La Repubblica 21/07/2005, pag.1-16 Guido Rampoldi, 21 luglio 2005
LE SCUOLE DELL´ODIO
La Repubblica 21/07/2005. Si torna sempre alle madrasse, le scuole coraniche del Pakistan. Lì dove sono nati i Taliban. Dove è cresciuto il clan di Quetta che propose a bin Laden l´attentato alle Twin Towers. E dove, sei mesi prima delle bombe che il 7 luglio hanno squassato Londra, trascorse alcune settimane uno dei quattro attentatori, il ventiduenne Shezad Tanweer. Vent´anni fa quelle scuole coraniche furono l´arma segreta dell´Occidente in Afganistan.
Alimentate dai petrodollari, protette da una dittatura cara a Washington, inculcarono la guerra santa nei cervelli giovanissimi d´una generazione di profughi afgani. Ora sono il boomerang che ci torna in faccia con una regolarità inquietante. Blair ne ha parlato ieri con il generale Musharraf, proprio mentre i servizi segreti pakistani interrogavano duecento estremisti islamici arrestati nella notte. "Da parte del governo pakistano ha dato atto il britannico c´è una reale volontà di attaccare le madrassas che predicano l´estremismo". Sarà certamente così, ma quella volontà finora non ha prodotto molto. O almeno: s´è scontrata col fatto che in Pakistan le madrassas sono care all´alleanza dei partiti islamici, poderose per elettorato, mezzi, relazioni con settori dell´esercito e rapporti occulti con l´estremismo armato. Così anche dopo l´11 settembre il Pakistan ha continuato a produrre ogni anno, nelle sue scuole coraniche, più terroristi di quanti ne arresti la sua polizia. Improbabile che adessoMusharraf faccia quanto doveva fare da tempo, chiudere centinaia tra le dodicimila moschee con annessa madrassa, laicizzare un´istruzione pubblica che da venticinque gronda richiami alla guerra santa contro gli infedeli, riformare i codici, tenersi a distanza dall´alleanza dei partiti religiosi, e ovviamente restando democratico perché così lo vuole il perbenismo bushista?Se osasse, oggi rischierebbe la rivolta quantomeno nella North-west province, al confine con l´Afghanistan, dove i fondamentalisti governano.
Anche per questoa Islamabad adesso speranoche le indagini sull´attentato di Londra non mettano il governo in una situazione ancora più scomoda. E´ made in Pakistan il terrorismo che ha squassato Londra il 7 luglio? Oppure dobbiamo riconoscere qualche ragione al Frontier Post di Peshawar quando accusa la stampa britannica di rovesciare sul Pakistan l´onta d´un massacro compiuto da ragazzi nati e cresciuti in Inghilterra? A fanatizzare i terroristi è stata l´ira musulmana per quanto avviene a Bagdad (ancora giornali pakistani) o piuttosto un credo costruito in alcune scuole coraniche? In attesa di capire se effettivamente sono coinvolti nel massacro alcuni tra i quasi duecento estremisti islamici arrestati negli ultimi due giorni dai servizi segreti pakistani, proviamo ad allineare i fatti. Risulta innanzitutto che l´anno scorso tre dei quattro attentatori trascorsero in Pakistan due o tre mesi. Nulla di strano, essendo tutti di origine pakistana. Ma se stiamo alla stampa britannica uno dei tre, il ventiduenne Shezad Tanweer, fu segnalato in quel periodo nelle moschee dell´islam radicale, a Feisalabad, una torrida città del Punjab. Le moschee forsennate di Feisalabad sono tutte di scuola Deobandi, la stessa setta islamica dei Taliban, e sono controllate da Sipah-i-Sahaba, ’i soldati dei compagni di Maometto´. Di Sipah-i-Sahaba, SSP in sigla, ha parlato lunedì Musharraf: pur senza collegarla all´attentato di Londra, il presidente pakistano l´ha citata, insieme ad una organizzazione consorella, come simbolo d´un´area fondamentalista contigua al terrorismo. L´SSP e il suo braccio armato conterebbero sui 3000-6000 armati, in maggioranza addestrati in Afganistan al tempo dei Taliban. Il capo del suo consiglio supremo è Zia ul-Qasmi, un molana (mawlana nella dizione inglese), titolo religioso che potrebbe equivalere al nostro monsignore. Quando lo conobbi, sette anni fa, il grasso e vanitoso Qasmi volle farmi sapere d´essere amico di bin Laden; ma questo non gli impediva di ottenere il visto britannico. Almeno una volta l´anno predicare idee non proprio pacifiche nella moschea d´una città inglese, Brixton. Era una specie di vedette dell´islamismo internazionale. Predicava anche negli Stati Uniti, mi raccontò, e probabilmente nel suo campo era d´una scienza sconfinata. Ma fuori da quella, un autentico imbecille. D´un´ignoranza comica. Aveva alle spalle la fotografia d´un paesaggio alpino - una malga, nevai, pascoli, abeti. Quando gli chiesi cosa fosse mi rispose: "Londra". Era sbarcato varie volte negli aeroporti londinesi ma non era mai stato colto da curiosità per la capitale britannica. Non gli interessava. Era il mondo degli infedeli: che lo odiasse o no, riteneva che non avesse nulla da insegnargli. Così della Gran Bretagna conosceva solo due aeroporti e una moschea.
