Sergio Romano, Corriere della Sera, 27/06/2005, 27 giugno 2005
Da Roosevelt a Bush l’Onu serve ancora, Corriere della Sera, 27/06/2005 Come la Società delle Nazioni, creata a Versailles nel 1919, anche le Nazioni Unite sono una creatura dei vincitori
Da Roosevelt a Bush l’Onu serve ancora, Corriere della Sera, 27/06/2005 Come la Società delle Nazioni, creata a Versailles nel 1919, anche le Nazioni Unite sono una creatura dei vincitori. Il termine appare per la prima volta in un proclama del 1? gennaio 1942, pochi giorni dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, e segnala a tutto il mondo che gli alleati non cederanno alla tentazione di accordi separati e combatteranno insieme sino alla vittoria. Ma nel pensiero del presidente americano l’idea dell’organizzazione era presente con ogni probabilità sin dallo scoppio del conflitto, nel settembre del 1939. Come vicesegretario della Marina dal 1913 al 1921, Franklin Delano Roosevelt aveva creduto nel progetto di Woodrow Wilson: una grande Lega internazionale per risolvere le controversie, prevenire i conflitti e punire gli Stati che non avrebbero rispettato le sue regole. Conosceva le ragioni del fallimento ed era deciso a fare un nuovo tentativo. A Yalta, nel febbraio 1945, impiegò buona parte del suo tempo a convincere Stalin che occorreva disegnare subito, senza attendere la fine delle operazioni militari, le linee di un nuovo ordine mondiale. La nuova organizzazione avrebbe avuto lo statuto di una società per azioni: un consiglio d’amministrazione ( il Consiglio di sicurezza), un patto di sindacato fra le maggiori potenze vincitrici ( il diritto di veto), un’assemblea degli azionisti ( l’Assemblea generale) e un amministratore delegato ( il segretario generale). Stalin obiettò che la Gran Bretagna, grazie ai Paesi del Commonwealth, avrebbe dominato l’Assemblea generale e chiese un voto anche per le repubbliche federate dell’Urss. Per accontentarlo Roosevelt, con il consenso di Churchill, finse di credere nell’indipendenza dell’Ucraina e della Bielorussia e gliene dette due. Il presidente non vide il suo " capolavoro " . Le fotografie scattate a Yalta ritraggono un uomo affaticato, dolorante, prigioniero di una sedia a rotelle e avvolto in un grande mantello blu. Morì il 12 aprile 1945, due settimane prima della conferenza di San Francisco da cui sarebbe nata, il 26 giugno 1945, l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Fu davvero un capolavoro? Il posto di segretario generale andò a Trygve Lie, un socialdemocratico solido e corpulento che era stato ministro degli Esteri del governo norvegese in esilio. Venne eletto alla prima assemblea generale dell’organizzazione che si tenne a Londra nel febbraio del 1946 e cominciò a esercitare le sue funzioni nel momento in cui i rapporti fra i vincitori cominciavano a guastarsi. I primi nodi da sciogliere furono il controllo internazionale dell’energia nucleare, una crisi provocata dall’Albania nel Canale di Corfù, la questione palestinese e naturalmente quella dell’allargamento dell’Onu a nuovi membri. Tre anni dopo l’organizzazione ebbe la sua prima vittima. Quando la Lega Araba assalì lo Stato d’Israele, nel maggio del 1948, il segretario generale nominò un mediatore nella persona del conte Folke Bernadotte, parente del re di Svezia e lontano discendente del maresciallo che aveva tradito Napoleone nel 1812. L’armistizio fu concluso nel maggio 1949, ma il conte svedese, nel frattempo, era stato assassinato da un gruppo di terroristi sionisti. Il 1949 fu l’anno in cui l’Onu dovette affrontare uno dei problemi più complicati della sua storia. Occorre fare un passo indietro. Dopo una serie di conversazioni tripartite era stato deciso che il consiglio d’amministrazione avrebbe avuto cinque membri permanenti. Churchill sostenne la Francia ( non voleva che il continente europeo divenisse un deserto politico dominato dall’Urss) e Roosevelt volle la Cina, un Paese in cui il presidente americano riponeva fiducia e speranze. La Cina che piaceva a Roosevelt, beninteso, era quella di Chang Kaishek, leader del Kuomintang ( il partito nazionalista cinese) e fedele alleato degli Stati Uniti. Ma il 1 ? ottobre 1949, quando Mao entrò trionfante a Pechino e proclamò la nascita della Repubblica popolare cinese, Chang era nell’isola di Taiwan e la sua Cina era soltanto un fazzoletto di terra, al largo delle coste continentali. I sovietici, alleati di