Note: [1] ཿL’espresso 14/7/2005; [2] Massimo Arcidiacono, ཿLa Gazzetta dello Sport 13/7/2005; [3] ཿLa Gazzetta dello Sport 14/7/2005; [4] Stefano Boldrini e Gian Luca Pasini, ཿLa Gazzetta dello Sport 13/7/2005; [5] Gian Luca Pasini, ཿLa Gazzetta dello, 18 luglio 2005
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 18 LUGLIO 2005
Per il calcio italiano, quest’estate pare la più drammatica del dopoguerra. Torino e Messina sono state escluse dal campionato di serie A per i debiti col fisco, la stessa sorte è toccata in B a Salernitana e Perugia; il Genoa è accusato di aver comprato la partita decisiva del campionato di serie B contro il Venezia, per la stessa partita è in corso una seconda indagine: sembra che alcuni calciatori di A e B, avvisati dai loro colleghi della combine, abbiano scommesso illegalmente sul risultato del match; un’inchiesta della procura di Livorno sta cercando di far luce su almeno cinque arbitri che, in base a intercettazioni telefoniche, venivano considerati corrotti o corruttibili. [1] Massimo Arcidiacono: «Ogni anno - ogni luglio, ogni agosto - l’impressione condivisa dagli accaldati protagonisti di turno è che mai prima l’orchestrina del Titanic abbia suonato così fortemente in attesa dell’inabissamento». [2]
Il calcio è un mondo in delirio. Finanze allegre, fideiussioni taroccate, gare comprate e vendute, assetto dei campionati deciso dai tribunali, doping farmacologico e amministrativo. E poi: una maleducazione diffusa, striscioni aberranti, cori razzisti, simulazioni, gestacci, un potere spesso incontrollato lasciato alle tifoserie più violente... Limitandoci all’aspetto economico, le società di serie A e di serie B hanno accumulato nel complesso debiti per 1100 milioni di euro, oltre 600 dei quali sono dovuti all’Agenzia delle Entrate. [3] Arcidiacono: «Falliscono società, tramontano imperi calcistici, chiudono tv (Stream, Tele+, Giococalcio), sette sorelle diventano tre sorellastre, campionati a 20 squadre (la serie B) fanno la dieta a punti, si allargano a 24, poi dimagriscono a 22. Quelli a 18 tracimano a 19 (la C1 lo scorso anno) o 20 (un girone di C2); quelli a 20 traboccano a 21, ultima pazza idea per la serie A della prossima stagione». [2]
Quando è cominciato questo cupio dissolvi è oggetto del contendere. Massimo Cacciari: «Non è concepibile in nessun altro settore che i costi non siano in sintonia con i ricavi. Dal momento in cui è saltato questo rapporto, c’è stata la caduta senza freni. quindi ecco il doping, la maleducazione in campo, le simulazioni, gli striscioni razzisti. Il punto di partenza è sempre quello: gestione economica dissennata, ergo la necessità di vincere a tutti i costi». [4] Arcidiacono: «Non che il calcio sia mai stato sport per abatini: dentro il campo, certo, e soprattutto fuori. ”Calcio vicino al crack” tuona ”Il Sole-24 Ore” a Natale del 1993. C’è chi ha dimenticato il calcioscommesse delle retate allo stadio, quello di Paolo Rossi, Giordano, Albertosi? targato 1980. La telefonata a Sergio Clerici di Garonzi? del ’74. La borraccia ”dopata” servita da Maradona a Branco? Giugno ’90. E a rileggersi le memorie di Carlo Petrini nulla appare più inedito del già scritto». [2]
