Mauro Calamandrei, Sole 24 ore, 05/06/2005, 5 giugno 2005
Google Print, ciclone in biblioteca, Sole 24 ore, 05/06/2005 Il progetto di Google per creare un’immensa biblioteca elettronica procede a ritmo precipitoso
Google Print, ciclone in biblioteca, Sole 24 ore, 05/06/2005 Il progetto di Google per creare un’immensa biblioteca elettronica procede a ritmo precipitoso. E così le critiche, e non solo in Europa. Al direttore della Biblioteca di Francia Jean-Noel Jeanneney che ha accusato "gli Stati Uniti di voler imporre un’egemonia americana sull’informazione e la letteratura" e all’Agence France-Press che chiede almeno 17,5 milioni di dollari per violazione della legge sul copyright, negli ultimi giorni si sono ora uniti due editori americani che hanno chiesto di togliere i libri col loro marchio dalla futura biblioteca elettronica. Ma la vera sfida è quella avanzata da Peter Givler, il direttore dell’American Association of American University Presses (Aaup). In una lunga lettera Givler accusa Google di avidità e arroganza incontrollate, dichiara che se l’approccio di questo massimo motore di ricerca nel creare un database on line globale non muta, sarà seriamente compromesso il sistema della proprietà intellettuale regolato dal copyright, causando la crisi irreversibile della catena di case editrici non profit che tanta parte svolgono nella scienza e nella vita culturale americana. L’Aaup ha fissato il 20 giugno come data ultima per la risposta alla serie di domande contenute nella lettera. Il tono del documento è decisamente bellicoso e Google ha finora reagito con un profondo silenzio. Alla base del duro attacco di Aaup c’è l’atteggiamento contraddittorio adottato da Google nelle trattative condotte da un lato con le biblioteche (la New York Public Library, e quelle di University of Michigan, Harvard University, Stanford University e Oxford University), dall’altro con gli editori. Google infatti si è dichiarato pronto a pagare i diritti dei testi ottenuti direttamente dagli editori, ma si considera libero invece di utilizzare gratuitamente i milioni di libri delle biblioteche, compresi quelli che sono ancora coperti da copyright. Secondo Givler questo atteggiamento è assurdo perché il motore di ricerca non è un frequentatore occasionale di una biblioteca pubblica o privata, inoltre nel momento in cui usa abusivamente testi posseduti dalle biblioteche protetti da copyright "com’è possibile impedire ai suoi concorrenticome Micosoft, Yahoo! e Alta Vista di fare altrettanto?". "All’apparenza questa controversia è una bega che interessa solo alcuni editori e Google - dice Daniel Greenstein che dirige la rete della Biblioteca elettronica dell’Università della California -; ma in realtà in una prospettiva più lunga sono in gioco pure diritti e privilegi fondamentali di tutti i cittadini americani come quello di avere accesso gratuito ai libri nelle biblioteche pubbliche". Secondo Joseph Janes della Scuola di informazione della University of Washington in questa schermaglia si possono vedere segni premonitori di cambiamenti simili alla riduzione dell’audience delle grandi reti tv, del calo delle vendite di dischi e della tiratura dei quotidiani. La controversia riguarderebbe in realtà tutta l’editoria americana, eppure finora solo i soci dell’Aaup si sono sbilanciati pubblicamente. Le case editrici non profit sono infatti quelle che maggiormente dipendono dalle vendite e da altre utilizzazioni delle loro pubblicazioni. un caso più unico che raro che un Paese abbia ben 125 case editrici senza fini di lucro, diverse delle quali (come la Harvard University Press, la University of Chicago Press, la Yale University Press e la Princeton University Press) svolgono un ruolo quantitativamente e qualitativamente molto importante. Le 125 del l’Aaup pubblicano per esempio 750 periodici accademici e 11mila libri che ogni anno assicurano ai loro autori e collaboratori centinaia di premi. Molte di queste case editrici pareggiano il bilancio con donazioni o sussidi (secondo il più recente rapporto questi contributi coprono il 13% del totale), ma la fonte principale dei redditi è il mercato e, come scrive Givler, "il rispetto del copyright è indispensabile". Semmai le case editrici universitarie hanno bisogno di aumentare le proprie risorse per far far fronte al l’incalzante necessità di ammodernare i modi di comunicare e di dare nuove fisionomie all’identità stessa del libro. "Viviamo in un universo della comunicazione sempre più ibrido in cui il materiale nuovo o vecchio accessibile elettronicamente è in continuo aumento - osserva Janes -. Le nostre biblioteche rifletteranno sempre più la molteplicità ed eterogeneità delle tecnologie della comunicazione e la varietà dei bisogni della società. Ma via via che le biblioteche cambiano e acquistano ruoli crescenti, dovranno cambiare funzione e identità anche quelle strutture vitali della società e dell’economia che sono le case editrici". La Electronic Publishing Initiative (Epic) di New York dimostra che quando c’è lungimiranza i cambiamenti possono aver luogo anche senza troppi traumi e che grazie alle nuove tecnologie, senza perdere il loro ruolo di centri di studio e di ricerca, una casa editrice come la Columbia University Press e una biblioteca come la Butler Library con i suoi 7 milioni di volumi possono moltiplicare le proprie funzioni e la propria efficienza diventando parte integrante di una nuova entità. "Concettualmente Epic è nata il giorno in cui sono arrivata alla conclusione che neppure un’università ricca come la Columbia può continuare a stampare e distribuire libri di cui si vendono solo tre o quattrocento copie - ci ha raccontato Kate Wittenberg, la quale dopo aver diretto per vari anni la casa editrice ha fondato e ora dirige Epic -. L’idea di usare sistematicamente la comunicazione elettronica è però diventata realtà solo quando le mie proposte di digitalizzare tanti servizi sono state accettate dalla Butler Library e da varie altre entità dell’università". Epic funziona come biblioteca almeno in parte elettronica, come casa editrice, come agenzia giornalistica e strumento di dialogo stampando e distribuendo in tempo reale documenti e articoli di attualità nel campo delle relazioni internazionali, nonché atti di congressi che, nella migliore delle ipotesi, sarebbero altrimenti usciti fra 3 o 4 anni; inoltre pubblica in formato elettronico le ricerche di nuovi autori nel campo della storia e delle scienze sociali, in cui ai testi si aggiungono filmati, musica, voci. Ma occorre però aggiungere che tale attività innovativa non sarebbe possibile senza l’incoraggiamento, l’immaginazione e la munificenza della Andrew W. Mellon Foundation e di altri enti filantropici. Mauro Calamandrei