Mao, chiesero che il Consiglio di sicurezza prendesse atto della realtà e desse il seggio permanente ai nuovi governanti di Pechino. L’America si oppose e l’Urss, in segno di protesta, dette ordine al suo rappresentante di disertare le riunioni del Consiglio. La sedia sovietica era vuota, quindi, allorché i nord coreani, all’alba del 25 giugno 1950, invasero la Corea del Sud e gli Stati Uniti chiesero al segretario generale dell’Onu l’immediata convocazione del Consiglio di sicurezza. In assenza del Paese che avrebbe potuto, con il suo veto, bloccare qualsiasi decisione, l’America ebbe rapidamente ciò che desiderava: la pubblica condanna dell’aggressione e il viatico per la costituzione di una forza militare che sarebbe stata comandata da un generale americano, ma avrebbe combattuto sotto la bandiera dell’Onu. Da allora i sovietici dimostrarono di avere imparato la lezione. I loro veti ( i niet , come furono subito battezzati nella stampa internazionale) divennero la ghigliottina che troncava sul nascere qualsiasi iniziativa sgradita allo Stato sovietico. Gli Stati Uniti, beninteso, fecero altrettanto. Nel sogno di Roosevelt il diritto di veto avrebbe costretto i " grandi " a mettersi d’accordo, nell’interesse della pace e del loro condominio. Divenne invece lo strumento con cui ogni blocco poteva paralizzare le iniziative dell’altro. Fu la morte dell’organizzazione? No. Le Nazioni Unite, da allora, si occuparono di parecchie crisi, mandarono caschi blu nei punti caldi del pianeta, gestirono programmi umanitari, promossero la redazione di nobili convenzioni internazionali e mantennero all’ordine del giorno, perché i governi non se ne dimenticassero, i grandi problemi della società internazionale: la fame, le carestie, la protezione dell’infanzia, il disarmo, i diritti umani e, più tardi, la lotta contro la droga, la condizione femminile, la protezione dell’ambiente. Nel 1961 ebbero un’altra vittima illustre. Era Dag Hammarskjöld, secondo segretario generale dell’Onu, un uomo alto, riservato, spesso ombroso, incline alle meditazioni filosofiche e alle composizioni poetiche. Quando il Congo belga, dopo la proclamazione dell’indipendenza, precipitò nella guerra civile, Hammarskjöld ottenne che il Consiglio di sicurezza mandasse truppe per restaurare l’ordine, ma si scontrò con le riserve dell’Unione Sovietica, tradizionalmente sospettosa e preoccupata dalla possibilità che l’ex colonia diventasse una riserva di caccia dell’economia occidentale. Morì nel settembre del 1961 quando il suo aereo precipitò nei pressi della frontiera fra il Congo e la Rhodesia del Nord. La dimostrazione che l’Onu, nonostante i veti incrociati, era pur sempre utile alla società internazionale fu l’allargamento dell’organizzazione a nuovi membri. L’Italia vi entrò nel dicembre 1954, quando le maggiori potenze riuscirono ad accordarsi su un " equilibrato " pacchetto di candidati, composto da amici di ciascuno dei due blocchi. Ma l’ " alluvione " cominciò negli anni Sessanta e fu il risultato della decolonizzazione. Col passare del tempo le Nazioni Unite divennero un palcoscenico, avvolto nella luce dei riflettori, su cui andavano in scena periodicamente gli psicodrammi della vita internazionale. Qui, nel settembre del 1960, il leader sovietico Nikita Krusciov si tolse una scarpa e cominciò a martellare il banco a cui era seduto per protestare contro le interferenze dell’Occidente in Congo. Qui, nel 1962, Adlai Stevenson, ambasciatore di Kennedy, esibì fotografie scattate dagli aerei spia americani che segnalavano la costruzione di rampe missilistiche sovietiche nell’isola di Cuba. Da qui Paolo VI, nell’ottobre 1965, lanciò un appello alla pace. Qui Giovanni Paolo II pronunciò due discorsi, nel 1979 e nel 1995. Qui, nel giugno del 1982, Yasser Arafat, in giubba militare e kefiah, parlò a una sala da cui era uscita la delegazione israeliana. Mentre i leader occupavano il proscenio e approfittavano dell’Onu per proclamare le virtù della loro politica, la platea diventava sempre più variegata e incline agli esibizionismi demagogici. Fu certamente demagogica e partigiana, ad esempio, la risoluzione con cui l’Assemblea generale, sollecitata dai Paesi arabi, proclamò il 10 novembre 1975 che il sionismo era " una forma di razzismo e discriminazione razziale". Ma quella risoluzione fu soltanto un esempio dello stile antiamericano e antioccidentale che l’assemblea adottò in quegli