Paolo Isotta, Corriere della Sera, 06/07/2005, 6 luglio 2005
Isotta parla di gialli, di letteratura e del tu Corriere della Sera, 06/07/2005 Ben vero, in ogni epoca l’essere umano è stato malvagio e crudele e ha tratto piacere dal tormentare i disgraziati
Isotta parla di gialli, di letteratura e del tu Corriere della Sera, 06/07/2005 Ben vero, in ogni epoca l’essere umano è stato malvagio e crudele e ha tratto piacere dal tormentare i disgraziati. E tuttavia, prima che non arrivassero i filantropi, gli uomini venivano torturati solo per sentimento d’odio e di vendetta e non per il loro bene nell’osservare buoni costumi. Anatole France, La mannequin d’osier, capo XI. Sono appassionato di gialli europei, Simenon, Patricia Highsmith (i suoi Delitti bestiali, le vendette degli animali sugliesseri umani, toccano il sublime), P.D. James e Salvatore Mannuzzu in testa; e ci metto anche il primo Camilleri, che avanti di ideologizzarsi e diventare un noioso insegnante di scuola media ci ha procurato godimenti altissimi: Il birraio di Preston è un grande romanzo, e doppiamente lo dico io per le perverse cognizioni musicali che vi si trovano, molto superiori a quelle di qualsiasi mio collega; così La scomparsa di Cutò e altri. Ma uno che scrive La bolla di componenda, libriccino in poche pagine capace di andare al fondo dell’ethos siciliano e direi ormai indispensabile per comprenderlo; uno che ci regala la bellissima interpretazione di Pirandello ora uscita per Rizzoli, Biografia del figlio cambiato: perché non dismette la «corda civile» che s’è voluto imporre, cilizio a sé e agli altri, e con lei la retorica antimafia? Questo articolo ha altro soggetto, ma da un giallo, quello che i cretini chiamano, mal traducendo dal francese, «poliziesco», scaturisce: per le associazioni del pensiero, che producono l’essayer. Tuttavia, essendo il suo tema antifilantropico, eccoci al primo punto: il Camilleri noioso è quello filantropico, che vuole provare buoni sentimenti. Un autore di gialli non può essere filantropo, per la contradizion che nol consente. In generale, non può esserlo la letteratura. Così come le guerre non si fanno coi paternostri, i buoni sentimenti, l’irenismo, l’egualitarismo, la retorica del cristianesimo non solo non hanno provocato che disastri nella Storia, ma anche, peggio, nella letteratura: e si pensi a com’è lutulenta la pagina di un genio quale Tolstoi, quando meno te lo aspetti trasformantesi in un trombone che si ascolta declamare e si guarda allo specchio. Ieri mi trovavo alla Posta Centrale di Napoli, capolavoro dell’architettura anni Trenta nell’alveo di una piazza fascista: per inciso, i filantropi le hanno cambiato il nome da Piazza della Posta in Piazza Matteotti, così rendendo un nobile perseguitato ridicolo o fastidioso per tutti i Napoletani. Avevo in tasca banconota troppo grossa per regalare il «guardamacchine» tossico, titolare d’un diritto anche erga i pedoni: così ho comprato un giallo svedese al quale non avrei mai pensato, Muro di fuoco di Henning Mankell, Marsilio. Trattasi di libro così rifinito dal punto di vista letterario da esser superiore a tutti i concorrenti allo Strega di quest’anno messi insieme. La cara Annamaria Rimoaldi non se ne spiaccia, lei deve far gareggiare ciò che gli editori sfornano e costoro non conoscono più vergogna; se oggi ci fosse un solo scrittore italiano degno di Maria Bellonci, tra i maggiori nostri del Novecento, potremmo dirci fortunati. Debbo trascrivere la nota del traduttore Giorgio Puleo, al tenore della quale corrisponde l’atmosfera di tetraggine e squallore magistralmente viva nella pagina: «In Svezia, da più di trent’anni tutti si danno del "tu". L’uso del "Lei" è praticamente inesistente: si usa a volte con persone anziane o per sottolineare una certa distanza con persone per le quali si prova un’evidente antipatia. Per mantenere l’autenticità del racconto, nella traduzione ci si è attenuti alla forma usata nell’originale ». La memoria è corsa al prediletto Sciascia: in Nero su nero scrive che, dopo tanti anni di vera amicizia, si può passare dal «tu» al «Lei». I buoni sentimenti, la filantropia, l’egualitarismo, l’insopportabile moda del cristianesimo, risalente agli ultimi mesi, che nulla ha da fare con una cosa seria come il Cattolicesimo, ci fanno vivere in un perpetuo «tu» coattivo. La bellezza della vita è fatta di sfumature: deploro la progressiva scomparsa dalla parlata meridionale, in specie a Napoli, di quel «Voi» dai significati alternantisi e diversissimi, specie se combinato con l’uso del «Lei», che determina sottigliezze virtuosistiche nei rapporti. i pugliesi per loro natura non sanno dare il «lei» e, dio li benedica, persistono nel «voi»: con un delizioso trattore di ostuni ci scambiavamo il «tu», ma alla contadina, non come quelli dei sùbiti guadagni che si compiacciono di essere «amici» del padrone del ristorante e gli stringono la mano. questi si offese per un mia osservazione sulla trafila (diametro) dei vermicelli e cominciò a darmi il «lei». chiesi subito pace. Le distanze vanno mantenute per autotutela, le vicinanze possono gradualmente acquisirsi: l’uso del «Lei» rende meno drammatico l’allontanarsi reciproco delle persone. A mia Nonna, che mi adorava (l’ultimo suo giorno mi disse: «Io ti ho scelto!»), davo il «Lei»; la maggior parte dei miei «tu» nasce dall’ipocrisia dell’egualitarismo , che presuppone una falsa eguaglianza sottostante. Al contrario, mi capita di riflettere sul fatto che do il «Lei» o il «Voi» a molte delle persone da me veramente amate. Alla pratica della forma, scomparsa, si è sostituita una crescente disparità economica fra i soggetti che è solo di natura quantitativa, non qualitativa. Ma se così è, eguali davvero diventeremo in quanto schiavi, e il sogno di Marx si avvererà insieme con l’attuazione del suo più terribile incubo, la crescente disparità economica, non però di classe: destino di più tragica ironia non poteva capitare al grande filosofo. La Svezia di Mankell è il nostro futuro prossimo: un mondo s e n z a i l «Lei» e i l «Voi» è quello di 1984 di Orwell. Paolo Isotta