Claudio Gatti, Il Sole 24 ore, 28/06/2005, 28 giugno 2005
Europa e glanost sulle Ong, Il Sole 24 ore, 28/06/2005 Alla comunità e alle istituzioni le Ong non chiedono solo aiuto economico
Europa e glanost sulle Ong, Il Sole 24 ore, 28/06/2005 Alla comunità e alle istituzioni le Ong non chiedono solo aiuto economico. Chiedono ancor prima un’apertura di credito etico, di fiducia per il tipo di lavoro portato avanti. Una volta ottenuta quella, i soldi sono una conseguenza quasi dovuta. Ma se dovessero venire a mancare i presupposti per quella fiducia, l’intero settore rischierebbe di saltare. E alcune recenti inchieste condotte sia in Italia che in Europa di cui "Il Sole-24 Ore" è venuto a conoscenza ha decisamente aumentato questo rischio. Per questo la necessità di una maggiore trasparenza e di normative più rigorose sta emergendo in questi giorni più forte che mai. "L’attuale Commissione ha fatto della trasparenza uno degli obiettivi strategici del proprio mandato" ha dichiarato nel marzo scorso Siim Kallas, commissario europeo per gli Affari amministrativi, la vigilanza e la lotta antifrode. "I cittadini europei hanno il diritto di sapere come vengono spesi i propri soldi. Incluso quelli dati alle Ong. Perché nel nome di "cause nobili" un sacco di soldi passano attraverso organizzazioni di cui si sa poco". Per avere un’idea dei soldi in ballo, basti sapere che l’anno scorso le Ong italiane hanno ricevuto dall’Unione europea finanziamenti oltre 83 milioni di euro, pari al 42% del totale (un altro 30% è venuto da istituzioni pubbliche locali e nazionali). Volendo assicurarsi che questo denaro non sia mal speso, o peggio finisca con l’arricchire qualcuno, l’Ufficio europeo anti-frode (Olaf) ha recentemente lanciato una serie di indagini a tappeto. Ha così scoperto che, sebbene il budget della Ue per gli aiuti umanitari esterni sia decisamente inferiore a quello per i sussidi all’agricoltura degli stati membri, i casi di frode registrati nei due settori si equivalgono. "In questo momento abbiamo 32 fascicoli di indagine aperti su Ong: 25 sono indagini in corso e 7 in fase di valutazione. A essere interessati sono operatori di 10 stati membri diversi" spiega il portavoce dell’Olaf. "difficile fare una stima precisa dei danni subiti dall’Unione. Per ora possiamo solo dire che sono notevoli". Tra i 10 stati membri interessati dalle indagini, c’è anche l’Italia. Ed è proprio italiana l’unica Ong europea alla quale Bruxelles non solo ha sospeso un accordo di partnership già firmato, ma anche i pagamenti per attività svolte e approvate. La Ong in questione - Movimondo - non è tra le più piccole o meno note. Al contrario, opera da 34 anni in 24 Paesi in via di sviluppo. anche una delle più impegnate nella ricostruzione dopo lo tsunami, con tre progetti finanziati dalla Protezione civile. "Movimondo sta vivendo una situazione particolarmente difficile. La decisione di Bruxelles sta mettendo a repentaglio la nostra sopravvivenza stessa. Abbiamo un credito di circa un milione di euro per attività già realizzate e rendicontate che non riusciamo a riscuotere. Abbiamo dovuto quasi azzerare i costi di struttura e in alcuni Paesi siamo già stati costretti a chiudere progetti in corso" spiega Donato Di Santo, attuale presidente di Movimondo. La decisione da parte di Bruxelles è stata senza dubbio drastica. Anche perché l’indagine aperta dalla magistratura di Roma sulla base del lavoro investigativo dell’Olaf, è ancora lontana dalla sua conclusione. Ma Di Santo è evidentemente oggi vittima di un atteggiamento di "tolleranza zero" che le istituzioni di Bruxelles hanno adottato per fare fronte alla loro crisi di credibilità, prima ancora che degli errori o delle possibili truffe di chi lo ha preceduto nell’amministrazione di Movimondo. Che vi siano stati come minimo errori gestionali è lo stesso Di Santo a riconoscerlo: "C’è stato negli ultimi anni uno sconfinamento in una visione un po’ tecnicistica, da consulting, coincisa con un forte aumento del budget. La procedura contestateci dall’Olaf era effettivamente irregolare". Il presidente di Movimondo si riferisce alla decisione da parte dell’ex direttore generale dell’associazione, Marco Pasquini, di sottoscrivere un contratto che affidava a una società privata il compito di fungere da centrale acquisti per prodotti che variavano dalle auto ai materiali sanitari, dalle tende ai kit igienici. Pasquini, che ha lasciato Movimondo nel 2003, è tra le cinque persone a cui il sostituto procuratore romano Andrea Padalino ha recentemente inviato un avviso di garanzia. Dalle indagini dell’Olaf risulta che, durante la sua gestione, l’associazione aveva dato incarico alla Cogefo, una