale Peer Gynt di Ibsen in due serate; nell’80 fu la volta dell’Orestea di Eschilo, dieci ore, portata anche in Italia [...] all’epoca Peter Stein aveva il suo teatro, la Schaubühne a Berlino, con la celebrata compagnia di attori stabili: Bruno Ganz, Edith Clever, Jutta Lampe, Michael König. ”Poi nell’85”, ricorda, ”fui licenziato: dissero che non ero più al passo con i tempi. I tedeschi non mi amano [...] Oramai lavoro prevalentemente all’estero [...] con attori di altre lingue: spesso in Italia, anche in Russia, Cechov e Shakespeare. Ho fatto molte regie di opere liriche, collaborando con Abbado, Boulez. Dal ”91 al ”97 sono stato direttore della sezione teatrale del Festival di Salisburgo [...] Per quelli della mia generazione - avevo 8 anni quando la guerra finì - pesa ancora molto il ricordo di come eravamo considerati: gli unni, i malvagi. Solo negli anni ”60 le cose sono un po’ cambiate, perché eravamo cambiati noi tedeschi. I viaggi all’estero ci hanno aiutato a rientrare nella comunità degli europei normali, a chiudere la nostra parentesi criminale. [...] Non credo nell’avanguardia che dura da cento anni, nella trasgressione obbligatoria, come se fossimo ancora ai tempi dell’Espressionismo. Ma mentre agli inizi del ”900 c’erano le regole da rompere, oggi non capisco cosa possano violare i nuovi registi [...] In Germania soprattutto vige il conformismo dell’anticonformismo: che noia! Se nella didascalia c’è scritto che il protagonista entra in scena con la spada, il nuovo regista tedesco lo fa arrivare con una spada laser come fosse Highlander; o altrimenti, se si vuole essere particolarmente trasgressivi, eccolo che brandisce il suo uccello. Non c’è nemmeno più sorpresa. Gli attori, forse, potrebbero cambiare la situazione, basterebbe che si rifiutassero di cagare in scena, di masturbarsi davanti al pubblico. [...] I giudizi della stampa non mi interessamo. Hanno scritto cose terribili su di me, come quando nel ”92, a proposito del Giulio Cesare che avevo messo in scena a Salisburgo, la ”Süddeutsche Zeitung’ disse che ero un fanatico del Führer. I giornali si ostinano a considerare i registi come divi, e più trasgressivi sono meglio è. Ma il pubblico non abbocca più [...]” [...]» (Ranieri Polese, ”Sette” n. 36/2005).