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 2005  luglio 22 Venerdì calendario

PACE Lanfranco

PACE Lanfranco Fagnano Alto 1 gennaio 1947. Giornalista. Del “Foglio” • «Erano un terzetto. Piperno, Scalzone e Pace. Legati dalla militanza in Potere Operaio e in Autonomia Operaia. Legati anche dalla considerazione dei giudici che li sospettarono di appartenenza alle Brigate Rosse e li ritennero responsabili, come minimo, di associazione sovversiva e banda armata. Legati dalla comune latitanza in Francia. [...] Di aver fatto parte delle Br Pace continua a negarlo. Anche se racconta di esserci andato molto vicino. Ma mentre molti dei suoi ex compagni di militanza, Bruno Seghetti, Valerio Morucci, Alvaro Lojacono, Adriana Faranda, Barbara Balzarani, Germano Maccari, scivolarono nella china della banda armata, lui no. La clandestinità non faceva per lui. Lui amava la notte, il poker, la vita. [...] “[...] Nel settembre del 1977 si fecero molte riunioni insieme a quelli che volevano passare alla lotta armata. Seminari riservati, ad inviti, nella facoltà di Scienze Politiche, a Roma [...] Io dissi: ‘Chiedetemi tutto ma non di svegliarmi alle cinque per andare a incipriare di colla un caporeparto. Dopodiché se dobbiamo dividerci le responsabilità, ce le dividiamo, ma fatemi fare delle cose che corrispondano al mio istinto’. Non se ne fece niente. Lo stile di vita che mi prospettavano non corrispondeva al mio. Io amo la notte e loro, alle 8 di sera, tutti a casa. E poi, io clandestino? Con questa mole? [...] Pensavo che l’azione armata andasse bene se si intrecciava con i movimenti di massa. Altrimenti era una follia. Ma ero circondato solo da gente che voleva fare la lotta armata [...] Tentare la mediazione tra socialisti e Brigate Rosse durante il sequestro Moro è stato fatale [...] Fu Livio Zanetti, direttore dell’‘Espresso’, a cercare Piperno e me. Ci disse: ‘I socialisti vorrebbero trattare con le Br’. Andai da Signorile. Poi da Craxi. Mi spiegarono che volevano smarcarsi dalla linea della fermezza del Pci e della Dc. Io cercai i contatti con Adriana Faranda e Valerio Morucci. E riuscii a raggiungerli [...] Vidi Adriana Faranda sette od otto volte. Ci voleva tempo, insinuare il dubbio, convincere, fare pressioni, rispondere alle obiezioni [...] ero un ragazzino molto studioso. Mio padre mi aveva mandato a scuola due anni prima. A tre anni leggevo già il ‘Resto del Carlino’ [...] Alle elementari facevo i logaritmi. È andata bene fino alla pubertà, quando mi sono accorto che le ragazzine avevano le tette e io i calzoncini corti [...] I professori, uno per uno, uomini d’altri tempi. Quello di greco che ci spingeva verso Don Giussani. Quello di ginnastica che mi spingeva sulla pertica nonostante avessi già da allora un certo peso. Quello di italiano che soffriva di emorroidi e veniva in classe con la ciambella. Diceva: ‘Leggete Baudelaire e ascoltate L’après midi d’un faune’. Ma noi preferivamo James Dean, Elvis Presley e il rock [...] Una manganellata del terzo battaglione Padova che aveva caricato una manifestazione di mezzadri. Mi sembrò un’ingiustizia. Scivolai verso il Pci e verso i gruppi di Nuova Resistenza [...] Senigallia, dove abitavo, era una città rossa, ma vinceva comunque la vita da vitelloni di provincia. Giocavamo a tressette e a scopone al circolo del tennis. Facevamo le prime partite a poker [...] Il gioco delle carte è una cosa importante nella vita. È assolutamente formativo. Chi bara al gioco è malvisto. Chi bara nella società no. Mogli? Stefania Rossini, che si occupava di storia della Resistenza e oggi è giornalista dell’‘Espresso’. E Giovanna Botteri, che si occupava di cinema e follia alla Sorbona e oggi è giornalista del Tg3. Due figlie, una da Stefania e una da Giovanna [...] A Roma, all’università, ingegneria. Una facoltà dove volevano solo studiare. Di sinistra eravamo pochissimi. Quando decidemmo l’occupazione avevamo paura di essere linciati. Per fortuna intervenne un professore di idraulica, Arnaldo Castagna, e convinse tutti che era giusto ribellarsi. Poi con Piperno e Scalzone facemmo Potere Operaio a Roma [...] Qualche sassata alle vetrine l’ho tirata anche io. Ero considerato uno di destra. Non credevo al fanfascismo. Non credevo ai servizi deviati che volevano fermare la crescita della sinistra. Non pensavo che si defenestrassero gli anarchici. Ma la schizofrenia era tale che anche io ritenevo Calabresi un nemico e che considerai la sua morte un atto di giustizia proletaria [...] Il semplice sospetto che alcuni militanti di Potere Operaio potessero essere coinvolti in una tragedia come la morte dei fratelli Mattei, i giovani fascisti bruciati vivi nella loro casa di Primavalle, fu insostenibile.[...] Dopo lo scioglimento di Potere Operaio? Il militare e la laurea. Poi insieme a Virno, Castellano e Maesano ho fondato il centro studi Cerpet. In quei tempi si affacciò una generazione nuova, barbara, incline alla violenza, conseguenza dell’arrivo all’università dei ceti popolari molto più determinati dei giovani borghesi di una volta. Era la base sociale dell’Autonomia Operaia [...] Io non ho mai smesso di pensare che il lavoro salariato sia una tragedia. Né che meno Stato c’è meglio stiamo, come diceva Marx. Penso ancora che i Paesi dell’Est fossero l’inferno su terra. È il Pci che piano piano ha cambiato [...] Sono una persona a cavallo delle cose. Ero a destra della estrema sinistra. Un migliorista rivoluzionario. Una volta sentii parlare Pino Rauti in un dibattito sull’immigrazione. Era l’unico che diceva cose sensate [...] Adesso non credo più alla rivoluzione. Ma non ho nulla delle idee reazionarie classiche. Certo, se oggi tu mi dici: ‘Andiamo a fare un dibattito sulla giustizia’, io non ci vengo se non ci sono Marcello Pera, Alfredo Biondi e Vittorio Sgarbi. Una platea di compagni che agitano le forche di sinistra mi fa venire il voltastomaco [...] consiglierei a chiunque di farsi uno stage di un paio di mesi in carcere per vedere come funziona la macchina giudiziaria. Per alcuni anni le sparate di Sgarbi contro la magistratura sono state per me il solo balsamo sul cuore” [...]» (Claudio Sabelli Fioretti, “Sette” n. 36/2001).