anni. L’organizzazione appassionatamente voluta da Roosevelt aveva smesso di obbedire al genitore e si comportava, agli occhi degli americani, come un discolo irresponsabile. Questa deriva terzomondista ebbe l’effetto di provocare le risentite reazioni di Washington, soprattutto durante i due mandati della presidenza Reagan. Uno dei bersagli di quella reazione fu Kurt Waldheim, segretario generale dell’Onu dal 1972 al 1982 e, più tardi, presidente della Repubblica austriaca. Accusato di simpatie naziste durante la Seconda guerra mondiale e di simpatie sovietiche negli anni passati al Palazzo di Vetro, il capo dello Stato austriaco venne dichiarato dagli americani persona non grata . Ma le riforme di Gorbaciov e un nuovo disgelo alla fine degli anni Novanta sembrarono annunciare un cambiamento di clima. Il primo segnale venne nell’agosto del 1990 quando il presidente iracheno Saddam Hussein invase il Kuwait. Sollecitato dalla signora Thatcher, George Bush ( il padre dell’attuale presidente) non volle permettere che il " nuovo ordine mondiale " , dopo la fine della guerra fredda, iniziasse con un sopruso, e cominciò a preparare un’azione punitiva. Ma desiderò che questa venisse intrapresa con il benestare e sotto l’egida dell’Onu. Nel gennaio del 1991, dopo avere ottenuto tutti i timbri e i nulla osta di cui aveva bisogno, anche da parte dell’Unione Sovietica, Bush passò all’azione. La guerra del Golfo fu, dopo la guerra di Corea, la seconda operazione militare su grande scala condotta sotto l’egida della maggiore organizzazione internazionale. Non basta. Prima della fine della presidenza Bush l’Onu assunse due impegni di largo respiro, in Somalia e in Jugoslavia. Fu quello il momento in cui sembrò che l’organizzazione potesse realizzare le sue maggiori ambizioni e diventare finalmente l’embrione di un governo mondiale. Dopo un incontro al vertice dei membri del Consiglio di sicurezza, il segretario generale ( era l’ex ministro degli Esteri egiziano Boutros Boutros Ghali) venne incaricato di redigere un documento, noto come Agenda per la pace, nel quale si spinse sino a proporre la creazione di una forza militare alle dipendenze delle Nazioni Unite. Oggi la lettura di quel documento produce un cocktail di ironia e rimpianto. In due anni, fra il 1993 e il 1995, le grandi speranze di " Agenda per la pace " s’infransero contro la realtà. Quando il nuovo presidente americano Bill Clinton decise di ritirare le truppe americane da Mogadiscio, l’operazione somala fallì. Quando le truppe olandesi dell’Onu assistettero impotenti almassacro di 7.000 musulmani bosniaci a Srebrenica, l’operazione jugoslava fallì. E la guerra del Kosovo, nel marzo del 1999, fu un fatto compiuto che la maggiore organizzazione internazionale dovette pazientemente inghiottire. Clinton non fu pregiudizialmente ostile alle Nazioni Unite, ma non fece nulla per rafforzarne il ruolo internazionale. Da allora e soprattutto nel primo mandato della presidenza Bush, la situazione, per chi crede nel ruolo dell’Onu, è ulteriormente peggiorata. Anziché collaborare alla soluzione della crisi irachena il Consiglio di sicurezza è divenuto l’arena di un combattimento fra galli da cui tutti sono usciti malconci e sanguinanti. Dopo l’inizio delle ostilità Kofi Annan ha reagito al disprezzo dell’America di Bush razionando e centellinando il ruolo dell’Onu nel dopoguerra iracheno. Ma la sua immagine, dopo gli scandali del programma oil for food ( vendita di limitati quantitativi di petrolio iracheno contro l’acquisto di prodotti alimentari), si è fortemente appannata. E Bush, dal canto suo, ha cercato di infliggergli una nuova umiliazione nominando come suo ambasciatore all’Onu John Bolton, vale a dire l’uomo che disse un giorno: se togliessero un paio di piani al Palazzo di Vetro, nessuno se ne accorgerebbe. Ma ogni dichiarazione di morte presunta sarebbe, probabilmente, prematura. Se l’Onu ha gestito male le crisi affidate alla sua cura, è difficile sostenere che quelle affrontate direttamente dagli Stati Uniti (il Kosovo, l’Afghanistan, l’Iraq) siano state gestite meglio. Con tutti i suoi difetti questa organizzazione sessantenne è diventata indispensabile anche per chi ne è critico o avversario. Il suo ruolo è modesto, ma la sua assenza renderebbe la situazione internazionale ancora più grave. Come si leggeva nei saloon del West, è il solo pianista che abbiamo: per favore, non sparategli. Sergio Romano