piccola Srl romana, di fungere da fornitore fiduciario esclusivo, una procedura d’acquisto contraria a quelle previste dall’Unione europea per evitare il rischio di frode. In altre parole, anziché fare gare d’appalto oppure semplicemente richiedere offerte a più fornitori, Movimondo si è per anni rivolta a Cogefo per le proprie forniture. Contattato dal Sole-24 Ore, Pasquini ha ammesso di aver firmato il contratto con Cogefo, aggiungendo: "Non ero solo io. C’erano varie persone". Altro non ha però voluto aggiungere "perchéc’è un’inchiesta in corso e non mi pare corretto parlare". Stessa indisponibilità a offrire chiarimenti e stessa motivazione sono state addotte da Luciano Valente, comproprietario con la moglie di Cogefo, anch’egli contattato telefonicamente dal Sole-24 Ore. "Noi non contestiamo affatto le attività di controllo dell’Olaf - osserva Di Santo -. Al contrario, nel caso si scoprissero abusi o frodi ci costituiremmo parte lesa. Quello che chiediamo a Bruxelles è di non condannarci prima ancora che l’inchiesta sia completata". Quello che a Bruxelles nessuno è disposto ad ammettere è che l’intransigenza dimostrata nei confronti di Movimondo possa essere legata anche al fatto che non è la prima Ong italiana a essere accusata di malversazione e soprattutto di servirsi di una singola centrale-acquisti privata. L’Olaf ha infatti appurato che anche l’Ong torinese Associazione per la partecipazione allo sviluppo, o Aps, è ricorsa a quella procedura, che più di altre si presta ad abusi e speculazioni perché, come dice l’Olaf "significa di fatto operare una struttura commerciale parallela a fini di lucro". Come Movimondo anche Aps era sostenuta soprattutto dai finanziamenti della Ue (e in misura minore dello Stato italiano). Dall’indagine dell’Olaf risulta che manteneva una contabilità opaca e farraginosa e che in più occasioni ha fatturato sia il Ministero degli Esteri che l’Unione europea per lo stesso servizio o la stessa fornitura. Gli inquirenti parlano di spese senza giustificativi e oggetto di duplicazione per circa 5 miliardi di vecchie lire. Non solo, come Pasquini a Movimondo, anche gli amministratori di Aps avevano deciso di ricorrere a una piccola Srl per gli acquisti, e gli investigatori hanno scoperto che la società in questione - Milpa - era di proprietà degli stessi amministratori di Aps Sebastiano Tropini, Francesco Rosa e Renato Forte. "Puòessere una procedura non perfettamente coerente e corretta, ma non costituisce di per sè reato" sostiene l’avvocato Giuseppe Della Rossa, difensore di Francesco Rosa. Anche Tropini e Forte, si proclamano innocenti pur ammettendo in un comunicato a Il Sole-24 Ore che "alla costante attenzione posta nel lavoro all’estero non sempre ha corrisposto pari attenzione a livello amministrativo e contabile". A stabilire eventuali colpe sarà l’indagine del sostituto procuratore di Torino Vincenzo Pacileo tutt’ora in corso. Nel frattempo però l’Aps è stata di fatto costretta a chiudere i battenti. "La vicenda Aps è senza dubbio preoccupante. Ma non significa che tutte le Ong italiane siano così" osserva Guido Barbera, presidente del Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale (Cispi) e rappresentante a Bruxelles della Associazione Ong italiane. "Sono il primo a dire che non c’è sempre la massima trasparenza e a ritenere che chi sbaglia debba pagare. Purché però non si punti il dito su tutte le Ong perché qualcuno ha commesso errori". Per evitare questo rischio, a detta di Barbera, è necessario che le Ong italiane si sforzino maggiormente a eliminare "leggerezze gestionali" e aumentare la propria trasparenza. "Tutte le Ong dovrebbero pubblicare i propri bilanci. Ce ne sono diverse che lo fanno già, ma sono una minoranza" conclude il presidente del Cispi. "Non c’è dubbio comunque che adesso ci sia molta più attenzione alla questione della governance e della qualità della gestione. Anche perché lo richiedono gli stessi donatori". Chi ha adottato standard molto più rigidi e severi, come si è visto, è Bruxelles. "In un certo senso si può dire che Robin Hood, leggendaria figura di questi luoghi, sia stato un antenato delle Ong. Anche la sua causa poteva sembrare nobile, ma i suoi metodi di ridistribuzione della ricchezza non erano propriamente trasparenti" ha detto il commissario europeo Kallas in un recente discorso alla Nottingham Business School in una sorta di dichiarazione di guerra agli abusi delle Ong. E poiché i recenti tagli operati dalla Farnesina alle spese per gli aiuti internazionali hanno reso le Ong italiane sempre più dipendenti dai fondi europei, il loro futuro dipenderà sempre più dal rigore della loro governance. Claudio Gatti