Una data di partenza si potrebbe fissare nell’estate del ’98. Arcidiacono: «L’intervista di Zdenek Zeman a un settimanale: ”Vorrei che questo sport uscisse dalle farmacie e dagli uffici finanziari in cui si è ficcato... Sono rimasto sorpreso dalle esplosioni muscolari di alcuni juventini”. Seguirono le inchieste del procuratore Guariniello, la scoperta del grande bluff dell’antidoping, provette mai analizzate, prelievi inviati per mesi a laboratori stranieri. E dimissioni a raffica, al Coni, alla Federcalcio. Gli strascichi di quell’estate non sono finiti, il processo alla Juve attende ancora il suo appello». Arriveranno i falsi passaporti, lo scandalo degli extracomunitari che si procuravano l’ingresso in Italia con finte attestazioni delle loro origini europee (sotto inchiesta gente come Veron, Dida, Cafu, Recoba); le false fideiussioni; le false plusvalenze ecc. [2]
Il punto di partenza è stato l’afflusso di soldi da parte delle televisioni. Gigi Simoni, ex allenatore (tra l’altro) dell’Inter: « stato in quel momento che sono saltate tutte le regole, in particolare quelle della decenza, perché sono circolate cifre folli, e quelle del buon senso. I soldi delle televisioni e la legge Bosman hanno rovinato il rapporto calciatore-maglia e segnato il trionfo dello spirito commerciale». [4] Arcidiacono: «La pia illusione che i soldi in arrivo dalle pay tv avrebbero permesso ogni spesa e ogni vizio. In soli cinque anni si passò da 100 a 500 milioni di euro di incassi televisivi, ma spandendo in acquisti e ingaggi di calciatori quasi il doppio. Un colossale abbaglio collettivo costato un buco da un miliardo di euro, nonché un’ulteriore, ultima, prestidigitazione: lo spalmadebiti, il gioco delle tre carte legalizzato per decreto. Un’illusione alla quale, con fatica immane, adesso si cerca di porre rimedio, dandosi regole finalmente certe, controlli più rigorosi. Un ritorno alla realtà, dal mondo del fantastico». [2]
I presidenti sono i principali responsabili. Cacciari: «La stragrande maggioranza di loro ha acquistato i club non perché appassionati di sport o di calcio, ma perché il calcio era il mezzo per perseguire altri obiettivi, affaristici o politici. In nome di questi interessi, sono state avviate spese folli. Dico avviate, perché poi ad un certo punto non si paga più: tasse, stipendi, debiti. E così si accumulano deficit stratosferici». Simoni: «Ci sono cose incredibili. Non pagare gli stipendi, ad esempio, è diventato la regola. Negli ultimi tre anni ho vissuto situazioni allucinanti. Ad Ancona per sette mesi niente stipendio: e volevano anche non pagarmene altri tre assicurando che erano stati versati. A Napoli c’è stato il fallimento. Poi sono andato a Siena e solo qualche giorno fa, per mettersi in regola ed iscriversi al campionato, sono stati pagati gli arretrati». [4]
La responsabilità è solo di chi comanda? Julio Velasco, ex allenatore della nazionale di pallavolo con qualche esperienza da dirigente nel calcio (Lazio, Inter): «Io vivo a Bologna e sono rimasto sorpreso quando una parte della curva ha attaccato Gazzoni che diceva ”più di così non posso spendere, altrimenti salta il banco”. Anche i tifosi lo dovrebbero capire, anziché verniciare la casa di Gazzoni». [5] Oliviero Beha: «C’è stata una sottovalutazione politica da parte della classe dirigente del Paese. Non voglio fare un discorso di destra o di sinistra: dico solo che il calcio è stato lasciato deperire, visto soltanto come una macchina per far soldi, consumato come una birra alla spina». [6]
Dio ci scampi dall’invasione del politicume. Roberto Beccantini: «Il massimo del ridicolo venne raggiunto, a marzo, dall’iniziativa, rigorosamente bipartisan, che spinse i deputati dello Juventus fan club di Montecitorio a rivolgersi al Guardasigilli Roberto Castelli affinché ammonisse il giudice Casalbore e, già che c’era, il procuratore Guariniello, rei di aver assunto un atteggiamento, come dire, troppo intransigente nel processo-doping a carico della società del cuore. La mozione fu sepolta, per fortuna, sotto un coro di pernacchie». [7] Alberto Costa: «Demagogia, istigazione alla violenza, farneticazioni in libertà. [...] Senso del ridicolo pari a zero. Coscienza professionale, idem come sopra. Eppure la politica, se esercitata in maniera corretta, dovrebbe educare, insegnando il rispetto delle regole, anche di quelle più scomode». [8]