La moschea di Zia ul-Qasmi non aveva nulla di grandioso, ma era il quartier generale della persecuzione contro i cristiani in quella zona del Punjab. Andai a trovare il molana pochi giorni dopo il suicidio del vescovo di Feisalabad, John John. S´era sparato alla testa davanti al tribunale che aveva condannato un contadino cattolico per ’blasfemia´, crimine punito con la morte dal codice penale pakistano. Il suo era stato un gesto politico "S´è immolato", dicevano i preti di Feisalabad e per questo il Papa aveva autorizzato la sepoltura d´un suicida in terra consacrata. A quel tempo gli armigeri del SSP potevano fare di tutto. Traversavano il quartiere cristiano in colonne di camion straboccanti di mitra, ogni tanto sparavano contro l´ingresso della chiesa, e soprattutto s´incaricavano di costruire le testimonianze per far arrestare un cristiano e farlo condannare a morte (di solito bastava lanciargli in giardino un Corano bruciacchiato). Le sentenze venivano poi tutte riformate in secondo grado, e nessuna eseguita, così come accade ancora adesso. Ma il reato di blasfemia era ed è usato per tenere in soggezione la piccola minoranza cristiana. Di questo appunto si occupava il braccio armato di Sipah-i-Sahaba, una formazione chiamata l´Esercito dei fedeli, Lashkar.
Chi volesse leggere tutto questo con lo schemino dell´ ’islam contro la cristianità´ sarebbe ancora una volta fuori strada. Per cominciare i seguaci di Qasmi e in genere l´estremismo pakistano si sono specializzati nel massacrare non cristiani ma altri musulmani: innanzitutto sciiti, in secondo luogo sunniti laici. Inoltre anche nel Punjab i contrasti ’religiosi´ sono schermo di interessi concreti. Il SSP è caro ai commercianti e alla piccola borghesia perché trasferisce nella religione, nobilitandoli, sia il rancore verso i proprietari terrieri, in gran parte sciiti, sia la voluttà di accanirsi su una ’umanità inferiore´ (in quel caso i cristiani, l´ultimo gradino della gerarchia sociale), una tentazione universale che anche noi italiani conosciamo bene. In altre parole l´estremismo pakistano ha caratteristiche ’locali´ che a Londra non funzionano, se non rimodellate e adattate a quel mondo. Ma la cornice è unica: il sogno dell´impero perduto e l´aspirazione a ricostruirlo attraverso un nuovo Califfato. Alla testa di questo progetto non vi sono, almeno in Pakistan, fini intellettuali. Semmai una strana razza di religiosi con aspirazioni profane che s´è abituata a rastrellare nel mondo finanziamenti o committenza. La razza dei Qasmi, la cui organizzazione all´epoca viveva di petrodollari, o di quel proprietario-rettore della più grande scuola coranica di Peshawar, anch´egli finanziato dall´estero, che qualche anno fa la polizia sorprese a letto con la nuora: eppure l´uomo è un vero bigotto, lodatore dei Taliban e delle lapidazioni delle adultere.
Guido Rampoldi