Agostino Paravicini Bagliani, La Repubblica, 01/07/2005, 1 luglio 2005
Arnolfo Di Cambio, La Repubblica, 01/07/2005 Un convegno di studi a Firenze e due mostre (una in corso a Perugia, Galleria Nazionale dell´Umbria, con appendice a Orvieto, l´altra a Firenze, Museo dell´Opera di S
Arnolfo Di Cambio, La Repubblica, 01/07/2005 Un convegno di studi a Firenze e due mostre (una in corso a Perugia, Galleria Nazionale dell´Umbria, con appendice a Orvieto, l´altra a Firenze, Museo dell´Opera di S. Maria del Fiore, dal 21 dicembre 2005 prossimo) celebrano il VII centenario della morte di Arnolfo di Cambio, uno dei massimi scultori ed architetti italiani a cavallo tra Duecento e Trecento. la conferma del grande interesse artistico e culturale che la sua statura internazionale di artista continua a suscitare. Nato a Colle Val d´Elsa tra il 1240 e il 1245, Arnolfo di Cambio si formò nella bottega del celebre Nicola Pisano, con il quale lavorò al pulpito (1265) nel Duomo di Siena. A Firenze realizzò la perduta facciata di S. Maria del Fiore, capolavoro incompiuto, smembrato e disperso alla fine del ´500 (Francesca Pomarici, La prima facciata di Santa Maria del Fiore, Viella). Con le sue opere romane - i cibori di S. Paolo fuori le Mura e di S. Cecilia, il presepe di S. Maria Maggiore ecc. - contribuì, insieme a Cimabue, Cavallini e Giotto, e per impulso dei papi romani della fine del Duecento, a fare di Roma una delle principali capitali artistiche dell´Occidente europeo. Ma è con Bonifacio VIII (1294-1303) che Arnolfo di Cambio ebbe un dialogo intenso e duraturo. Fin dall´inizio del suo pontificato, il papa del Giubileo del 1300 lo incaricò di realizzare la sua cappella funebre nella basilica di S. Pietro in Vaticano. L´architettura della cappella, la statua funebre e il celebre busto del pontefice anagnino costituiscono una sintesi di potente efficacia, di audaci innovazioni tecniche, di ritorno all´antico, di dialogo con le nuovissime scienze della prospettiva. L´artista toscano riuscì anche ad assecondare in pieno il desiderio del papa di creare simboli ed immagini di sé, al servizio della sua visione del papato. La cappella era a forma di baldacchino sormontato da una cupola ottagonale sostenuta da quattro colonne; sopra l´altare di marmo addossato al centro della parete di fondo incombeva il sarcofago di Bonifacio VIII che Arnolfo ricavò da un sarcofago antico di cui rilavorò il frontale (e solo parzialmente i lati) in forma di letto funebre. Nessun papa si era fatto costruire una statua funebre mentre era ancora in vita, il che suscitò scandalo e perplessità presso i contemporanei: «Il papa si fece fare un monumento e un´immagine sulla pietra come se fosse viva», dirà polemicamente fra Dolcino in una lettera del 1303. Della figura distesa del papa, rivestita con ricchissimi paramenti pontifici, sorprende l´altissima qualità di esecuzione ma anche la modernissima potenza del viso che spicca per la sua eccezionale qualità tra tutte le produzioni di Arnolfo di Cambio. Il volto del papa ha i precisi tratti fisiognomici di Bonifacio VIII: la sua calma classica è la serenità che vince la morte. un immagine di corpo in forte contrasto con le altre rappresentazioni funebri di papi e cardinali di quei decenni. Lo stesso Arnolfo di Cambio aveva scolpito ad Orvieto la stupenda statua del cardinale Guglielmo da Braye con i tratti della vecchiaia. Il corpo irrigidito presenta un vecchio volto sfatto in un faticato sonno eterno. Anche il giacente di Clemente IV (1270 circa), il primo sul suolo italiano (chiesa di S. Francesco a Viterbo), presenta il viso di un vecchio con occhi chiusi. Contrariamente al giacente di Bonifacio VIII, il viso stanco e vecchio di Clemente IV respinge gli attributi della bellezza fisica ed esprime la verità della morte. Arnolfo di Cambio ebbe grande libertà di espressione e poté impiegare tecniche spesso nuove. Per soddisfare il pontefice che desiderava - la cosa è in sé straordinaria - che lo sguardo del sacerdote cadesse sul sarcofago mentre celebrava, Arnolfo di Cambio rimodellò il sarcofago secondo le leggi della proporzione. Ora, proprio negli ultimi decenni del Duecento, la corte papale era stata la capitale europea degli studi sulla visione e sull´ottica. A Viterbo, intorno al 1270, il grande matematico polacco Witelo terminò la più importante opera medievale sull´ottica. Lo stesso papa regnante, Giovanni XXI (Pietro Ispano), aveva scritto un trattato di oftalmologia ed il domenicano Guglielmo da Moerbeke, traduttore di Aristotele, aveva intrapreso studi sulla filosofia della luce. Per la cappella funebre di Bonifacio VIII, Arnolfo di Cambio scolpì un busto del papa che presenta un alto numero di novità. E´ la prima statua di un papa ancora vivente posta presso la propria sepoltura e in una chiesa. Ed è la prima statua di un papa che benedice con la mano destra e che stringe le chiavi con la sinistra. Facendosi rappresentare con le chiavi, Bonifacio VIII recupera per il papato un simbolo che era stato dapprima attributo esclusivo di s. Pietro, un simbolo che doveva ora servire a rendere visibile il ruolo intermedio del papa tra cielo e terra. questo il concetto che Dante spiega nella terzina in cui Bonifacio VIII parla delle chiavi che il suo «antedecessor (ossia Celestino V) non ebbe care». Grazie a quelle chiavi, dice Bonifacio VIII rivolgendosi a Virgilio, «Lo ciel poss´io serrare e disserrare, / come tu sai». Come hanno dimostrato studi recenti (A. M. Romanini), il pugno sinistro serrato di Bonifacio VIII attorno alle due chiavi è del resto simile a quello della statua in bronzo dell´apostolo Pietro che i fedeli ancora venerano nella basilica vaticana e che è concordemente attribuito ad Arnolfo di Cambio. La forma del busto imita le statue degli imperatori romani, il che è un altro esempio di ritorno all´antico. Il busto misura più di un metro di altezza e rappresenta quindi Bonifacio VIII a grandezza naturale. Gli orli decorati del piviale scoprono le sue mani e accentuano la larghezza della base, ma attirano anche l´attenzione sul volto del papa, la cui fisionomia sembra simile a quella che si vede sulla statua giacente del sepolcro e su altre statue. Il busto presente una tiara a tre corone, che fu la grande innovazione di Bonifacio VIII. Anche la forma della tiara, molto ampia alla base e straordinariamente alta, ha un valore di simbolo, peraltro assolutamente novatore (la sommità dell´Arca di Noè, vista come rappresentazione della Chiesa). Era il risultato di uno straordinario travaglio simbolico e iconografico fra i più complessi del Medio Evo, di cui Arnolfo di Cambio fu il principale testimone e protagonista. Agostino Paravicini Bagliani