I voti non si pesano: si contano. Beccantini: «E allora, largo agli ”opportunisti generici”. La definizione è di Carlo Giovanardi, ministro per i rapporti con il Parlamento: si riferiva alla facoltà di cambiare tifo in corsa - dal Milan al Liverpool in sei minuti, per esempio - ma rende l’idea. Per restare sempre dello stesso partito bisogna cambiare spesso opinione, ammoniva un vecchio saggio nelle sue memorie. Provate a dargli torto, specialmente in estate, quando la Covisoc passa al setaccio i bilanci e comunica la lista nera. D’improvviso, la legge diventa un elastico; e il riferimento, con buona pace degli impegni presi, la classifica del proprio club. Quindici righe di popolarità valgono il celeberrimo quarto d’ora di Andy Warhol». [7]
Il caso di Carmelo Lo Monte (Democrazia europea), assessore alla Coperazione della Regione Sicilia. Costa: «In una sua sconcertante nota (mai smentita) mischia infatti luoghi comuni e vittimismo d’antan. A suo dire, da quando il Messina è stato promosso in A ”ne abbiamo viste di tutti i colori”. La premessa serve a Lo Monte per impartire urbi et orbi una lezione di diritto costituzionale: visto che la Regione autonoma siciliana ne ha sospeso la riscossione del debito con l’Erario, tuona il nostro, ”non si può non iscrivere il Messina calcio in serie A, violando la Costituzione italiana”». [8]
Il Messina Fan Club conta un sacco di iscritti. Costa: «C’è un ministro, il forzista Gianfranco Micciché (’Il Messina deve rimanere in serie A, ritengo assurdo che non possa iscriversi al prossimo campionato”), il presidente del gruppo di senatori di An (’Non vorremmo che dietro il tentativo di esclusione del Messina si nasconda una manovra perversa da parte di qualche potente club del Nord”, insinua Domenico Nania), un presidente regionale, e la regione è la Sicilia, (’Non permetteremo a nessuno e meno che mai a un organismo di controllo sportivo di violare le prerogative autonomistiche della Regione Siciliana” ammonisce Salvatore Cuffaro, Udc) e addirittura il presidente della Confcommercio, Sergio Billé (’Non vedo perché non potrebbe essere concesso al Messina quello che invece è stato concesso ad altre società”)». [8]
La mobilitazione per i siciliani è stata massiccia. Ma neppure nelle altre città si scherza. Costa: «Basti dire che quattro senatori (Manzione, Margherita, di Salerno; Asciutti, Forza Italia, di Perugia; Vallone, Margherita, di Torino e Filippelli, Udeur, di Crotone) hanno fondato il Co. Pa. Vi (Comitato Parlamentare di Vigilanza) il cui nobile scopo dovrebbe essere quello di ”far rispettare i verdetti acquisiti sul campo dalle squadre di serie A e serie B”. Alla faccia di tutto quello che è stato detto e scritto sul doping amministrativo!». [8] Beccantini: «Il politico titilla la piazza. Getta il bacio e ritrae le labbra. Non pensa alle conseguenze (talvolta di ordine pubblico). Bada al sodo. Illude. Potrà sempre dire che lui, almeno, ci ha provato. Se a Padre Pio possono arrivare Luciano Moggi e pochi eletti, molti si accontentano di un padrino pio che cavalchi il sospetto d’ingiustizia. Ormai, la regolarità del sistema si regge sulla somma di piccole, grandi irregolarità». [7] Velasco: «Penso si sia fatta un po’ di confusione fra liberismo, libertà e la possibilità che ognuno faccia quello che vuole. Non è un caso che il liberismo economico abbia attecchito nei Paesi anglosassoni, dove la moralità è molto più rigida e se un candidato alla presidenza ha l’amante deve ritirarsi. Confondere il liberismo con la libertà di fare ciò che si vuole è la fine della convivenza civile». [5]
