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 2005  luglio 18 Lunedì calendario

FRY Christopher (Christopher Harris). Nato a Bristol (Gran Bretagna) il 18 dicembre 1907, morto a Chichester (Gran Bretagna) il 30 giugno 2005

FRY Christopher (Christopher Harris). Nato a Bristol (Gran Bretagna) il 18 dicembre 1907, morto a Chichester (Gran Bretagna) il 30 giugno 2005. Drammaturgo. «[...] tra gli anni ’40 e ’60, Fry è stato uno dei più acclamati autori di teatro presenti nel West End di Londra e a Broadway. Ha fatto breccia nel pubblico sviluppando il genere più difficile: il teatro di poesia, che aveva in Eliot la vetta più squisita. Ha conquistato le platee con opere quali A Phoenix Too Frequent (Una fenice troppo frequente) del ’46 e soprattutto con La signora non è da bruciare (1948). Con queste e con altre opere Fry ha rivitalizzato la drammaturgia inglese che, nel dopoguerra, continuava a vivacchiare sull’onda immalinconita di Noël Coward, nell’onesto cabotaggio di Terence Rattigan e di John Whiting, e non aveva ancora il presagio della svolta tellurica che sarebbe arrivata con Osborne e gli ”arrabbiati”. Nonostante il valore alto del suo teatro, Fry non era un drammaturgo elitario. Attori come Laurence Olivier, Richard Burton e John Gielgud gli hanno dato un’ampia risonanza popolare e, insieme, hanno reso immediatamente fruibile la caratteristica del suo ”poetic drama”, profondamente diverso, per non dire opposto a quello di Eliot. Con Fry il verso non si maschera sotto una superficie prosastica, come in Cocktail Party di Eliot. Il verso si impone quasi sfacciatamente in tutta la sua sonorità, quasi nella sua indipendenza. Il verso sembra l’unico scopo del dramma. Era perciò nella ”facilità” il grande successo di Fry; era nel suo procedere carezzevole, nell’ondosità delle immagini debordanti, persino barocche, nella favolosità che si opponeva alle memorie ancora luttuose della guerra la chiave di un successo plebiscitario, che ebbe qualche riflesso anche in Italia, allorché Giorgio Albertazzi interpretò La signora non è da buttare, la commedia che, a tutti gli effetti, può considerarsi il capolavoro di Fry. Ha scritto molto questo autore di Bristol che, a un certo momento, pensò di cambiare il suo vero nome (Christopher Harris) in quello di Christopher Fry. Ma il molto che ci ha consegnato è, appunto, facile; troppo facile per un volgere di secolo che aveva bisogno di altre voci e di altre complessità in cui riconoscersi e rinascere. Invece Fry era ampio e cantabile. Non è un caso che, lavorando per il cinema, abbia fornito la sceneggiatura di film colossal quali Ben Hur e Barabba, dove trovava piena applicazione il suo fiato di cantore ampio e mitico, quella stessa favolosità che gli aveva consentito nel ’73, esauritosi il grande successo drammaturgico, di farsi librettista per Penderecki nel Paradiso perduto di Milton. Questo lavoro coronava una vocazione all’irrealtà, poneva un sigillo nobile al sentimento di fuga insito nella commedia. Non a caso Fry dirà: ”La commedia è una fuga, non dalla verità ma dalla disperazione, una fuga miracolosa nella fede”» (’La Stampa” 5/7/2005).