Luigi Meneghello, Il Sole 24 ore, 05/06/2005, 5 giugno 2005
Meneghello - All’università di Reading negli anni Cinquanta, tra accademici italiani in trasferta, Il Sole 24 ore, 05/06/2005 Racconta Bruno, sempre in giro per l’Africa, che al lago Giulietti,in Dancalia,nuotando per circa un chilometro verso il largo, si tocca ancora
Meneghello - All’università di Reading negli anni Cinquanta, tra accademici italiani in trasferta, Il Sole 24 ore, 05/06/2005 Racconta Bruno, sempre in giro per l’Africa, che al lago Giulietti,in Dancalia,nuotando per circa un chilometro verso il largo, si tocca ancora. Giulietti per la verità non c’è mai arrivato, è Franchetti che l’ha scoperto, e col suo nome si chiama l’isola di melma in mezzo al lago. A est del lago c’è un vulcano, e a Roma una baronessa, figlia dello scopritore suppongo, che si chiamano Afdera. *** Reading, anni Cinquanta. Qui ogni tanto arrivano italiani di passo, e a ciascuna visita misuro la velocità con cui ci allontaniamo. Come direbbe il massimo dei nostri poeti minori viventi, non è facile sapere chi va e chi resta. Arriva Giacometti, chimica molecolare, calmissimo. stato due mesi a Cambridge, sta tornando in Italia. Si sente subito che è un uomo con le carte in regola. Non ama la carriera di amore profondo, ma la farà. Andiamo a passeggiare lungo il fiume, attraversando la zona dei gassometri. Vedo le cose coi suoi occhi: fanno spavento. C’è il branco dei cigni insudiciati, proprietà della Regina, spiego: ogni tanto li devono catturare per lavarli, altrimenti muoiono. Nel tratto erboso tra il fiume e il terrapieno della ferrovia, ci sono anfratti dove giacciono abbracciate alcune coppie, umane, terminalmente si direbbe. Il fiume è a livello dei prati, largo una cinquantina di metri. Dico al mio compagno che qui il Tamigi è poco largo ma profondo, perché è stato canalizzato come si deve. Vorrei fare bella figura almeno per ciò che riguarda il fiume, ma poi sento che con questo amico non occorre, è una persona semplice e pratica, non fa teorie sugli inglesi. La sgradevole necessità di contraddirle svanisce. Giacometti non tornerà a sistemarsi in Inghilterra, farà carriera in Italia. La cattedra già gli spunta sotto la schiena, in maniera del tutto normale. Per questo rispetto è lui l’inglese elettivo. Mi parla del più e del meno, e la sua testa, la sua grossa testa rapata, mi appare un prodotto casalingo, affidabile. Sento che mi riposo in sua compagnia. Tra l’altro ha un certo riguardo per me, mi considera un vero umanista. Non faccio nulla per disilluderlo, non è importante. Dunque, lui avrà l’incarico entro un paio di anni, sui trenta-trentacinque la cattedra al sud, prima dei quaranta sarà insediato a Padova. Farà studi rispettabili, modesti: non cambierà il quadro delle scienze chimiche, e non gli interessa cambiarlo; avrà famiglia onestamente, tutto quello che farà sarà onesto, anche qualche piccolo sproposito privato, se ne farà. Un accademico intelligente e tranquillo, un "intellettuale" senza rovelli e senza pretese, in armonia con se stesso e con la società. Chi lo crederebbe, che la natura faccia ancora di questi scherzi in seno alla mia generazione? Il poco che diciamo insieme sull’Italia mi fa quasi sembrare sensata anche l’Italia. Mi sento io stesso, incongruamente, disposto al buon senso - l’espace di un pomeriggio. *** Una sera sul tardi passa da noi Agostino Costa, preceduto da lettere e telegrammi e incalzato, si direbbe, dalle Furie. azzimato, un dandy. Ma è in preda a un eccesso di eccitazione. qui per un viaggio di ricognizione, e ne parla in modo febbrile: dà l’impressione di aver fatto e visto cose straordinarie, corso rischi, azzardato approcci, trovato aperture. Si direbbe che il mondo, cioè il contatto improvviso col mondo di qui, gli abbia dato alla testa, e insieme lo abbia impaurito. Sotto i suoi racconti eccitati, farraginosi, ellittici si avverte distintamente l’enzima di un’apprensione quasi spasmodica. Forse è