possibile che alla fine Messina e Torino riescano a salvarsi. Guglielmo Buccheri e Silvia Garbarino (’La Stampa”): «I motivi per cui il Toro potrebbe ottenere il pass per la serie A sono pochi e chiari: bilancio ripianato dai debiti, intesa raggiunta con il Fisco per la spalmatura delle insolvenze accumulate in 5 anni, e la garanzia di Cimminelli sul patrimonio personale di 40 milioni di euro da tradurre in tempi brevi in in fideiussione bancaria o assicurativa». [10] Stesso discorso per il Messina, che in questi giorni ha trovato l’accordo per la rateizzazione dei debiti fiscali, anche se in ritardo rispetto al termine (’perentorio”) dell’8 giugno. [11] La trafila prevede un’udienza alla Camera di Conciliazione del Coni (21 luglio, ultimo grado della giustizia sportiva); il verdetto del Tar del Lazio (10 agosto, primo grado di giudizio amministrativo); il verdetto definitivo del Consiglio di Stato (a metà agosto). [8]
La Figc si augura di fare ripescaggi e calendario l’8 o 9 agosto. Dopo cioè che sarà concluso anche il processo al Genoa. Fulvio Bianchi: «Se va male slitta tutto verso Ferragosto. L’unica cosa certa (certa?) è che il 28 agosto avranno inizio i campionati: serie A a 20 e B a 22. Per ora è così. Esclusa una A a 21 (Carraro e il sindacato calciatori non ne vogliono proprio sapere), qualche presidente spinge ancora per una B allargata di nuovo a 24 squadre, come ai tempi del Catania. In questo caso troverebbe spazio anche il Napoli: ma non sarà facile spuntarla, anche perché la C vuole tagliare un girone (portando l’organico da 93 a 80) e la B ormai è solo un campionato fallimentare». [11]
«Al 98% questo calcio è fallito» (Mario Macalli, presidente della Lega di serie C). Maurizio Zamparini, presidente del Palermo: «Torino dovrebbe seguire la strada di Firenze, Napoli e Palermo: chiudere, azzerare i debiti e ripartire da una categoria più bassa. Nessuno si avvicinerà a un Torino in queste condizioni: in serie B con un bilancio sano, avrebbe almeno dieci acquirenti». [12] quello che chiamano Lodo Petrucci (2004): il titolo sportivo di un club non iscritto per motivi economici può essere rilevato da una nuova società della stessa città che si iscriverà al torneo subito inferiore. Sono esclusi dal nuovo club i vecchi azionisti, per fare domanda ci sono due giorni di tempo dalla pubblicazione della decisione della Figc. [13]
Ogni club dovrebbe mettersi in testa di spendere per quella che è la propria disponibilità. Azeglio Vicini, ex allenatore della nazionale: «Invece negli ultimi anni si sono svincolati dai controlli federali, hanno speso troppo anche per avere più potere d’acquisto con la televisione. Ma a fine stagione i nodi vengono al pettine. Anche perché si insiste a dire che per far quadrare i conti servono i manager, ma questo sta andando a discapito dei veri uomini di calcio. Credo che il messaggio lanciato con le penalizzazioni a due piazze importanti come Firenze e Napoli sia importantissimo. Se vogliamo avere oltre cento squadre professionistiche sia. Ma che tutte siano in grado di pagare gli stipendi. Altrimenti è giusto fallire e lasciare il posto a chi è sano. Succede pure alle aziende». [14] Altre soluzioni? Claudio Prandelli (allenatore della Fiorentina): «Lavoriamo gratis per un anno e ricominciamo da zero». [15]