l’effetto dei cinque anni di prigionia in India, col ritardo - il presunto ritardo - accademico che ne consegue. Ora si è trovato direttamente a contatto col mitico ambiente degli studi di storia dell’arte accasati quassù, ed è come elettrizzato, e insieme insidiato da oscuri patemi. Si lascia travolgere. Non osa dire "cuccia !" alle Furie. Ma cosa vogliono veramente da te? Calmati, prova a sentire. Tratta. Continua ad alzarsi dalla poltrona, deve passeggiare raccontando. Tenute di campagna, castelli, istituti, persone, personaggi, una febbre che gli lustra gli occhi. Allude turbinosamente a cose che non capiamo. Più ferveefremee brilla, e più si vede il filo rosso del l’apprensione. Pensochenon celafaràperla cattedra. Ha ingegno e intuito e passione, ma è troppo sbilanciato. Ha depostoinentrata unavaliginaelegante. Prendein giro gli inglesi, molto spiritosamente. Scherzandosugli inglesi si disacerba un po’. Mi sento anch’io divertito, e insieme vagamente impermalito. Ho torto: sono forse io il custode degli inglesi? Guardo lo show del mio amico e mi vengono in mente quelle trottole, nel paradiso di Dante, che vorticano emettendo note. Una raffinata nevrosi isterica. Fermati. Siediti. Perché non parliamo di storia dell’arte? *** E una mattina, cauti cauti, con passi felpati, mi arrivano in casa i due banditi di Padova. Hanno barbe non rase, da fuorilegge, cachettiche. Sono cordiali, e pare che mi stimino. Sono scadenti. Si considerano estremisti. Si spartiscono a memoria gli assistentati disponibili, e alcuni altri. Hanno intuizioni vivaci, svelte. Dicono che qui ci si sente come sulla tolda di una nave, l’Inghilterra è in mezzo ai flutti, per questo la spazzano i venti. E io che sono qua da tanti anni non ci avevo pensato. Si associano al mio breakfast animosamente. In pratica me lo sequestrano, non ne resta molto per me. Parlo di Domenico Rea, perché ho letto da poco un suo vecchio racconto. Dicono: "Ah, Rea!" con un’aria così furba che non ho più coraggio di dire altro. Non cercano posti, sono qui per sport. Parlano di sé e dei loro soci in modo furbo e allegro. Hanno fatto un nido di banditi nella nostra vecchia università: assaltano un istituto e si spartiscono la refurtiva. I professori, tonti, non sentono, pare, le trapanazioni in corso sotto i pavimenti: forse tutto crollerà in una nuvola di polvere. E intanto gli invasori si accomodano: uno ha preso la fisiocrazia, uno il mercantilismo, uno la sociologia. Scrivono anche. Bozze. Trovano qualcuno che gli mette in bozze gli impossibili libri che tentano di scrivere. Li ascolto tranquillamente. Mi diverto con loro. Privo di breakfast, mi lascio prendere dal loro spirito di avventura. Li chiamo amici, simpatizzo per una mattina. Pensano per incarichi in patria e comandi all’estero. Andranno in Somalia, o in Cile. Fonderanno istituti di studi italiani, assumeranno titoli veramente impressionanti, cambieranno mogli, o terranno ferme quelle che hanno, con lo stesso spirito d’improvvisazione. Diventeranno esperti di psicologia delle masse brasiliane, o di scatologia amarica. Davvero non c’è nulla di inautentico che gli sia alieno. E alla fine torneranno sempre all’ovile accademico di casa, con nuove, pittoresche competenze. Mi ripeto che sono veri. Se non ci fossero sarebbe difficile inventarseli. Devo abituarmi all’idea. Mi portano alla facoltà in macchina, gli altri giornicivadoinbicicletta. Hanno una macchina cecoslovacca, vagamente mafiosa. Padova città che nutre questa razza. Noi vicentini siamo timidi e tristi. *** In Dancalia, dice Bruno che è quasi di casa, si scende da occidente per due o tre enormi gradoni; il paese scorticato si abbassa fino al livello del mare e poi sotto. Il fiume Awash ci arriva in mezzo nel gran caldo, e lì finisce: i coccodrilli tirano fuori il muso e si guardano intorno. Sabbia dappertutto. I dancali sono incredibilmente belli, e non lavorano. La bellezza di una giovane dancala bella è quasi mostruosa. Luigi Meneghello